ELENA ZETA GRIMALDI | Esistono diversi modi per fruire il teatro. Vederlo e ascoltarlo sono quelli che ci vengono subito in mente, ma ce n’è uno che spesso si tende a dimenticare, o che magari si ritiene di esclusivo interesse degli addetti ai lavori: leggere il teatro.
Leggere teatro non solo salvaguarda quella che è la componente più affascinante di quest’arte, l’immaginazione, ma addirittura la amplifica: leggendo una drammaturgia possiamo immaginare il nostro personale spettacolo, possiamo tornare indietro e rivedere una scena, fare un salto in avanti, soffermarci su una battuta particolarmente intrigante… essere registi, attori, scenografi e light designer. E, ovviamente, non esiste solo la drammaturgia, c’è tutto un mondo editoriale che vive intorno al teatro: saggi, biografie, cataloghi, manifesti, convegni dei più inaspettati, sono chicche attraverso cui conoscere la strana vita di un artista, scovare riflessioni sulla società, o anche imparare un po’ di più sul nostro sistema neuro-cognitivo.
Di pubblicazioni teatrali ne esistono moltissime, tra i titoli dei grandi editori generalisti e in quelli dei piccoli-medi editori, ed esistono anche case editrici che sulle arti performative hanno fondato il loro catalogo.
Una di queste è Cue Press, nata nel 2012 con l’obiettivo di «tirar via da quell’angolino in cui stavano sparendo» «quelle che sono comunemente definite nicchie editoriali», prima tra tutte, appunto, quella teatrale. Per fare questo Cue (che in inglese significa «battuta d’entrata», «suggerimento», «segnale») ha deciso di essere una «casa editrice digital first», lavorando in parallelo sulla qualità dei libri e sull’innovazione del formato, puntando sulla pubblicazione di e-book e creando gli Interactive eBook che si leggono attraverso una piattaforma on line che aggiunge all’esperienza del libro stampato diversi contenuti multimediali.
Abbiamo intervistato Mattia Visani, intorno a cui è nata Cue Press, per iniziare a inquadrare un po’ l’editoria teatrale e discutere dei suoi rapporti con lo spettacolo, aggiungendoci al già nutrito coro di chi vuol vedere sempre più teatro da leggere.
Com’è successo che vi siete imbarcarti in un settore particolare come l’editoria teatrale?
In questa scelta non so distinguere precisamente casualità e fatalità. Sono stato l’ultimo autore della Ubulibri. Franco Quadri stette male – e in seguito a quel male venne a mancare – il giorno che uscì il mio libro. Nell’editoria di settore rimase il vuoto. Non ho mai progettato di fare l’editore nella vita. Stavo passeggiando con un amico per le vie di Milano. Il mio amico aveva appena finito un master in Editoria digitale, così ci dicemmo: «Perché non apriamo una casa editrice digitale dedicata allo spettacolo?». Nacque Cue Press. Abbiamo cominciato dal teatro, per fattori contingenti. Adesso, Cue non pubblica solamente teatro e si allarga sempre di più verso altre discipline (cinema in primis), con un preciso modello aziendale.
Qual è la vostra linea editoriale? Cosa vi fa dire «Questo lo pubblichiamo!»?
Il concetto di «valore» culturale (immateriale) ed economico (materiale) e la combinazione di questi principi. È questo che mette in moto il progresso. Il valore immateriale del libro − di un prodotto culturale in genere − è qualcosa di radicato a livello profondo nell’animo delle persone e dei popoli, quasi a livello antropologico. Per decenni, in Italia, si è sentito dire che con la cultura non si mangia e, fatalmente, questo è divenuto realtà. Per smentire questo presupposto, mostrarne la pochezza, e spiegare quello che sto cercando di dire, basterebbe far notare che l’uomo più ricco del mondo e fondatore di Amazon (con cui sfortunatamente non avrò mai nulla da condividere), ha cominciato a costruire la sua fortuna vendendo libri. Solo successivamente si è messo a vendere frigoriferi, tecnologia, ecc… e anche allora non ha smesso di vendere libri.
Qual è il primo libro del vostro catalogo?
La danza e l’agitprop di Eugenia Casini Ropa.
E l’ultimo?
È appena uscito L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, il terzo dei quattro quaderni di regia con i testi riveduti dall’autore stesso. Subito prima è stato pubblicato Il mago di Oz di Salman Rushdie.
Che differenze ci sono tra ‘guardare’ teatro e ‘leggere’ teatro?
Leggere teatro richiede molta più immaginazione, ovvero fatica, perché l’immaginazione è un’attività pratica non meditativa. Per essere apprezzabile la lettura di un testo teatrale può richiedere una conoscenza della relazione tra le parole e la scena che, salvo determinati tipi di spettacolo, l’illusione scenica non contempla. È questo forse l’elemento di maggiore diversità e che impone al testo teatrale un tipo di fruizione non distratta, spingendo questo genere in un ambito spesso settoriale, data la scarsa attrattiva degli spettacoli e la scarsa educazione al teatro.
