ANDREA CIOMMIENTO | “La Repubblica contesa” si fa punto di vista locale e universale grazie a un registro di comprensione accessibile e vicino al linguaggio della Commedia dell’Arte, foglio pregiato di tornasole della Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine. È la scena a consigliarci una prima predisposizione del sentimento: palchetto in legno, quinte denudate e attori onesti nel loro fare fin dalle prime azioni. Gli allievi diretti da Claudio De Maglio raccontano a mo’ di canovaccio la storia rielaborata attorno al periodo “1617: dalla Guerra di Gradisca ai complotti d’Europa in Venezia” inserendo al suo interno stralci di getto contemporaneo in un canonico intreccio di repertorio da comici dell’arte: veleni e zizzanie a insaputa dei padroni, innamoramenti da ceto sociale affine, corpi attratti dall’istinto bilanciato nel proprio perineo. Gli attori masticano i luoghi prossimi alla visceralità di un popolo, o meglio, dei popoli incarnati da ogni maschera presente, che sia uno zanni, una servetta sarda o una balia friulana. Lo fanno rimescolando in taluni casi le carte proponendo anime geografiche differenti e ben riconoscibili (da esempio il Pantalone siculo e il suo vendere dolci e salati appetibili in tutta Venezia). È l’uso della maschera che trasfigura e si riappropria dei corpi, delle espressioni modellate e della voce emessa da ogni attore. Tra tutti gli allievi rendono lieta la nostra attenzione il primo Arlecchino che manifesta il suo essere padrone del movimento e dell’animo (agile e posato) e la balia friulana con il suo fare mai scimmiottante, presente al pragmatismo friulano con ingenua furbizia per niente sciatta, capace a nostra percezione di garantire la stessa qualità in ruoli ben più delicati e femminili.
La metamorfosi riesce didatticamente nella sua struttura da perfetto “manuale dell’attore comico” nel suo senso più canonico. Le uniche sbavature presenti riguardano la durata: quasi due ore per uno spettacolo dal retrogusto minimo di saggio sono azzardo, se non altro per la presenza di attori ancora in formazione accademica. Una simile scelta rischia di rivelare le toppe fallando il ritmo da tenere alto soprattutto in spettacoli di commedia. Anche l’uso del canto, nobile sia all’inizio che a conclusione, appare come un cassetto aperto e richiuso, poi nuovamente riaperto alla fine come spettacolo a sé in modalità stereo on/off. L’ultima esitazione riguarda il termine dell’allestimento liquidato in formula riduzionista, senza relazione con la profondità; per intenderci: l’idea di creare una comune di contadini in Friuli, con annessa battuta “mai dire mais” e una pannocchia come ultimo tesoro, tende a ridurre e non a impreziosire. “La Repubblica contesa” propone momenti brillanti che tirati nel tempo stridono, altri interessanti da rielaborare nella direzione della profondità.
Certamente encomiabile la scelta gestionale: inserire lo spettacolo in diversi cartelloni del circuito regionale è segno riconoscibile e pregiato della Nico Pepe di questi ultimi anni, garante di una formazione accademica aperta al mondo esterno grazie alla circuitazione di saggi/spettacoli nei teatri della regione, in festival come Avignone OFF e Mittelfest e alla collaborazione con altre scuole del panorama italiano come la Paolo Grassi di Milano. Una possibilità di crescita spedita al di fuori delle mura didattiche propria dell’agire teatrale senza deposito in sordina negli anni di studio. Certo è che una verità si fa segno irripetibile e costante in Friuli: la contesa vincente della lingua friulana. In questa occasione conclusa drammaturgicamente ad arancini, polenta e vino.