ELENA SCOLARI | Alessandro Manzoni moriva 150 anni fa, il 2023 è infatti l’anniversario della scomparsa del grande scrittore occorsa nel 1873. Gli anniversari sono sempre forieri di una pioggia di cosiddetti eventi che approfittano della ricorrenza ma non sempre supportano le iniziative con consistente interesse e perizia nell’affrontare il tema o il personaggio. Non è questo il caso del lavoro di PACTA . dei teatri, che ha creato l’ultima produzione prendendo spunto dall’opera dell’autore nato a Milano per una approfondita ricerca tra le fonti d’epoca.
Manzoni è I Promessi Sposi e chi scrive lo sa bene abitando a Lecco, su quel ramo del lago, dove alberghi, ristoranti, vie, piazze, sono intitolati a personaggi del romanzo. Dalla finestra del mio luogo di lavoro vedo la nota salita dei Bravi, o quel che ne resta; e da anni vado dicendo che in città manca solo un negozio di telefonia che si chiami “La sventurata rispose”.
E proprio della sventurata parliamo: Annig Raimondi firma la regia e drammaturgia di La monaca di Monza, alias Suor Virginia Maria alias Marianna De Leyva e interpreta nello spettacolo la monaca stessa affiancata da Alessandro Pazzi (il vicario) ed Eliel Ferreira de Sousa nel ruolo di un assistente del prelato inquisitore.
Nel Fermo e Lucia, una delle tante versioni del romanzo precedenti alla definitiva con il celebre titolo, Manzoni dedica ben sei capitoli alla storia della Monaca di Monza, con una dovizia perfino un tantino pedante di dettagli, anche quelli più macabri legati all’assassinio della suora che aveva visto troppo. Lo scrittore, arguto, si accorge dell’eccessiva abbondanza e infatti giunge – ne I promessi sposi – alla mirabile e insuperata sintesi che abbiamo citato: “La sventurata rispose”. Magnifica idea letteraria che tutto racchiude.
Per spiegare l’enigmatico carattere della ragazza, a Manzoni basta inventare poi quella piccola ciocca di capelli che le spuntava dal velo, ribelle alla benda bianca intorno al viso. Costretta dal volere paterno a pronunciare quel Sì ai voti religiosi – “Mi fo monaca di mio genio” – la giovinetta che diverrà poi “la Signora” del convento, passerà la vita intera a maledire quella sillaba detta obtorto collo.
Ma a chi rispose, questa benedetta donna? A Egidio, al secolo Giampaolo Osio, che la sedurrà accendendo i suoi sensi e facendole conoscere ciò che le sarebbe stato sempre precluso dalle mura conventuali. Un brutto affare. Aver ceduto a questa umana, umanissima tentazione le procurerà sovrumane sofferenze.
Lo spettacolo di PACTA si basa su un testo, complesso e stratificato, costruito ispirandosi non solo a Manzoni ma anche a Diderot e Stendhal – il primo per La Religieuse e il secondo per le figure di monache napoletane tratteggiate nei suoi scritti – e agli atti del processo intentato contro la suora, il cui nome alla nascita era Marianna De Leyva, donna realmente esistita e inequivocabile ispirazione per Manzoni e la sua monaca.
Raimondi sviluppa gli aspetti storici e umani meno noti del personaggio, allontanandosi dall’idea che ne caviamo dalla sola lettura manzoniana per concentrarsi sugli anni, per così dire, posteriori al romanzo, Marianna, infatti, dopo essere stata liberata dalla carcerazione in quella cella minuscola in cui fu – letteralmente – murata viva per 13 anni, visse infatti fino a 75 anni, età eccezionale per l’epoca.
Pazzi interroga con tono fermo e grave la donna, assistendo alle trasformazioni che l’attrice fa attraversare al suo personaggio passando da un atteggiamento giovane e saltellante a un incedere nervoso e combattivo; benché lo stile recitativo del vicario non muti, qua e là, si intuiscono alcuni tentennamenti d’umanità e qualche pallido segnale di comprensione e compassione. Il rapporto principale in scena è proprio quello tra Monaca e inquisitore, risulta meno chiara la posizione del terzo elemento, Ferreira de Sousa interviene con alcune chiose, non sostanziali, in una lingua a metà tra lo spagnolo e l’italiano, né del ruolo né della lingua è però evidente la motivazione drammaturgica, se non per un richiamo al fatto storico della dominazione spagnola in Lombardia nel Seicento.
Elemento caratterizzante del lavoro è senza dubbio l’atmosfera complessivamente inquietante, la rappresentazione scenica del pesante stato di cattività cui la donna fu costretta e che fu anche, fatalmente, prigione intellettuale. Ciò avviene anche grazie alle scene spoglie di Isolde Michelazzi, alle luci primordiali di Manfredi Michelazzi e ai suoni di reclusione curati da Maurizio Pisati. In questo contesto Annig Raimondi si muove oscillando tra il fantasmatico di un’anima persa e il sanguigno di una donna che nella carne ha affondato il suo destino.
Lo spettacolo è inserito, coerentemente, nel progetto DonneTeatroDiritti, ideato da Raimondi, e Marianna de Leyva merita che si indaghi su ciò che ha dovuto subire, a ricordare che è sempre meglio non scagliare la prima pietra né tantomeno posare il primo mattone di un muro di prigionia.
LA MONACA DI MONZA alias SUOR VIRGINIA MARIA alias MARIANNA DE LEYVA
da Manzoni, Diderot, Stendhal e gli atti del processo a Suor Virginia Maria
drammaturgia Annig Raimondi
con Alessandro Pazzi, Annig Raimondi ed Eliel Ferreira de Sousa
scene Isolde Michelazzi
musiche originali Maurizio Pisati
costumi Nir Lagziel
disegno luci Manfredi Michelazzi
assistenti alla regia Marianna Cossu, Stefano Tirantello, Bianca Tortato
produzione PACTA . dei Teatri
PACTA . dei Teatri, Milano | 11 maggio 2023