ELENA SCOLARI | Io ho fatto l’arbitro. Sì, quando avevo 16 anni fui tra le prime arbitro donna in Italia, ho ancora i ritagli di quelle foto sui giornali locali con il braccio teso a mostrare il cartellino rosso e un sorriso adolescente assai incosciente. Mi piaceva il calcio e costrinsi una mia compagna di liceo a partecipare al corso FIGC. In tutta sincerità pensavo anche (erroneamente) che fosse un buon modo per rimorchiare. Che brivido quei lunghissimi lunedì sera a rivedere la moviola delle partite per capire la regola del fuorigioco! Arbitravo i giovanissimi, le partite erano la domenica mattina (nota che illanguidiva la mia passione per lo sport, specialmente d’inverno) e – quando possibile – davo dei gran pareggi per non ritrovarmi le gomme del motorino bucate. Ma i papà spettatori erano molto rispettosi, probabilmente più per lo stupore che per reale stima ma tant’è. La carriera è durata poco ma è stata un’esperienza da pioniera controcorrente di cui conservo un ricordo gioioso.
Ecco perché sono corsa a vedere Ladies football club di Stefano Massini per la regia di Giorgio Sangati con la fuoriclasse Maria Paiato; ma più che le minute chiose autobiografiche conta il fatto che lo spettacolo ha finalmente riaperto al pubblico le porte del Piccolo Teatro di Milano, nella sala del Teatro Studio Melato dove tra tutti pulsava un certo friccicore per la felicità di essere di nuovo seduti in platea – in uno dei teatri più belli d’Italia, tra l’altro – con un’attrice in carne e ossa a pochi metri di distanza. Dimenticando per qualche ora i metri regolamentari da mantenere per la nostra dannata sicurezza.
Una lunga passerella ricoperta di bitume nero riempie l’area scenica, Maria Paiato la percorre dal fondo, camminando lenta verso di noi, in abiti dimessi, i capelli fermati da un pettinino sulla nuca.
Racconta una storia che comincia nell’aprile del 1917, a Sheffield, Inghilterra, la Prima Guerra Mondiale è ancora in corso e tutti gli uomini abili sono al fronte. Undici donne operaie in una ditta di munizioni si imbarcano in questa impresa sportiva dando il primo calcio nel cortile della fabbrica, tra mura di mattoncini rossi proprio come nell’arena del Teatro Studio. La squadra è un po’ male in arnese, non ha divise, non ha allenatore ma soprattutto non ha pallone! Le ragazze giocavano infatti con una ‘palla’, diciamo un oggetto tondo, e l’oggetto è uno dei prodotti della fabbrica: il fac-simile di una bomba. Già, la “Sister K”. Quella vera porta un’etichetta con la bandiera inglese ma per studiare e perfezionare la traiettoria dell’ordigno si utilizza una copia dello stesso peso e volume ma distinta da un’etichetta bianca, senza Union Jack. Un po’ pesantina ma insomma è tonda, rotola.
Maria Paiato potrebbe essere la zia di quelle undici giovani donne che diedero vita al Ladies Football Club, le iniziali LFC si devono a un marchio riciclato sulla divisa arrangiata che in realtà si riferiva a ben altro ma anche in questo le giocatrici non si formalizzano e anzi, l’aquila gialla di quel simbolo diventa il loro animale mascotte.
Maria Paiato è una fuoriclasse perché sa dare personalità alle undici donne di cui racconta con una misura così sottile e disinvolta da riempire lo spettatore di goduria: minimi gesti e minuscoli tic, precisissimi, che immediatamente regalano al personaggio il suo personale carattere: un tono di voce grave, una postura imperiosa, un fremito di timidezza, un’enfasi retorica nel parlare, un dito ingenuo appoggiato su un labbro, un’espressione disincantata, uno sguardo di sfida oppure di sgomento. Piccoli movimenti, dettagli. Quei dettagli che fanno grande un’interpretazione. Dettagli che dicono anche quanto un bravo regista possa esaltare un attore dirigendolo con discrezione, con sicurezza, con quella grazia attenta e sempre presente che può rendere uno spettacolo ineccepibile.
La formazione vede in campo (o in scena) Rosalyn Taylor, detta big Rosaliyn per la stazza e ovviamente sta in porta, Olivia Lloyd, Justine Wright, Penelope Anderson, Abigail Clarke, Haylie Owen, Melanie Murray, Violet Chapman, Brianna Griffith, Berenice MacDougall. Ma sono dieci! Ah già, l’undicesima è Sherill Bryan, l’invisibile, nessuno la vede, ce ne si dimentica, non è solo timida, si mimetizza. All’occasione sa trasformarsi anche in cancello, in siepe, pur di non farsi notare.
Sono nomi belli, sanno di quell’epoca e suonano bene insieme. Massini cura ogni particolare di un testo costruito con i crescendo al momento giusto, disegna i personaggi con ironia facendoli diventare persone, identificandoli ognuno per la propria cifra. La sua è una scrittura che sa come “marcare a uomo” lo spettatore, trattenendolo (ma senza far fallo) in modo che non si distragga e che si senta accompagnato a entrare dentro il racconto; un manuale molto acuto (e furbo) su come si deve dipanare un plot, su come inserire quel po’ di emotività senza mai scadere nel sentimento troppo facile.
Ladies football club è una storia di riscatto, la squadra vince, appassiona, stupisce, richiama pubblico e dà alle singole calciatrici la possibilità di fare quello che non avrebbero mai osato fuori dal campo. Le Ladies sono una scelta giusta per riaprire il teatro, che il cielo solo sa quanto bisogno abbia di riscattarsi dopo la lunga sconfitta a tavolino subìta senza poter discutere.
Il monologo dura un’ora e quarantacinque, come un partita di novanta minuti più l’intervallo (con qualche azione ripetuta), non sappiamo se sia un caso ma è una coincidenza indicativa. Ci sono due colpi di scena finali, uno narrativo e uno scenico: il primo è una chiusa inappuntabile che si ferma appena prima della ola dribblando abilmente il cliché, e il secondo è il teatro. La sorpresa registica che nessun video (nè moviola nè var) potrà mai far sentire e vibrare in quel modo.
LADIES FOOTBALL CLUB
di Stefano Massini
regia Giorgio Sangati
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
con Maria Paiato
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Teatro Studio Milano, 4 maggio 2021