RENZO FRANCABANDERA | Non capita mai che uno spettacolo teatrale inizi con il linguaggio dei segni, con qualcuno che nel silenzio della sala spieghi la drammaturgia utilizzando le mani e la mimica facciale.
Succede invece a Padova dove il Teatro Stabile del Veneto (TSV) ha deciso di investire insieme ad una serie di altre realtà del territorio in un grande progetto di inclusività che permetta a non vedenti e non udenti di poter fruire alcuni spettacoli della stagione attraverso il ricorso a funzionalità multimediali. L’idea è quella di utilizzare la trasformazione digitale per creare nuove opportunità e rendere il teatro un luogo d’incontro aperto a tutti.
Il TSV ha voluto così intraprendere, con il progetto Maddalene Digital Experience, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e reso possibile anche grazie alla consulenza del Consiglio Regionale Veneto dell’Ente Nazionale Sordi, della Sezione Provinciale ENS di Padova e dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, un percorso di trasformazione della Sala delle Maddalene in un teatro con nuove tecnologie, adatte ad accogliere anche il pubblico di sordi e ciechi.
La struttura già all’ingresso è dotata di una rampa di accesso per le persone con disabilità motoria, proponendosi quindi come un piccolo gioiello esemplare di luogo inclusivo in cui la fruizione del lato artistico è davvero appannaggio di tutti.
È in questo clima, fra presenze attente e applausi silenziosi fatti librando le mani in aria e roteandole che, in modo strano ma emotivamente coinvolgente, trova declinazione Cultura Onlife 2021, il bando con cui la Fondazione ha promosso la digitalizzazione delle attività e dei servizi culturali: il TSV ha avviato dalla seconda metà del 2021 una serie di iniziative volte a creare un nuovo pubblico, grazie non solo a infrastrutture tecnologiche ma anche a metodologie innovative come la gestione di campagne di comunicazione e la messa a disposizione in tempo reale di contenuti integrativi.
Il primo caso concreto è stato proprio Gl’innamorati – un adattamento della commedia goldoniana a cura di Angela Demattè, per la regia di Andrea Chiodi e affidato nell’interpretazione alla Compagnia Giovani del TSV, andato in scena nella seconda metà di ottobre e con due repliche riservate ad accogliere anche il pubblico elettivo cui questo progetto è destinato, con la realizzazione di un’audio-introduzione dello spettacolo, il pieghevole di sala tradotto in alfabeto braille, i dialoghi disponibili su tablet con sottotitoli e a un video introduttivo con traduzione in LIS.
La recita, come si diceva, vede attivi gli attori e le attrici della Compagnia Giovani del TSV, che torniamo a vedere a pochi mesi dall’allestimento de La Dodicesima notte con la regia di Veronica Cruciani, di cui pure abbiamo reso testimonianza su PAC. Il progetto della Compagnia Giovani è parte del Protocollo d’Intesa tra Regione Veneto, Teatro Stabile del Veneto e Accademia Teatrale Veneta per la realizzazione di un’edizione transitoria del progetto Modello Te.S.eO. Veneto volto a creare opportunità professionali per i giovani artisti.
Alessia Spinelli nei panni della serva intrallazzona, è in scena insieme quindi al gruppo di interpreti provenienti dalla scuola del TSV, ovvero Gaspare Del Vecchio (Fabrizio), Elisa Grilli (Eugenia), Cristiano Parolin (Fulgenzio), Francesca Sartore (Clorinda), Leonardo Tosini (Roberto), Gianluca Bozzale (Ridolfo), Riccardo Gamba (Servo) e con Ottavia Sanfilippo (Flamminia) per questa commedia in atto unico ma originariamente in tre atti, scritta da Carlo Goldoni nel 1759, e parte di un progetto che prevedeva la stesura di nove opere, diverse per argomento, registro e metro letterario, e dedicate ognuna a una dea del Parnaso (Erato in questo caso).
Solo alcune delle nove furono però completate; questa e L’impresario delle Smirne furono allestiti nel successivo Carnevale.
Nella recente produzione teatrale italiana ne ricordiamo fra le altre, una decina d’anni fa, una riscrittura ad opera di Vitaliano Trevisan per un allestimento con la regia di Andrée Ruth Shammah che calcò i palcoscenici del TSV.
La vicenda racconta di due amanti litigiosi, Eugenia e Fulgenzio della loro storia d’amore dietro la quale si nascondono tensioni umane e sociali senza tempo. “I miei innamorati sono esagerati, ma non sono meno veri; c’è più verità che verosimiglianza nella commedia” scrive Goldoni dei suoi personaggi.
Si tratta di due giovani con famiglie impoveritesi e che cercano una loro indipendenza, economica oltre che esistenziale, in un contesto turbinante e incerto, sempre in movimento, in cui il tema del rispecchiamento, delle ambizioni reali e presunte, diventa stimolo centrale per un allestimento energico e con un buon ritmo.
