RENZO FRANCABANDERA | Il primo volo in scena L’Angelo della Storia lo farà ad Ancona (in prima assoluta il 17 e il 18 giugno) con partenza dal Teatro Sperimentale, in occasione di Inteatro, lo storico festival di arti sceniche e performative, che giunge quest’anno alla 43esima edizione. L’importante manifestazione internazionale, che ha la direzione artistica di Velia Papa, dedicata alle arti performative contemporanee italiane e straniere, ogni anno, a giugno, anima il borgo di Polverigi (a circa 20 km da Ancona) con l’incantevole Villa Nappi, sede anche di residenze artistiche, e il suo parco secolare e riserva alcuni appuntamenti alla città di Ancona, come questo debutto della nuova creazione di Sotterraneo, una coproduzione che vede in prima linea Marche Teatro insieme a CSS, Teatri di Pistoia e Teatro Nacional D. Maria II.
Il collettivo di ricerca teatrale nato a Firenze nel 2005 e nel tempo si confronta con formati diversi quali spettacoli, performance, site-specific, regie liriche, progetti per l’infanzia, talk-show e in questo spettacolo assembla aneddoti storici di secoli e geografie differenti, che raccontano le contraddizioni di intere epoche, azioni che suscitano spaesamento o commozione, momenti che in una parola si potrebbero definire paradossali e vedrà in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini, con la drammaturgia firmata da Daniele Villa, che abbiamo intervistato.
Daniele, i vostri lavori hanno di solito un pretesto narrativo e poi un tema semiotico più generale. È così anche per questo?
Bella domanda. Non ci avevo ancora fatto mente locale. Del resto sotto debutto si vive in fast-forward… Direi che in questo lavoro trasfiguriamo decine di aneddoti storici – effettivamente possiamo considerarli vere e proprie micronarrazioni – che intrecciamo fra loro in una drammaturgia fatta di costellazioni (metafora rubata a Walter Benjamin) per sviluppare una riflessione sul rapporto fra noi Sapiens e la realtà, che quasi sempre distorciamo, riconfiguriamo attraverso modelli approssimativi, ridefiniamo per mezzo di narrazioni. E ora che sono arrivato a questo punto della risposta direi che sì, lavoriamo su pretesto narrativo e semiotica generale anche stavolta. Il lavoro però è anche altro, una “centrifuga” di tutto ciò che ci piace fare: fisicità, testo fatto di collegamenti, soundscape, dolore e ironia nello stesso frame, immaginario collettivo, spostamenti di senso, il tutto pensato in una chiave nuova: insomma, speriamo d’aver fatto passi in territori inesplorati.
Come è nato questo lavoro?
Per qualche anno abbiamo collezionato aneddoti storici paradossali, momenti di epoche diverse in cui qualcuno compie un gesto spiazzante, assurdo, in conflitto col principio di realtà. Non necessariamente gesti ribelli o criminali, semplicemente circostanze in cui soggetto e realtà si disallineano in modo significativo. Esempi? Il tenente dell’esercito giapponese Hiroo Onoda che rimane su un’isola delle Filippine dal 1945 al 1974, convinto che la Seconda Guerra Mondiale non sia finita; O comunardi francesi che durante le rivolte parigine del 1830 si fanno fotografare sui monumenti abbattuti, e poi quelle stesse foto vengono utilizzate per individuarli e fucilarli; “Mad” Mike Hughes, che nel 2020 si lancia con un razzo fatto in casa per dimostrare che la Terra è piatta, ma poi le cose non vanno come previsto…
Avevamo un quaderno pieno di questi aneddoti e abbiamo pensato che potevano essere materia per uno spettacolo, li abbiamo incrociati con gli scritti dello storico Yuval Noah Harari, con qualche trattato di neuroscienze sulla misperception (Kahneman, Haidt, Harris, tra gli altri) e ovviamente con Benjamin, il suo Angelo della Storia e le sue costellazioni. Questo è il cocktail, ci abbiamo lavorato 9 mesi, ma solo adesso che incontriamo il pubblico scopriremo l’effetto che fa.
Da Foster Wallace fino alle lingue in via di estinzione, che problema ha il mondo contemporaneo con il linguaggio?
