RENZO FRANCABANDERA | È figura artistica singolare Alessandro Berti nel panorama della drammaturgia e del teatro italiano. Il suo percorso artistico, la sua ricerca, le sue recenti creazioni lo rendono specifico.
Fondatore alle soglie del 2000 con Michela Lucenti de L’Impasto Comunità Teatrale, per cui ha scritto e diretto tutti gli spettacoli, dal 2006 ha avviato un personalissimo percorso di ricerca sul monologo come canale di relazione col pubblico fra i quali Combattimento spirituale davanti a una cucina Ikea, (2011, Premio I Teatri Del Sacro).

Il rapporto fra società, individuo, politica, fede, forme del dialogo hanno spinto alla creazione dei successivi Un cristiano (2014), storia del martirio di don Fornasini nella strage nazifascista di Monte Sole a Marzabotto, Fermarsi (2015), Leila della Tempesta (2016), dialogo-scontro tra una detenuta di fede islamica e un monaco e Simeone e Samir, quest’ultimo nato da uno scritto del dosettiano Ignazio de Francesco e proposto a I Teatri del Sacro sulle origini del radicalismo, che adesso viene imputato alla religione musulmana ma che ha a che fare anche con le origini del cristianesimo.
Questo filone di ricerca si concentra su dialoghi a due su religioni, laicità e Costituzione, che rasentano la dimensione mistica e utilizzano il teatro e  il dialogo di matrice antropologico-filosofica per una indagine politica in tutte le sue possibili declinazioni. Sempre con lo stesso metodo drammaturgico ma con un codice di parola molto più diretto, seppure borghese, colto, nell’ultimo quinquennio si è consolidato un altro nucleo di indagine: insieme alla nascita dell’associazione Casavuota, che si occupa di intervento culturale (in particolare sul territorio della città metropolitana di Bologna) con l’arte in un’attenzione costante alle questioni del dialogo interculturale, è nato il progetto Bugie bianche.

Bugie bianche ha assunto tra le altre la forma della trilogia teatrale: ne fanno parte Black Dick (2018), Negri senza memoria (2020) e Blind Love (2022) tutti riproposti di recente da ERT in una personale dedicata all’artista fra Bologna e Modena.
La personale fa seguito al conseguimento, nel 2021 del Premio speciale per l’innovazione drammaturgica alla 56° edizione del Premio Riccione per il Teatro «per la determinazione costante nell’affrontare le questioni più urgenti del nostro presente senza mai scindere la dimensione politica da quella intima, ma anzi rintracciando attraverso la scrittura i nessi sostanziali che legano pubblico e privato. Il suo lavoro di produzione e scavo dei materiali documentali e poetici conduce a una messa in parola mai retorica, potente nel divenire speech pungente, azione emotiva e strumento di analisi e critica della realtà».

Black dick stand è una sorta di stand up comedy musicale, di cui il drammaturgo è anche interprete, e che si concentra sui preconcetti culturali della società bianca, indagando l’immagine del maschio nero per come l’ha costruita e spacciata il maschio bianco, specialmente negli USA: dai linciaggi alla pornografia, dallo schiavismo ai trionfi nello sport, dalle Black Panthers al Rap.

ph Daniela Neri

Sempre con la forma della narrazione concertata si sviluppa Negri senza memoria, che prendendo spunto da una dichiarazione del rapper Chuck Nice nel 2002: “gli italiani sono negri dalla memoria corta”, che scatenò le polemiche delle associazioni italoamericane, dai canti di emigrazione italiana fino al cantante italoamericano per eccellenza, Frank Sinatra, si indagano prossimità e conflitti fra italo e afroamericani, dalle alleanze tra contadini siciliani e figli di schiavi in Lousiana fino alla solidarietà alla causa dei neri da parte del movimento anarchico italiano negli USA. Una riflessione che aiuta anche a leggere e rileggere le questioni della migrazione, specialmente in questi anni in cui l’Italia deve accogliere altre popolazioni migranti.

