L’alfabeto delle emozioni
di Anna Contini
La voce – limpida come acqua di sorgente – attraversa tutto il corpo dell’attrice in scena e ne fuoriesce permeata dalle emozioni, e-motions, quei movimenti e impulsi impercettibili dell’animo, che l’hanno abitata.
Agnieszka Kazimierska/Katie è l’unica interprete ma parlare di monologo appare piuttosto riduttivo, perché in scena si avvicendano tutti i personaggi evocati, femminili e maschili (il padre, la madre, uno strano zio, il vicino, un violento, l’amato sempre atteso ed evocato, i domestici, persino i cavalli). L’artista tratteggia ogni singola dramatis persona sul e nel proprio corpo come un pittore che dipinge una tela, una medium che offre il proprio fisico alle presenze – i fantasmini – che svolgono la fabula dinanzi ai nostri occhi.
Il lavoro del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards si articola in due branche di lavoro, una delle quali è l’Open Program, diretto da Mario Biagini, che cura anche la regia di questo spettacolo con mano poetica e delicata. Lo studio che porta alla creazione di materiale drammaturgico parte dal lavoro sui canti tradizionali alla ricerca degli esseri viventi che abitano i corpi degli attuanti, in una sfida ai propri limiti che apre la strada alla creatività come percorso per «scoprire ciò che non si conosce» (Jerzy Grotowski, Dalla compagnia teatrale a L’arte come veicolo, in Thomas Richards, Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche, Milano, Ubulibri, 1993) in un montaggio di senso che non avviene più nella percezione dello spettatore ma negli artisti che agiscono.
Katie’s Tales è elegia dell’assenza in presenza, dove la solitudine è un foglio che si accartoccia e cede il passo ai ricordi. Ricordi che l’attrice ha trovato nel proprio corpo-medium attraverso i canti popolari della tradizione polacca, che l’hanno messa in contatto con le radici da cui la sua vita è stata generata, dal momento che la Polonia è il suo paese di origine. Non c’è traccia di recitazione, di artificiosità ma un fare scenico che è diretta emanazione del dettato di Richards: “Non recitare, fai”. Ecco che la Storia, con i suoi eventi e le sue tragedie, è un fuoco da tenere acceso anche quando brucia troppo su ferite ancora aperte.
Alla fine la vita, come il teatro, è un desiderio che rende vibranti e brillanti anche quando si evocano fantasmi, anche quando si guarda in faccia la morte.
Un’ora di spettacolo estremamente intensa, un dono di poesia perfettamente agito.
Da vedere, e rivedere.