VINCENZO SARDELLI | Ci sono format artistici che sembrano creati apposta per certi contesti. È il caso dello spettacolo Teatro di Terra, che abbiamo visto a Torre Guaceto sulla costa brindisina: natura, teatro, musica e cibo nei cortili dei contadini della Riserva. È il progetto Nelle case del Parco, giunto in questo agosto 2014 alla XIV edizione, curato dalla Compagnia Thalassia di Mesagne.
Ospitalità e conversazione. Polenta, bruschetta e formaggio. Peperonata, anguria e vino. Il cortile della casa bianca di Pinuccio Bellanova è lo scenario ideale per Paola Berselli e Stefano Pasquini, contadini-attori emiliani della Compagnia delle Ariette, in scena con Maurizio Ferraresi.
Lo spettacolo è ritrovo conviviale. Dopo gli applausi, si mangia.
Il cibo è rito, relazione. Servito al pubblico dagli stessi attori, il cibo non solo conclude, ma dà anche il via alla messinscena. Spicchi di formaggio, come quello che Odisseo si aspettava da Polifemo in nome dell’ospitalità cara agli dei. E mandorle, sinonimo di rinascita e saggezza, segreto e fecondità.
Piatti brindisini. E cibi della terra delle Ariette, associazione che dal 1989 produce e promuove anche cultura teatrale. “Ariette” è un podere in collina, 2,8 ettari di terra in pendenza lungo la Valle del Marcatore, sopra Bazzano, dalle parti di Bologna. Qui i campi hanno un nome, come le persone: Ariette, Due querce, Inferno, Purgatorio, Paradiso. Anche questa è convivialità. Come le storie che gli spettatori ascoltano, disposti a semicerchio, intorno a una scena che è terra e pollaio, paiolo e fornelletto a gas. E polenta, preparata durante lo spettacolo a segnare il tempo. A dare il ritmo. Lento. Solenne. Come il movimento della “cannella”, l’enorme mestolo di nocciolo che serve a mescolare. Come il vomere per rivoltare la terra.
Teatro di terra è agape, intreccio di esistenze e parole. «Non si può essere contemporaneamente ciò che si è e ciò che si è stati». Inizia il tempo di una trasformazione. Proprio come il mais, che si tramuta in polenta.
Il cerchio di terra al centro della scena è vita. Vita da cui si nasce e polvere cui si ritorna. Ma un ciclo può anche chiudersi in modo innaturale. Come lo sparo del G8 di Genova che spense la vita di Carlo Giuliani, ed è una delle prime istantanee dello spettacolo.
Sono racconti di morte, amore e abbandono. Emozioni di un teatro civile. Sono storie di semi e di carote. Cadenze di vanga e rastrello. E una terra che è dono e sudore. Citazioni colte, da Pessoa a Wim Wenders, da Tom Wait a Patti Pravo. Chiusura pirotecnica di popcorn cotti in padella, saltellanti come lapilli, e stelle filanti luminose nelle mani degli attori.
Uno spettacolo sulla terra non poteva che essere umile, artigianale. Forse un po’ slegato drammaturgicamente. Forse perfettibile nella regia di Stefano Pasquini. Ad esempio, come fa lo spettatore a capire che la genesi dello spettacolo coincide con i fatti di Genova del 2001, e che il riferimento a Giuliani fu considerato dalle Ariette un atto dovuto?
Ma qui, proprio, conta il cuore. E la verità di tre figure che si presentano in canottiera intima, con naturalezza quotidiana. Con i segni della pelle arrossata dal sole. E l’inflessione emiliana così reale, più pulita della dizione impostata dei teatranti.
Quando la riflessione sulla scena si fa struggente, ecco la capacità di smorzare: un naso da clown, una barzelletta, palloncini multicolori. Perché «non c’è impero o ideale che valga un solo pupazzo di neve».
Le lacrime di un annaffiatoio sulla parrucca di Paola Berselli, le miserie umane, non turbano la natura, l’alternarsi di lavoro e riposo. Scopriamo che persino strappare a pezzettini una banconota può essere un buon affare.
Mai smettere di sognare, ci dicono le Ariette. Male che vada, ci mangiamo su. Una spianata di polenta, profumi d’olio, parmigiano e rosmarino. E un buon rosso. A scacciare la malinconia. A brindare insieme, con allegria.