Cerchiamo di capirne un po’ di più su questa piccola nicchia culturale: chi legge i testi teatrali, drammaturgie o saggi che siano? Dove li compra? On line, in libreria, agli spettacoli…
Per definire il contesto editoriale teatrale, hai usato in dieci parole tre termini come «particolare», «piccolo», «nicchia»: potrei usare una espressione colorita e apotropaica, per descrivere quello che le tue parole suscitano in me. Capita spesso. Personalmente ritengo si debba ragionare in termini di «universalità», «grandezza» (con la consapevolezza delle dimensioni di ogni oggetto culturale perché possa essere adeguatamente collocato), «pluralità» (dell’offerta culturale, per intercettare i diversi tipi di pubblico – che non è un’entità indistinta). Nelle dinamiche della produzione culturale molti principi sarebbero da ridiscutere. In primis il rapporto tra denaro pubblico e attività privata. Se la fotografia pre-covid di Cue Press è quella di un’azienda che cresce del 68% producendo cultura, beh, non pensiamo di aver fatto un miracolo. I nostri lettori comprano i libri (e su questo è costruita la nostra attività) in tutti canali che hai indicato: è la specificità del prodotto a determinare la sua principale destinazione. Una prospettiva di crescita e un ideale di ‘progresso’ che non siano frutto dell’intervento divino, ci dicono due cose: 1. l’editoria di settore non è una nicchia così insignificante; 2. lavorando bene – mi scuso per la semplificazione – si può far crescere il settore culturale e creare benessere.
Potremmo dire che, in qualche modo, l’editoria teatrale ha sofferto doppiamente l’andazzo dei periodi di chiusura, senza la possibilità di fare né presentazioni in libreria né spettacoli nei teatri? Avete adottato qualche ‘strategia’ particolare a riguardo?
Posso dire di aver incontrato tante persone che mi hanno dato una mano e che hanno creduto in questo progetto. A tutti i livelli: elettivo, culturale, professionale, istituzionale, politico. Tutti loro devono essere ringraziati. A testimonianza del fatto che la differenza la fanno sempre le persone. Sono loro in prima linea. In due anni di pandemia, con teatri e librerie chiuse e compagnie e artisti senza lavoro (ampia fetta del nostro mercato) Cue Press ha ricevuto un ristoro di soli 4.000 euro. A titolo personale, non ho ricevuto neppure un euro. Tuttavia Cue non ha smesso di crescere, a testimonianza del valore e della solidità della nostra impresa, fondata (solamente, possiamo dirlo) sul lavoro, sul valore della cultura e su un’ampia progettualità. E la strategia che abbiamo adottato è stata quella di continuare a lavorare e progettare, perché è l’unico strumento che abbiamo per fronteggiare ‘la Storia’. Sono felice di poter contare su persone che, come me, si sentono parte del progetto che abbiamo costruito e che stiamo realizzando. Sono loro in prima linea. E sono loro che devo ringraziare.
Vedo il settore teatrale davvero a terra e questo incide naturalmente anche sui nostri bilanci, seppure in crescita. Ma alcune voci di ricavo hanno avuto dei cali che sono spiegabili solamente con la difficoltà del settore nel suo complesso. Il cambiamento è necessario.
Rispetto ad altri paesi, in Italia i testi teatrali non sembrano una lettura molta diffusa. C’è qualcosa che si potrebbe fare per migliorare la situazione?
Per prima cosa, bisogna cambiare i modelli di produzione culturale – i Comici dell’Arte erano imprenditori. Il terreno in cui fare impresa deve essere fertile (adesso non lo è). Solo questo è il compito di chi è preposto al governo della cultura e del patrimonio a esso collegato. Ecco cosa si potrebbe fare per vendere più libri di teatro: fare del buon teatro. Ma non basterebbe o è molto difficile farlo: servirebbe una gestione nuova degli spazi e delle risorse pubbliche. L’impostazione è troppo vecchia. Ma di questo ne parleremo quando sarò ministro della Cultura.
Quindi editoria teatrale e spettacoli teatrali (produzione culturale, dici tu) sono indissolubilmente legati? Uno è dipendente dall’altro, camminano di pari passo? Che rapporto hanno?
Sì, la produzione culturale e l’editoria sono strettamente legati. Ancora di più, storicamente, è giusto ricordarlo, in un paese come l’Italia, dove la lingua è nata dai libri. A maggior ragione se si guarda alla storia del teatro: al rapporto tra scena e pagina scritta.
[Le foto dell’articolo sono prese dalle pagine social di Cue Press]