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ALESSANDRO MASTANDREA | Spiega un accorato Cade Yeager (Mark Wahlberg) a un deluso Optimus Prime: “non dovete giudicarci per quello che siamo, ma per quel che possiamo essere, per il nostro potenziale”.
Quindi, prima di esprimere un parere sul nuovo capitolo della saga robotica diretta da Michael Bay, sarà meglio seguire lo stesso consiglio, giudicando Transformers 4 non per quello che effettivamente è, ma per quello che sarebbe potuto essere, per il suo potenziale.
E sotto questa lente, Transformers 4 esprime un potenziale altissimo. Blockbuster che è anche allegoria di tematiche spinose quali, ad esempio, l’accettazione e l’accoglienza del diverso da sé, del migrante (dell’alieno nel significato letterale del termine), delle difficoltà dei rapporti generazionali padre-figlio, del sottile confine che separa l’uso legittimo della forza da parte di una democrazia dal suo abuso e, infine, di cosa sia lecito fare nella lotta al terrorismo.
E’ un’antica casta di guerrieri quella degli Autobot, provenienti dallo spazio profondo e approdati per caso sul globo terracqueo, solo per scoprire che il loro arrivo è salutato da paura, sospetti e pregiudizi. A nulla valgono, per ingraziarsi la razza umana, gli sforzi profusi nella lotta contro i nemici di sempre, gli infidi Decepticon. Incompresi e malvisti, sulla squadra degli Autobot paiono gravare fosche nubi di tragedia, con la situazione che non fa che precipitare durante l’arco dell’avvincente saga.
Viene fuori, infatti, che questi robottoni antropomorfi non sappiano rinunciare alle proprie particolari usanze, barbare per i più, umanissime per altri, e dovunque essi si trovino obbligati a scatenare qualche fragorosa rissa da bar con l’immancabile seguito di alieni malvagi tornati per tormentarli. Sicchè, quel che accade dopo, è tutto un turbinio di esplosioni, crolli e devastazioni varie, che tocca sempre alla razza umana ripulire: che va bene anche qualche migliaio di vittime collaterali tra i civili – a quelle siamo tristemente abituati anche da queste parti – ma guai a toccare la pulizia e il decoro delle nostre città.
Non stupisce, allora, il trattamento riservato nell’ultimo capitolo della saga agli Autobot, con Optimus Prime che ha anche il coraggio di lamentarsi: “Dopo tutto quel che abbiamo fatto, gli umani ci danno anche la caccia”. Tipico atteggiamento di quelle minoranze aliene con manie di persecuzione, quando invece siamo noi umani a dover fare i conti con una ulteriore insidiosa eredità: l’aumento dei tassi di disoccupazione nel settore della pubblica sicurezza e nella lotta alle razze extraterrestri. A riprova che un’immigrazione senza regole crea seri problemi di occupazione.
Ai governi della terra, a quello USA in particolare, non rimane altro che attuare politiche fortemente conservatrici, rispolverando vecchi modelli economici che si pensavano sorpassati: un nuovo regime autarchico, ecco la novità. Interrompere l’importazione di tecnologia aliena e costruire con manovalanza locale robottoni migliori, salvo poi, all’occorrenza, delocalizzare in Cina, scenario perfetto per il roboante finale.
Braccati dagli umani e dai di loro evoluti manufatti robotici, nel paese delle grande muraglia, Optimum prime e compari sono sul punto di crollare, anche perché sulle loro tracce si sono messi nientemeno che i loro creatori, sorta di scafisti interstellari, cui la razza umana li ha venduti dopo aver siglato oscuri trattati bilaterali finalizzati all’inversione dei flussi migratori. Dati ormai per spacciati i Transformers sapranno tuttavia farsi valere, ribaltando le sorti della battaglia e liberando forme preistoriche di vita robotica aliena, commerciate illegalmente per la galassia dagli scafisti/padroni.
Si fa un gran dibattere in questi giorni di Michael Bay, e del suo modo di fare cinema. Se esso segua nuovi percorsi autoriali, una sperimentazione votata al superamento degli attuali limiti del cinema, o se il suo lavoro vada inquadrato in un più mesto inchino alle logiche di mercato e dell’exploitation. Domande cui, forse, solo il tempo potrà rispondere. Quel che è certo, è che il regista, con le sue opere, pone degli interrogativi. Se in modo consapevole o meno, è tutt’altra faccenda.

E ora i Transformers in salsa abruzzese:

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