MATTEO BRIGHENTI | Una girandola di maschere e di mascheramenti. L’Inferno dei Kinkaleri è teatro furioso, luogo indiavolato dello scambio. Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, cambiano il già detto da Dante Alighieri e fanno comparire sul palcoscenico del Teatro Fabbricone di Prato cose diverse da quelle che sono e si vedono nella realtà, lì davanti ai nostri occhi.
La maschera del Sommo Poeta non è più solo quella mortuaria conservata a Firenze, in Palazzo Vecchio: settecento anni dopo è voce viva, vivissima. È specchio e incarnazione di anime e di spiriti, di storie, di colpe e di peccati, che si rincorrono senza sosta e senza tregua verso la luce finale di un nuovo inizio.
Il proposito, l’orizzonte di significato e di visione di un simile Inferno è tanto semplice quanto ambizioso: stimolare o meglio accrescere, espandere la fantasia e l’ascolto, la creatività e l’empatia, delle bambine e dei bambini dagli otto anni in su, come avevamo già capito assistendo all’Inferno, il laboratorio/spettacolo online preparatorio del marzo scorso. E, a ben vedere, di tutti noi.
Daniele Bonaiuti, nei panni rossi di Dante, e lo stesso Mazzoni, in quelli candidi di Virgilio, “costruiscono” il racconto nel vero senso della parola: pezzo dopo pezzo, quadro dopo quadro. Con pennarelli e fogli di carta disegnano live ambienti e situazioni su un tavolo delle meraviglie che una telecamera riprende e proietta su uno schermo al centro di una scena per il resto completamente vuota.
Lo spettatore è libero di scegliere dove rivolgere lo sguardo, se al video e all’attore che ci interagisce oppure all’altro che si occupa della proiezione. A volte, capita che siano entrambi impegnati a raccontare e quindi a raccontarsi per immagini, come anche a dialogare insieme con le visioni di quell’occhio magico che inquadra cerchi, gironi e bolge infernali, fino al centro della Terra dove è precipitato Lucifero.
Il risultato è nella somma delle prospettive e degli elementi, alla partitura delle frasi e dei gesti risponde l’accordo delle luci con la musica. È tutto finto, di certo non è falso. I travestimenti di Bonaiuti e di Mazzoni, che giocano tutte le parti in commedia, sono palesi, a vista, ma non per questo soppiantano il “vero” di un grande viaggio di trasformazione, di un’avventura grandiosa in un universo indescrivibile, immaginato anche grazie al contributo delle incisioni di Gustave Doré. Piuttosto, gli corrono in parallelo, e riescono ad afferrare un nucleo profondo di verità: solo una volta che l’abbiamo attraversato possiamo dire di aver visto davvero l’Inferno. Qualunque e dovunque esso sia.
«È necessario che ciascuno scenda una volta nel suo Inferno» esclama Orfeo nei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Quanto dura e quanto fa paura lo decidiamo noi con le nostre stesse mani, sembrano ribattergli i Kinkaleri con questo spettacolo pieno di inventiva, di ironia e di umanità, dove il mistero è l’ombra di una luce che dalle tenebre della narrazione scenica e dantesca risale alla platea.
Alla fine, il pubblico sono le stelle che rivedono Dante e Virgilio e, tramite loro, tutti quanti gli artisti. Un incontro che riprende il filo del discorso e dell’entusiasmo interrotti. «Mamma – chiede un bambino accanto a me – lo guardiamo il Purgatorio?». «Sì – risponde lei – non appena lo fanno». Ora che i teatri finalmente sono riaperti, è soltanto una questione di tempo.
Inferno
liberamente tratto dalla “Divina Commedia” di Dante Alighieri
progetto Kinkaleri / Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco
con Daniele Bonaiuti, Marco Mazzoni
luci Giulia Broggi
organizzazione Gaia Fronzaroli
produzione KLm_Kinkaleri
in collaborazione con Fondazione Teatro Metastasio, Fondazione Toscana Spettacolo onlus
con il sostegno di Regione Toscana, MiBACT – Dipartimento dello Spettacolo, spazioK. Prato
12 giugno 2021
Teatro Fabbricone, Prato