CHIARA AMATO | Al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino al 30 ottobre andrà in scena Ditegli sempre di sì, uno dei testi minori e tra i primi scritti da Eduardo De Filippo nel 1927, con la regia di Roberto Andò.
Andò è artista poliedrico: si è occupato nella sua importante carriera sia di regie cinematografiche che teatrali, ed è ormai da anni direttore artistico del Teatro Stabile di Napoli. Affronta per la prima volta l’esperienza eduardiana come regista.
La scenografia, elaborata da Gianni Carluccio, pone a fondale una parete con tre porte e su ognuna di esse una punto luce. Al centro del palco un letto e ai lati due tavolini e aperture che figurano dei balconi.
Ci troviamo in una classica casa “di famiglia” napoletana degli anni ’30, un’immagine molto realistica e lineare.
La vicenda è giocata tutta sul limite tra follia e normalità del protagonista Michele, interpretato da Tony Laudadio, appena tornato a vivere con la sorella Teresa (Carolina Rosi), dopo un anno di cure presso un manicomio.
Intorno a loro ruotano i personaggi che vivono la casa di Teresa come persone di famiglia, ma nessuno sa dell’infermità mentale dell’uomo.
Il ritmo del primo tempo è molto veloce e ricco di fraintendimenti in ambito amoroso in pieno stile da farsa, come la definì lo stesso Eduardo nel ’27.
I gesti che caratterizzano Michele nell’interpretazione di Laudadio sono una serie di tic, che rendono la resa fresca e comica, senza che la sua follia venga vissuta dal pubblico come un peso o con atteggiamento di commiserazione, e una iper-precisione quasi autistica nell’utilizzo delle parole: “esistono le parole giuste, usiamole” una delle sue battute frequenti, ripetuta a più riprese.
Ad accompagnare Michele nel tema della pazzia c’è Luigi Strada, un giovane attore, universitario e poeta squattrinato affittuario di Teresa, interpretato da Andrea Cioffi.
In questo caso non c’è manicomio, non ci sono medici, né terapie, ma solo un sognatore che pone la vita e il teatro sullo stesso piano, perché in entrambi possono accadere avvenimenti che non si crederebbero mai possibili.
Sono loro due i motori di tutta l’opera e su di loro il lavoro registico è particolarmente interessante. L’ironia è la chiave di lettura di una vicenda così triste, di uomo solo nelle sue proiezioni.
Michele nell’evolvere drammaturgico crea, pur senza volerlo, problemi a chi gli è intorno: non ha capacità di lettura dei simboli e quindi crede a fatti che nella realtà sono solo metafore o sfottò fra gli altri personaggi: tutto da lui viene preso invece alla lettera e Laudadio riesce a restituire pienamente questo senso di spaesamento e di atteggiamento nevrotico.
Nel secondo atto cambia l’ambientazione e anche la scenografia di conseguenza.
I personaggi infatti vanno tutti a festeggiare un amico in campagna e proprio lì si scioglie la vicenda.
Qui la scena cambia: al centro del palcoscenico una grande tavola imbandita, Luigi che corteggia Evelina, interpretata da Federica Altamura, recitando poesie e cercando con quest’ultima di rubare momenti lontani dagli occhi censori del padre.
L’Altamura in questi panni veste un ruolo quasi infantile, regredisce nei suoi movimenti, come una bambina acerba tenuta col guinzaglio corto. Accentua questi modi fanciulleschi con grossi sorrisi e sospiri ingenui, eccessivi, marcati, intrecciando le gambe in modo goffo e imbarazzato.
Tutto si risolve, come nelle farse appunto, con l’agnizione finale, in cui viene svelato il segreto su Michele: i due fratelli si uniscono allora con un intreccio di mani, anche loro soli, e con il resto della “società” sullo sfondo, in camice bianco, immagine iconica che enfatizza i due schieramenti quasi opposti, divide (come se fosse possibile veramente) “i pazzi” da “i normali”, mentre tutta la compagnia dall’alto del palco lancia il suo ultimo sguardo verso il pubblico.
Si ricollega questa visione ad un altro passaggio, in cui il protagonista stacca i bottoni dalle giacche altrui, per liberarli dalle loro prigionie, ma non alla propria: lui non ne ha bisogno, è già libero.
Nulla è lasciato al caso, anche nella regia dei personaggi minori che risultano a conti fatti dei piccoli cammei, delle chicche che donano leggerezza, colore e fluidità alla storia.
Il ruolo che strazia nell’intera opera in realtà è la figura di Teresa, che mantiene uno sguardo malinconico, un atteggiamento remissivo: spalle basse, sguardi persi e poca voglia di gioire rispetto al destino che sa aspettarla. Un destino che, come accadeva nelle famiglie tradizionali dell’epoca, prevedeva per le figlie minori una vita in solitudine per occuparsi di quello che restava della famiglia, come gli anziani, o i malati: è l’unica a vestire interamente di nero.
I costumi, da un’idea di Francesca Livia Sartori, enfatizzano con le loro tinte neutre (beige, bianco e grigio) una provenienza comune dei protagonisti, senza nessun distacco sociale evidente dal loro abbigliamento. L’unico elemento che poi li differenzia è nella conclusione di cui si diceva, in cui “i normali” sono vestiti con il camice bianco, proprio per rimarcare l’analogia discriminatoria tra il manicomio e l’ambiente sociale.
Anche la risposta da parte del pubblico “dice sempre di sì”: è calorosa durante tutta la recita con risate fragorose, risate sottovoce, risate di compassione, risate di nostalgia di un tempo che fu, risate affettuose.
Richiamano alla mente e si accordano perfettamente a una distinzione di cui ci parla Luigi: per fare l’attore quelle risa, diverse, bisogna saperle interpretare tutte e in questo caso è la platea a interpretarle, e non smette di regalare applausi.
Come ci racconta lo stesso Eduardo, in una lectio magistralis nel 1980, durante una rappresentazione a Torino era stata proclamata la fondazione dell’Impero e rivolgendosi al pubblico disse: “Questa commedia è fortunata perché è cominciata in un regno e finisce in un impero! Ditegli sempre di sì!”.
DITEGLI SEMPRE DI SI’
di Eduardo De Filippo
regia Roberto Andò
con (in ordine di locandina) Carolina Rosi, Tony Laudadio, Andrea Cioffi, Antonio D’Avino, Federica Altamura, Vincenzo Castellone, Nicola Di Pinto, Paola Fulciniti, Carmen Annibale, Vincenzo D’Amato, Gianni Cannavacciuolo, Boris De Paola
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori
aiuto regia Luca Barbagna
aiuto scene Sebastiana Di Gesù
aiuto costumi Pina Sorrentini
direttore di scena Ivan De Paola
macchinista Angelo Pasquale
datore luci Danilo Cencelli
sarta Pina Sorrentino
foto Lia Pasqualino/Filippo Manzini
scena Scenografie Imparato & Figli
parrucche Trotta
materiale elettrico Gianchi Srl
trasporti MS Futura
segreteria generale Deborah Frate
segreteria organizzativa Isabella Saliceti
ufficio stampa Renato Rizzardi
produzione e organizzazione Elisa Pavolini
consulenza generale Natalia Di Iorio
produzione Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, Fondazione Teatro della Toscana