EMANUELE TIRELLI | Non è cosa da tutti allestire mostre personali di respiro internazionale grazie al sostegno di André Breton. Non lo è nemmeno accogliere Lev Trotsky in fuga dalla Russia di Stalin e diventare poi sua amante. Non lo è anticipare il femminismo e fare di se stessi un’icona. Le opere di Frida Kahlo e, di conseguenza, tutta la sua vita, sono in mostra a Roma nelle sale delle Scuderie del Quirinale dallo scorso 20 marzo e ci resteranno fino al prossimo 31 agosto. Un allestimento che non è affatto ingiusto definire “necessario” per calarsi in un’atmosfera altra e senza tempo. 160 opere in totale tra dipinti, disegni e fotografie, dalle prime esperienze giovanili ai suoi quadri più emozionanti e comunicativi che, spesso e volentieri, sono proprio gli autoritratti che ne hanno fatta un’icona. Una vita complessa quella di Frida, vissuta tra il 1907 e il 1954, vittima di un incidente stradale devastante a soli 18 anni al quale forse il mondo deve il suo percorso artistico sul quale si concentrò abbandonando l’idea degli studi di medicina. Un incidente al quale lei stessa dovrà, insieme alla spina bifida diagnosticata invece come poliomelite, un’esistenza sempre profondamente debilitata. Messicana di corpo e di pancia, espressione chiara ed evidente della sua terra, parte del movimento comunista, sposa, due volte, del famoso pittore murale Diego Rivera e amante di molti uomini e altrettante donne. Artista ispirata, modernista, simbolista, surrealista per attribuzione, originale, naif, vicina ai colori della sua terra, dotata di una sottile ma pulsante vena umoristica, profondamente concentrata sul proprio corpo che era stata costretta ad osservare tanto a lungo durante il suo primo infinito ricovero. Con le sue opere ha descritto se stessa e i profondi cambiamenti politico-sociali del Novecento. Sul suo diario c’è scritto: “Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, portata dall’impeto della rivolta fino al momento di vedere giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita”.
Forse il pregio maggiore di questa mostra alle Scuderie è proprio quello di riuscire ad accompagnare anche il visitatore più a digiuno nella vita di Frida Kahlo che coincide necessariamente con la sua produzione artistica. Manca “La colonna spezzata” che può essere definita una delle sue opere più suggestive, ma ce ne sono molte altre altrettanto fondamentali come “Autoritratto con collana di spine e colibrì”, “Autoritratto con abito di velluto”, “L’amore abbraccia l’Universo, la Terra (Messico), Me, Diego e il Signor Xólotl” e altri 40 lavori che riescono a colmare con grande pregio l’assenza di una personale di Frida nel nostro Paese. Grazie anche a due contributi audiovisivi, chi ha visto il film diretto da Julie Taymor e interpretato da Salma Hayek e Alfred Molina (Diego Rivera) ritroverà volti e fisicità, qui più spigolose e naturalmente meno cinematografiche, che forse insieme ai lavori esposti sostituiranno nella mente le immagini della pellicola o magari spingeranno qualcuno a vederla. Di sicuro accompagneranno tutti nel mito, suggerendo ai meno informati di saperne ancora e ancora di una donna che ha fatto di se stessa, e con la ragione di esserlo, una vera opera d’arte.
Dopo l’appuntamento alle Scuderie, dal 20 settembre al 15 febbraio sarà possibile trovare un nuovo allestimento al Palazzo Ducale di Genova con un nucleo di opere comuni, ma diverso per sostanza e struttura.
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