GIANNA VALENTI | La Lavanderia a Vapore di Collegno, alle porte di Torino, è una Casa della Danza parte della rete European DanceHouse Network e si presenta come centro di ricerca per la sperimentazione artistica contemporanea. Maneggiare con Cura è il titolo della stagione in corso. Il desiderio tracciato è quello di avvicinarsi, direzionare, sollecitare, lanciare, accogliere, toccare, guidare e maneggiare corpi, processi e possibilità immaginabili. E sono i corpi della danza e i suoi diversi linguaggi a incarnare queste azioni e questa visione di trasformazione dei processi artistici e sociali.
PAC incontra Chiara Organtini, project manager di Lavanderia a Vapore dal gennaio 2022 e da pochi mesi membro eletto del Board di European DanceHouse Network.
“Immaginazione collettiva”, “coltivare la creatività”, “prendersi cura”, “creare domande.” Quanto conta la visionarietà nella gestione manageriale di un luogo che si fonda sul linguaggio dei corpi, di un’istituzione che si occupa di arte e società?
È una prospettiva fondamentale per immaginarsi lo sviluppo di un corpo collettivo, di una struttura, di un’organizzazione, di uno spazio. E’ fondamentale perché nasce da un’ascolto profondo di quello in cui ci si muove, di quello che potrà arrivare. E’ il seminare una sensazione del possibile anche in un’organizzazione che già funziona e che ha una rotta assestata. Per esempio, la visione di un possibile è stata sviluppata nell’ultimo progetto di ricerca, dove lo spazio è stato trasformato in una sorta di scenografia abitabile con una sperimentazione che non era mai stata affrontata prima.
Questo immaginare scenari possibili e non ancora sperimentati è un’identità che ti appartiene nel profondo.
Credo di sì e credo che diversi progetti mi abbiano portata qui. Sono convinta che il lavoro gestionale e direzionale non possa non applicare le stesse lenti del lavoro artistico con cui si confronta. Con un linguaggio e con degli strumenti diversi, il mio lavoro deve poter navigare la stessa lunghezza d’onda del lavoro artistico, altrimenti sarebbe un semplice mettersi al servizio senza poter parlare lo stesso linguaggio.
Quali sono i corpi danzanti o legati alla danza di cui prendersi cura in questo momento storico. Qual è o quali sono le esigenze di inclusività nella tua visione progettuale?
Il corpo danzante è una nozione che cerchiamo sempre più di allargare, non solo al corpo umano, ma anche a specie altre o a oggetti che ripercorrono le stesse dinamiche. La danza, in questa visione, è una tensione di forze e di energie in cui il corpo è coinvolto, ma di cui non ne è sempre il centro. Rispetto alla dinamica della cura, rovescerei la domanda chiedendomi quali sono i corpi che si possono prendere cura di noi e che ci aiutano a riformulare gli equilibri che vediamo e le centralità che attribuiamo ai corpi estremamente normalizzati della nostra tradizione. Inizieremo un progetto con artisti con disabilità sul tema della loro leadership, ci prenderemo cura di corpi che generazionalmente sono considerati non performanti e che sfidano la nozione di bellezza e di abilità, cercheremo corpi, voci e abilità che non appartengono alla tradizione strettamente occidentale e ci occuperemo di grammatiche e linguaggi lontani da quelli celebrati nel mondo della danza.
C’è una necessità di praticare cura e attenzione verso il corpo dello spettatore? E come si può far crescere questa cura, quali sono i mezzi che hai o che vorresti avere a tua disposizione?
Ti ringrazio di darmi la possibilità di continuare a parlare di corpi. Per me è importante che non ci sia una scissione tra la mente e il corpo e la centralità della danza è proprio questa possibilità di spostare e sperimentare un nuovo modo di incarnare la conoscenza, per poi processarla e nominarla perché possa descrivere delle nuove narrazioni rispetto a quello che è noto e legittimato.
Il corpo dello spettatore lo rivediamo come corpo pubblico e del pubblico, perché una delle missioni su cui ci stiamo interrogando è proprio legata al ruolo del teatro in uno spazio di residenza, sfidando il senso della programmazione come visione semplice e fruizione. L’idea è invece quella di sperimentare con formati più immersivi, individuando artisti e artiste che lavorano con dei formati durational e che sfidano lo spazio facendone qualcosa in cui entrare e stare per il tempo che si desidera. A marzo faremo un lavoro site specific con un collettivo interdisciplinare che sta pensando a un setting che trasformerà lo spazio in un’installazione durazionale e abbiamo appena terminato una residenza attraversabile, dove, a partire da una proposta lanciata dagli artisti sulla reciprocità, ogni giorno arrivavano gruppi di persone diverse e si generavano frasi coreografiche a partire dagli ambienti che si creavano e dalle persone presenti.
Facendo un passo oltre, qual è la sfida immaginabile?
La sfida è proprio passare dalla fruizione all’immersione, così che il corpo dello spettatore si trasformi da corpo che fruisce a corpo performante. Una prospettiva che apre un aspetto interessante, quello dello smaterializzare l’autorialità, passando a progetti che sono di autorialità diffusa con condivisione e trasmissione di scores e a processi che coinvolgono più artisti e più persone come generazione collettiva di un essere terzo.
La scorsa estate sei stata eletta nel Board di European DanceHouse Network. Qual è l’unicità che desideri portare in questo contesto europeo e internazionale?
È una prospettiva che riguarda Lavanderia a Vapore come l’intero scenario artistico e politico italiano, perché è una prospettiva che manca all’interno del Network che ha un orientamento fortemente legato a una prospettiva centro e nord europea -un modello produttivo molto virtuoso che non esiste in Italia e in altre aree geografiche dell’Europa del sud. Il nostro modello, anche dove esiste una struttura come Lavanderia a Vapore, lavora su una rotta di precarietà ed è molto più vulnerabile, quindi è importante introdurre questo “valore di agilità” e di “connessione con il campo” spostando gli sguardi e introducendo nuove sensibilità.
La sfida poi, grazie a una nuova disponibilità di indirizzo di EDN, è il capire come permettere una maggiore sostenibilità della produzione, intesa non solo come mobilità, ma come sovrabbondanza di turn over continui di nuove creazioni, dando spazio a un accompagnamento più lungo e dando vita a processi per la messa in discussione sia del formato estetico che del ruolo della creazione nella società civile. Infine, fare una lavoro sull’internazionalizzazione dello scenario nazionale, perché è raro e difficile per gli artisti italiani trovare alleanze, collaborazioni e occasioni di crescita e di scambio a livello internazionale.
Per salutarci, puoi identificare per noi tre parole guida, tre keywords che desideri possano guidare il tuo fare in Lavanderia per il 2023?
Il Collettivo – Il Piacere – Il Possibile