Finiamo con Blind Love, riproposto di recente al Teatro del Tempio di Modena dopo le date bolognesi. Qui Berti porta in scena una coppia mista, lui bianco lei nera (lo stesso Berti e Rosanna Sparapano), entrambi italiani, borghesi metropolitani, più che “studiati”. Il testo parte dalla provocatoria domanda di lui circa la fascinazione per la dominazione nella pratica sessuale, che lei bolla come “da vecchi”.
La cultura e la preparazione francofona di lei si incontra e scontra con quella di lui, più  anglofona, simbolicamente intorno al letto di un monolocale.
Lui sente di poter pensare a lei, sua compagna, come possibile schiava? L’immaginario erotico la può avvicinare più alla amazzone selvaggia e dall’indole indomita africana o alla dimensione svilente con cui l’immaginario erotico più becero occidentale bianco è pronto a bollare la donna di pelle nera?
La discussione che parte dalle provocazioni sulla dimensione erotica, si trasferiscono ben presto su questioni socio culturali assai dense, che evidentemente legano la rappresentazione ad un prato di letture e libri (fra cui capitale il richiamo agli scritti di ispirazione trozkista di Frantz Fanon come il suo I dannati della terra del 1965), posti simbolicamente alla base dello spettacolo, in una installazione accumulativa in proscenio, e poi sul fondale della scenografia. Lo studio su donne e schiavitù nel mondo e in Africa in particolare, d’altronde, è argomento relativamente recente, se si pensa che il primo studio incentrato sulle esperienze delle donne schiave, di Lucille Mathurin Mair è del 1975 seguito poi da quelli di Boniface Obichere, ma un interesse accademico più diffuso e sostenuto è iniziato solo negli anni ’80 del secolo scorso, dallo sviluppo degli studi sulle donne e sul genere negli Stati Uniti.

Lo spettacolo è un vero e proprio dialogo filosofico, ben scritto, e con qualche intermezzo di movimento e di ambientazione delle due corporeità nel microcosmo condiviso. Dalle trappole psicologiche di una relazione interracial si passa di battuta in battuta ad indagare temi sempre più antropologico-fisolofici, come in tutti i dialoghi di Berti, dalle lotte identitarie, alle forme di tribalità della società contemporanea, passando per i retaggi religiosi, sociali, fino al ruolo annichilente della pornografia. Insomma “L’amore è cieco o la cecità verso gli altri ci impedisce di amare davvero?”
Intanto i ritmi afro rap della canzone Coucou di Meryl, fanno da sfondo musicale a una scena in cui il conflitto argomentativo ma anche socio-esistenziale si materializza in forma di gioco fra i due. Il disegno luci di Théo Longuemare è appropriato e non invasivo.

Attraverso la drammaturgia, che affronta in una fitta trama di botta e risposta questioni riferibili alle differenze economiche, geografiche e culturali fra il mondo occidentale bianco e quello afro-occidentalizzato, Berti ci parla in modo interessante dei cambiamenti della forma specifica della schiavitù e della sua rappresentazione anotrpologica nel tempo d’oggi; di cosa significhino in assoluto l’esportazione di un patrimonio culturale, l’accettazione, ove mai possibile, di un bagaglio simbolico-sociale non autoctono specie se abbinato ad un segno così marcato di differenza come il colore della pelle, e affronta in modo non superficiale le forme contemporanee di schiavitù, soggezione e dipendenza, compresa quella della erronea e stereotipata percezione dell’universo erotico attraverso la fruizione di pornografia.

Questo terzo capitolo del progetto Bugie bianche è un riuscito dialogo amoroso: Berti, più dimestico con questa forma dello stare in scena in cui l’attore deve stare davvero in bilico fra recitazione ed esposizione dialogica delle tesi argomentativi, quasi si fosse in un normale colloquio fra cucina, salotto e camera da letto di una casa medio borghese, riesce con più confidenza a tenere il delicato equilibrio interpretativo. Nel complesso comunque l’operazione risulta sicuramente interessante, arguta, e conclude il trittico portando in uno spazio intimo le riflessioni presenti anche nei lavori precedenti.
In fondo tutti i macro temi finiscono per impattare le dinamiche micro, le relazioni interpersonali, fino allo spazio intimo, fino alla camera da letto. E lì, alla fine, c’è una resa, del dominatore che si confessa incapace di pensare ad una qualche forma di rivoluzione. Che è sempre un peccato.

BLIND LOVE

uno spettacolo di Alessandro Berti
con Alessandro Berti e Rosanna Sparapano
regia Alessandro Berti
progetto Bugie bianche a cura di Gaia Raffiotta
disegno luci Théo Longuemare
sarta Anna Vecchi
produzione ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Casavuota
da una proposta di Anna de Manincor / ZimmerFrei
foto di Daniela Neri
foto di scena di Marika Puicher