ESTER FORMATO | Un punto piccoletto, / superbo ed iracondo / “Dopo di me” gridava/ “verrà la fine del mondo”…
È come il grande poeta Gianni Rodari descriveva un dittatore: soltanto un punto piccoletto, un punto qualsiasi dopo il quale il mondo cambia pagina, per riscrivere una nuova storia.
La bonaria ironia dello scrittore piemontese non è molto lontana dalla cifra utilizzata da Daniele Timpano nell’ormai decennale monologo Dux in scatola, tornato in scena all’Elfo in cartellone a fianco del più recente spettacolo Gli Sposi – Romanian Tragedy” sul testo scritto da David Lescot. Entrambi gli spettacoli, benché presentino scritture e presupposti totalmente diversi, sono accomunati non solo dal fatto che ci parlano di due dittatori europei quali Mussolini e Ceausescu, ma da come questi sono narrati.
In Dux in scatola già dal titolo è evidente la compressione che si fa del personaggio Mussolini. Timpano racconta le traversie del suo corpo post-mortem ma la scatola non è soltanto un richiamo alla bara, piuttosto una provocatoria reductio a un punto piccoletto, per dirla come Rodari, del personaggio.
Si, perché quello di Daniele Timpano è un monologo che si pone a metà strada fra rivista e teatro dell’assurdo: confinato nella sua bara, un inedito Mussolini racconta le vicende intorno alla sua sepoltura e quindi, del suo cadavere, in un momento in cui l’Italia ha già voltato pagina ed è divenuta, a suo dire, una “repubblichina”.
Il racconto incomincia dalla fucilazione nei pressi di Como e arriva in piazzale Loreto a Milano; e dunque, prosegue con la narrazione dei vituperi del popolo, l’esposizione dei corpi, i macabri esami autoptici e i grotteschi spostamenti della salma stessa, sino al cimitero di Predappio dove – pare – stia riposando ancora.
Il monologo, quindi, ruota intorno all’idea di una reductio grottesca che mescola la retorica fascista a un brillante stile comico; dell’esperienza storica del fascismo non c’è nessuna traccia, resta un chapliniano ritratto allo scopo di rendere evidente l’imprescindibile banalità insita nel male di tutte le dittature e un’eco di quel linguaggio che strizza l’occhio alla prosaica virilità, tipica del Fascismo.
Allo spettatore resta la sensazione di vedere da un cannocchiale alla rovescia: un’entità ancora molto ingombrante nella nostra coscienza collettiva è osservata come un fenomeno piccolo, piccolo, se non insignificante.
Dopo dieci anni, Dux in scatola cerca naturalmente la complicità di un pubblico in grado di recepire lo sguardo disincantato entro un tessuto drammaturgico che ci offre provocatoriamente una minimizzazione della Storia, un goffo ritratto di una presenza sulla quale – in verità – non abbiamo messo mai un punto e a capo.
L’idea è sicuramente scevra di ogni retorica e banalità, ma manca alla tessitura drammaturgica un presupposto più elaborato che poteva sottendersi al lavoro in scena e che desse spessore al lavoro, senza la pretesa di assolvere a un teatro civile.
Con Gli Sposi – romanian tragedy ci spostiamo invece su un piano testuale molto differente: la drammaturgia a due voci stavolta si concentra sulla completa ascesa del dittatore romeno Ceausescu, avviando la storia sin dalle umili origini di lui e di Elena Petrescu (Elvira Frosini) che sposò nel 1947 e che fu presenza decisiva per la sua carriera e per tutta quanta la sua dittatura.
Seppur anche in questo caso la cifra dell’autore David Lescot resti comica, l’anima grottesca emerge dal fatto che il personaggio di Ceausescu sia pensato come una sorta di marionetta nelle mani della Petrescu, donna ambiziosissima e senza dubbio più energica e intelligente del marito. Lei la mente, lui il braccio.
Con ritmo incalzante la pièce snocciola gli avvenimenti più rilevanti della parabola politica romena privandoli dell’insita complessità, e anche qui appiattendo la drammaticità degli avvenimenti in virtù di un’ottica totalmente disincantata.
Studiando nei dettagli i tic fisici del dittatore romeno, Daniele Timpano ne fa una mirabile pantomima, rendendolo un inquietante “burattino meccanico” nelle mani della moglie, con spazi più o meno ampi di autonomia. Quel che di interessante emerge in Lescot, e che è portato in scena dai due attori, è un ritratto di due piccoli, piccolissimi individui senza nessun potenziale. Le loro banali origini ed esistenze trovano nell’inquieto slancio di chi vuole dal nulla divorare la scala sociale di un paese, il pass vincente per penetrare negli oscuri meccanismi politici del comunismo romeno e a un certo punto giungerne al comando.
Gli attori sono ben distaccati dai loro personaggi, ne riconoscono la tangibile natura grottesca, la trasformano in input istrionici, scelgono la scena vuota per poter trasmettere continuamente l’impressione di una recita, riproducendo sempre un effetto estraniante simile ai romanzi umoristici russi.
Il ritmo veloce che si impone in questa narrazione si associa a una progressiva meccanizzazione del corpo di Ceausescu che si arresta definitivamente negli eventi del 1989, anno del loro assassinio.
Cosa restano di questi personaggi? Sia in Dux in scatola che ne Gli Sposi i personaggi assumono via via un’identità quasi astorica, trasformandosi in corpo scenico, maschere, burattini, grazie all’intrinseco potere deformante del teatro.
Influenze di ormai lontane avanguardie russe? Il dittico Timpano/Frosini non sembra caricarsi di stilemi così poderosi, imprime sulla scena invece una personale prospettiva, non priva di una personalissima creatività.
Infatti, alla fine de Gli Sposi, scorrono sullo schermo scoppiettanti immagini della moderna ed esplosiva Bucarest al ritmo di una canzone romena, tormentone estivo di diversi anni fa; come a voler recidere il ponte con un passato ma al contempo, nell’improvviso stridore fra spettacolo e immagini, cogliere inevitabilmente i segni lasciati dalla dittatura, che ancora pulsano nel paese.
DUX IN SCATOLA
autobiografia d’oltretomba di Mussolini Benito
testo, regia e interpretazione Daniele Timpano
GLI SPOSI
Romanian tragedy
regia e interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
di David Lescot, traduzione Attilio Scarpellini
disegno luci Omar Scala
scene e costumi Alessandro Ratti
collaborazione artistica Lorenzo Letizia
voce off Valerio Malorni, progetto grafico Valentina Pastorino
musiche Maria Tanase, Zavaidoc, Horea Eugen Ardeleanu, Margareta Paslaru, Dan Spataru, Haiducii
uno spettacolo di Frosini/Timpano
Produzione Gli Scarti- Accademia degli Artefatti, Kataklisma Teatro
Finalista al Premio Ubu 2019 come miglior nuovo testo straniero
Teatro Elfo Puccini, Milano
25 e 30 gennaio 2022