I protagonisti sono due giovani del “ceto medio” che non possono ancora ambire all’indipendenza economica e quindi restano in balia di una contorno di figure parentali, di ricatti economici, di prospettive dal tratto surreale. Alle vicende dei due amanti si aggiungono le ambizioni piccolissimo-borghesi dello zio, Fabrizio, il cui carattere narcisista governa le sostanze (poche) e gli umori (ondivaghi) di una casa in rovina e di due sorelle, Eugenia e Flamminia, la prima innamorata di Fulgenzio in modo assai capriccioso e l’altra, già vedova, innamorata in modo proiettivo dell’amore fra i due innamorati.
La loro condizione spiantata trasforma l’affetto di Flamminia in invidia e quello di Eugenia in gelosia nevrotica. Il resto dei personaggi contribuisce a creare intorno a loro una piccola umanità, replica della società in miniatura, che fa da continuo contrappunto alle vicende.
Lo spettacolo come sempre negli allestimenti di Andrea Chiodi ha una particolare attenzione alla fruizione totale dello spazio scenico, inteso come geografia simbolica ma anche fisica, all’interno della quale si muove, tipicamente in una logica corale, l’azione artistica.
Su questo sicuramente ha impatto decisivo anche la presenza nella squadra di lavoro di Marco Angelilli alla cura del movimento, una figura il cui contributo creativo, nell’ultimo decennio, ha cambiato radicalmente l’idea di movimento nella scena performativa italiana. Belli i costumi nella palette dei colori freddi con dominanza del verde, opera di Ilaria Ariemme, che giocano con il pauperismo velletario dei protagonisti e dialogano in modo ben pensato con le cromie della scenografia, pensata da Guido Buganza, squadrata e capace di lasciare lo sguardo libero ma anche di segnare emotivamente l’allestimento intero.
Dentro la scelta cromatica del giallo gelosia netta e senza sfumature, la regia muove l’azione attorale in modo da leggere la commedia come segno collettivo filologico e contemporaneo allo stesso tempo.
Angela Demattè interviene in taluni punti della parola goldoniana per portarla al giorno d’oggi, ma senza che questo risulti sconvolgente, anzi: è preservata la ricchezza linguistica di forme lessicali arcaiche, la cui contemporaneità viene piuttosto affidata ad una mimica capace di attualizzarle. Si gioca qui e là con una giocosa fluidità sentimentale ed erotica, ma sempre restando nella misura.
A distanza di qualche giorno dalla replica, la questione che appare di maggior pregio risulta proprio quella per cui nessuna interpretazione, nessuna azione risulta significativamente e gerarchicamente superiore alle altre, a testimonianza di una capacità di costruzione di un quadro di insieme omogeneo e nitido, in cui i talenti degli interpreti si valorizzano crescendo in professionalità.
Il lavoro di Chiodi permette al classico di essere molto ben seguito e partecipato da un pubblico che a più riprese interviene con applausi a scena aperta, tifando per questo o quel personaggio in maniera davvero inaspettata ed esplicita, come se la vicenda in qualche modo arrivasse a riguardarli direttamente: sono cose che quasi a teatro non si vedono più e che invece testimoniano un bisogno di rispecchiamento del pubblico in sala che in questa regia viene accolto senza essere banalizzato.
Dal punto di vista tecnico lo spettacolo si allunga, in questa versione al debutto, in una serie di finali la cui asciugatura non potrà che giovare ad una fruizione senza cali di attenzione, ma nel complesso l’operazione risulta pregevole e ben giocata, fondata su dinamiche pop, a partire dalle scelte musicali dove i grandi classici di Ornella Vanoni la fanno da padrone.
Anche le gestualità e le mimiche sono accessibili e ammiccanti ma senza mai scivolare nel tragico “citazionismo da TikTok” che spesso vediamo riprodotto in scena per banali ganci al cosiddetto “pubblico ggiovane” e che invece depaupera l’opera d’arte marchiandola spesso come fintamente contemporanea: quei segni sono, invece, proprio quelli che imprimono agli spettacoli una drammatica data di scadenza, come quella sulla busta del latte.
E in questo spettacolo per fortuna non ce ne sono: la creazione può circuitare assolutamente, rivolgendosi al pubblico in modo inclusivo come è stato detto all’inizio a spettatori di ogni età, di ogni esperienza di sguardo e speriamo anche, e sempre più, senza barriere di alcun genere, come ha potuto felicemente essere in questa replica cui abbiamo assistito al Teatro delle Maddalene a Padova.
Agli applausi, un silenzio assordante fra pubblico e scena, con tutti i presenti, attori compresi, a mani alzate e a muoverle girandole. Chiudete gli occhi e provate a immaginarlo.
GL’INNAMORATI
Di Carlo Goldoni
Adattamento Angela Demattè
Regia Andrea Chiodi
con Alessia Spinelli egli attori e le attrici della Compagnia Giovani del TSV
Gianluca Bozzale, Gaspare Del Vecchio, Riccardo Gamba, Elisa Grilli, Cristiano Parolin, Francesca
Sartore, Leonardo Tosini e con Ottavia Sanfilippo
Scene Guido Buganza
Costumi Ilaria Ariemme
Musiche Daniele D’angelo
Cura del movimento Marco Angelilli
Aiuto regia Michele Tonicello
Foto e video Serena Pea
Produzione TSV – Teatro Nazionale