Il nostro David Foster Wallace in Overload si arrovellava sul linguaggio rispetto all’ecologia dell’attenzione, in questo tempo segnato dal rumore di fondo. Le parole intraducibili del nostro Atlante linguistico della Pangea si soffermavano sul linguaggio come strumento prioritario che noi Sapiens usiamo per analizzare e informare la realtà. Ne L’Angelo della Storia il linguaggio è legato alle diverse narrazioni a cui crediamo attraverso le epoche. Ora che li metto in fila mi rendo conto che è chiaramente una nostra ossessione, ma l’ossessione in realtà è più che altro quella di scandagliare la complessità senza precedenti in cui ci troviamo tutti a vivere nel Terzo Millennio, col salto cognitivo che sarebbe necessario fare per processarla, individualmente e attraverso il general intellect (citando Marx, che fa sempre figo). Conoscere meglio il funzionamento dei processi mentali e praticare un uso del linguaggio più consapevole ci sembrano obiettivi sensati per provare a stare nella complessità contemporanea in modo non nevrotico e distruttivo.
Secondo voi la tecnologia impoverisce il logos e quindi il pensiero? È un destino ineluttabile la schiavitú dell’algoritmo?
La tecnologia è uno strumento. Può impoverire il logos come arricchirlo. Ovviamente, come ogni strumento, non è neutro. Basti pensare che gli algoritmi ci lavorano continuamente e noi non sappiamo nemmeno come funzionano, né sappiamo come funzionano i meccanismi neurologici su cui gli algoritmi agiscono. Ciò detto, noi non crediamo nei destini ineluttabili. La lettura, il cinema, lo spettacolo dal vivo, l’arte visiva ecc. generano una forma di attenzione profonda che innesca quello che Kanehman chiama Sistema 2, ovvero (semplificando) la parte più evoluta e razionale del nostro cervello: senza demonizzare la rete, è bene tenere il più possibile in allenamento il pensiero lento (non per questo noioso!), profondo e complesso. Certo, è pressoché impossibile farlo coi social, ma se ti trovi su un social e clicchi un link che apre un articolo scientifico di 5 cartelle e lo leggi davvero, allora hai già in parte riequilibrato la tua dieta culturale.
Quali sostanze allora possono far fuggire l’uomo dalla prevedibilità digitale? L’arte è davvero tra queste?
L’arte, la cultura, la socialità intesa come confronto apertopossono contribuire all’indipendenza del pensiero (anche rispetto alle “macchine”), così come tutto ciò che genera dubbio, che ci ricorda che non sappiamo nulla, che siamo programmati per essere iper-efficienti ma essenzialmente stupidi. Se l’antidoto al regresso non è l’allenamento cognitivo collettivo, allora non sapremmo quali altre cure indicare.
L’arte è elitaria nel tempo presente? Vi sentite privilegiati?
Lo è. Su scala nazionale e globale. E ovviamente non dovrebbe esserlo, i vari comparti del settore teatrale per esempio dovrebbero lavorare in termini di aumento dell’accessibilità e della partecipazione: gli artisti ponendo il pubblico al centro delle loro sperimentazioni sui linguaggi (anche quelle più radicali), operatori e critica potenziando l’offerta, l’interesse, la curiosità. Detta così sembra una cosa ovvia, ma è tutto difficilissimo. E ci scontriamo anche con una fase di pesante contrazione culturale, contro ingranaggi ben più grandi di noi, questo però non deve farci rintanare in qualche nicchia consolatoria. Noi Sotterraneo siamo solo un gruppo fra mille, non abbiamo certo ricette magiche da proporre, forse però il sistema tutto potrebbe lavorare in modo coordinato (anche a livello legislativo) puntando a ridurre la spinta alla produttività e al tempo stesso a potenziare la riflessione strategica, anche perché, come diceva Benjamin, “che tutto resti così è la catastrofe”.
Noi come persone di circa 40 anni nate a Firenze negli anni ‘80, su scala globale siamo sicuramente dei privilegiati, anche se non tutti fra di noi sono partiti da condizioni favorevoli. Quanto a fare il mestiere che ci piace, che è il privilegio più grande che possiamo immaginare, è venuto tutto attraverso 17 anni di studio, ricerca, lavoro, e può esserci revocato anche domani.
L’ANGELO DELLA STORIA
uno spettacolo di Sotterraneo
drammaturgia e regia Daniele Villa
con Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
suoni Simone Arganini
luci Marco Santambrogio
costumi Ettore Lombardi
produzione Sotterraneo
coproduzione Marche Teatro, Associazione Teatrale Pistoiese, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Teatro Nacional D. Maria II
con in contributo di Centrale Fies, La Corte Ospitale, Armunia
con il supporto di Mic, Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze
residenze artistiche Centrale Fies_art work space, La Corte Ospitale, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin, Armunia, Elsinor/Teatro Cantiere Florida, Associazione Teatrale Pistoiese
Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, è residente presso Associazione Teatrale Pistoiese ed è artista associato al Piccolo Teatro di Milano
durata 75