MATTEO BRIGHENTI | La burocrazia è la maglia di un potere che non mostra mai il suo vero volto. Mai e poi mai. Ne Il cappotto si nasconde e agisce al riparo di una maschera di disprezzo e di impunità. Il protocollo è Dio, la gerarchia è il suo Verbo. Un simile mondo di regole si regge su una sola regola per essere umani: stare al proprio posto.
Akakij Akakievic Basmackin, il protagonista del racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, ha però la “colpa” di volersi costruire una vita migliore attraverso il suo onesto lavoro. Un’ambizione normale, più che normale ovunque, eccetto che nella San Pietroburgo malevola dello scrittore russo, che Alessio Bergamo rilegge per il suo teatro tutto gioco e fantasia.
È uno stato di grazia che ci viene offerto in dono da Angelica Azzellini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Erik Haglund, Stefano Parigi: una compagnia di attrici e di attori che vive la scena e sulla scena fino in fondo, senza risparmiarsi.

Foto di Andrea Scopelliti

La loro rincorsa, per la verità, è stata lunga. È cominciata nel gennaio 2018 con un laboratorio al Teatro della Pergola di Firenze, che all’epoca aveva rilevato il primo spettacolo gogoliano del gruppo, il formidabile Appunti di un pazzo, ed è arrivata al Circolo ARCI Casa del Popolo Caldine di Fiesole tre anni e nove mesi dopo. In mezzo, difficoltà, inciampi, tensioni e il tempo sospeso della pandemia.
«Un’ordalia, un’odissea», per dirla con Bergamo. La produzione di Cantiere Obraz/Teatro dell’Elce, in collaborazione con Postop Teatro, ne è venuta a capo con la forza della volontà e delle idee e con il sostegno, fortemente ricercato, di realtà come Armunia, Capotrave/Kilowatt, Catalyst, Vera Stasi, Teatro di Cestello, Teatro Solare.
Sul palco, specchio certo involontario del cammino accidentato fin qui descritto, si muove allora una galassia di figure grottesche che il vento gelido non disperde, ma fa sbattere continuamente contro una città ostile quanto la sua organizzazione, la sua legge. Eccessi, stravaganze, tic, servono a tirare fuori da ogni impiegato, da ogni capufficio o ufficiale che sia, la propria natura.
Cioè, quel misto di astio, di cinismo e di invidia, che è alla base della funzione che ricoprono, che incarnano per essere (riconosciuti) quello che sono. È un insieme di caratteri che restituiscono il ritratto impietoso di una società cattiva e solitaria, che abita le invenzioni scenografiche di Thomas Harris (suoi anche i costumi), che diventano ora uffici, ora case, ora cinema, ora stazione di polizia.

Foto di Andrea Scopelliti

È Cutrera che veste i panni umili e miti di Akakij e ci riesce con equilibrio, misura e dolente poesia. All’interno di questo sistema insensibile che spersonalizza le relazioni, si perde la possibilità stessa di farsi intendere. È come se chi sta in basso fosse condannato per sempre a parlare una lingua incomprensibile a chi sta in alto.
Ciononostante, questo copiatore di lettere a un ministero, che i colleghi non perdono occasione di deridere, insiste ancora e ancora nel chiedere attenzione, ascolto, comprensione umana. È tutto così esagerato, sproporzionato, assurdo, che sembra impossibile che Akakij continui imperterrito a mostrare rispetto per quell’autorità che non fa altro che schiacciarlo.
Perciò, ci sentiamo migliori di lui, e ridiamo. Ma sulle labbra, presto, ci si incrina l’anima. Non ridiamo con lui, ridiamo di lui. Non siamo affatto migliori, siamo di gran lunga peggiori, perché con il nostro sorriso scegliamo di stare dalla parte dei più forti.

Foto di Andrea Scopelliti

Nella ridda di segni che guidano la scena, alla lunga forse troppo di pari passo con la pagina (una rielaborazione drammaturgica maggiore avrebbe permesso di accorciare le oltre due ore di spettacolo, evitando la sensazione, qua e là, di dispersione del tour de force attorale), ce n’è uno che dà un contributo fondamentale al farci saltare sulla sedia per la bellezza e la semplicità evocativa del gioco d’attore.
Il cappotto del titolo, strumento di distinzione sociale, simulacro del proprio ruolo nell’ordinamento generale, è la personificazione reale, concreta, prima di tutto di ciò che Akakij ha, e poi di tutto ciò che vorrebbe avere, quando se ne fa fare dal sarto uno nuovo. In definitiva, è la sua possibilità di salvezza.
Ancora di più: è la sua donna. Non solo letterariamente, «perché il cappotto scelto da Gogol’ è femminile, in lingua originale», come sottolinea Eva Luna Mascolino, ma anche letteralmente, perché Comanducci e Azzellini si alternano dentro due capi giganti che lasciano scoperte soltanto le gambe. E Akakij non è certo l’unico: tutte le presenze sul palcoscenico sono seguite, accompagnate, completate dai loro rispettivi cappotti. In una realtà che riduce le persone a cose, le cose finiscono per essere elevate a persone.

Foto di Andrea Scopelliti

La felicità di sfoggiare il nuovo acquisto, e dunque la sua nuova vita, dura un solo giorno: la sera stessa l’impiegato viene assalito e derubato del suo bene più prezioso. La polizia lo ignora e non riesce neppure una colletta tra i colleghi. Dopo pochi giorni, Akakij muore di disperazione e di freddo.
Il suo sacrificio, però, non darà pace a carnefici, complici e omertosi vari. Il suo fantasma è qui per restare e infestare le loro esistenze. Karl Marx e Friederich Engels vedranno lo spettro del comunismo ne Il Capitale soltanto nel 1867: Gogol’ scrive Il cappotto nel 1842, venticinque anni prima.
L’essenziale è visibile in anticipo a chi sa fantasticare. Un insegnamento che Alessio Bergamo, le sue attrici, i suoi attori, hanno vissuto, vivono e continueranno a vivere sulla pelle e sul palcoscenico: lottare è sognare più forte di qualunque speranza tradita.

 

IL CAPPOTTO
Da Nikolaj Vasil’evič Gogol’
Regia di Alessio Bergamo

Con Angelica Azzellini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Erik Haglund, Stefano Parigi
Scenografie e costumi Thomas Harris
Luci Lorenzo Cardelli
Aiuto regia Michela Cioni
Assistente alla scenografia Antonella Longhitano
Ufficio Stampa Camilla Pieri
Organizzazione Paolo Ciotti
Produzione Cantiere Obraz/Teatro dell’Elce
In collaborazione con Postop Teatro
Con il sostegno di Regione Toscana – Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – Capotrave/Kilowatt Sansepolcro) – Catalyst nell’ambito del progetto “Residenze” Art. 43 – Mic e Regione Toscana – Vera Stasi Tuscania “Danza/Progetti per la scena 2020” – Teatro di Cestello Firenze

Circolo ARCI Casa del Popolo Caldine
Fiesole (FI)
nell’ambito de Il Sole d’Inverno – Rassegna teatrale a cura del Teatro Solare
18 novembre 2021