VALENTINA SORTE | Si è da poco conclusa la decima edizione di ORLANDO, Festival bergamasco che da dieci anni esplora con tenacia e coraggio i temi dell’identità, della rappresentazione del corpo e degli orientamenti sessuali, attraverso la lente d’ingrandimento del cinema, della danza, del teatro e dell’arte.
Questa edizione si è rivelata del tutto speciale, non solo perché si è inserita nell’anno in cui Bergamo, insieme a Brescia, è la Capitale Italiana della Cultura ma perché è stata più che mai uno spazio di incontro plurale, intersezionale, cross-disciplinare che ha messo in contatto pubblici differenti, rendendoli una comunità provvisoria e trasversale. Il festival ha registrato infatti un grande successo di pubblico: più di tremila presenze in otto giorni, contando 34 proposte tra performance, proiezioni, incontri e workshop.
Un dato ancor più significativo considerata la scelta artistica del suo direttore, Mauro Danesi, di puntare su dispositivi partecipativi, esperienze immersive, laboratori e attività dirette a piccoli gruppi di pubblico, che hanno attivato in modo diffuso e capillare diversi spazi della città senza passare dai teatri di grande platea.
Le parole d’ordine di questo ricco palinsesto sono state obliquità e alleanze. L’obliquità è stata declinata sia nell’accezione di “trasversale”, come prospettiva e pratica culturale di proporre azioni ibride, plurali e transdisciplinari, ma soprattutto come sguardo transitivo, che supera certe visioni – binarie, gerarchiche e normocentriche – per tracciare una nuova mappatura dei corpi, degli ecosistemi e delle identità, per costruire una società più equa, libera e sostenibile.
Le alleanze sono emerse come semi sparsi, grazie alla capacità di dialogare e co-progettare con diversi enti e soggetti sul territorio. Gli alleati di ORLANDO non sono stati semplici sponsor di eventi o di progetti ma interlocutori preziosi per fare della cultura uno strumento privilegiato di crescita sociale e inclusione. Una famiglia d’elezione, plurale ed estesa. Una famiglia che in questi dieci anni ha messo radici e si è allargata. Per talea.
Ne è un chiaro esempio il nuovo progetto PRATICARE ALLEANZE che ha visto il supporto di Fondazione Cariplo, Fondazione della Comunità Bergamasca e Fondazione della Comunità Bresciana. All’interno di questa proposta rientrano alcune iniziative collaterali come Orizzonti Queer, Dance Well Diffuso e alcuni spettacoli che saranno ospitati nei prossimi giorni all’interno di UP TO YOU, festival di teatro organizzato a Bergamo e provincia da ragazz* under 30.
A cavallo fra obliquità e alleanze si collocano due proposte molto interessanti per il dispositivo immersivo e partecipativo su cui sono costruite: Bodies in the Dark della compagnia coreana Elephants Laugh ed Eutopia del duo svizzero Trickster-p.
In Bodies in the Dark il pubblico è portato a confrontarsi con la percezione del proprio corpo e del corpo altrui in condizioni di completa oscurità e a rimappare i confini della propria socialità e del proprio pudore all’interno di contesti non convenzionali. La performance prevede che ogni spettatore venga convocato in un punto della città, per poi essere condotto – rigorosamente bendato – in uno spazio completamente buio, destrutturato, in cui entra in relazione con altre persone, in una sorta di esplorazione sensoriale guidata. Tramite delle cuffie, una voce fuori-campo conduce i partecipanti prima di tutto alla conoscenza dello spazio attorno a sé, attivando tutti i ricettori sensoriali fuorché la vista, e di conseguenza spinge alla configurazione di una nuova prossemica, in cui le distanze sociali ovviamente cambiano.
Che cos’è un corpo allora? È una realtà data una volta per tutte, un dato puramente oggettivo o una realtà che si costruisce in base alla percezione che ne abbiamo, un dato puramente soggettivo? Forse un dispositivo intersoggettivo, di intersezione? Che cosa lo definisce: l’anatomia o le esperienze? È un corpo biologico o un corpo fenomenologico e sociale? Che cosa determina i suoi confini, i suoi perimetri, le modalità di relazione con l’altro e il suo spazio di libertà? Quando si attiva l’autocensura? Quanto è possibile liberarsi da certe sovrastrutture e lasciare che il corpo diventi veramente rivoluzionario, anarchico?
Jinyeob Lee, insieme a Hyun Sung Seo, Sun Hee Park e Hyun Woo Jung, apre a questi e ad altri interessanti interrogativi che non sono per niente un gioco formale o intellettuale ma veri terremoti interiori. Togliersi i vestiti o no; perlustrare e investigare tutte le superfici – comprese quelle corporee – o no; perdere i propri riferimenti o no, cercarne altri, obliqui: sono scelte che, fatte in modo estemporaneo, rimangono a lungo dopo lo spettacolo. Scavano. Soprattutto quando, ricondotto al luogo di partenza, sempre bendato, lo spettatore non saprà mai dove è stato portato e con chi ha vissuto questa esperienza.
Un “esperimento sociale” e intimo, che si potrebbe senza esagerazione paragonare alla mancanza di gravità che prova il corpo dell’astronauta. Un misto di smarrimento e piacere. Una sensazione persistente, in germinazione. Per riprendere le parole di Mauro Danesi: Di ORLANDO interessa, al di là di quello che accade, ciò che resta.
Un’altra esperienza immersiva che rimarrà a lungo al di là del festival è stata sicuramente Eutopia. Si tratta dell’ultimo lavoro del pluripremiato duo svizzero Trickster-p che, da sempre aperto a forme di ricerca e sperimentazione, ha saputo unire alla performance anche il game design e l’installazione. In questa occasione, attraverso un approccio ludico e multisensoriale, vengono rimessi in discussione i vecchi modelli ecologici e antropologici. Il teatro viene trasformato in un grande tavolo da gioco in cui i partecipanti, divisi in piccoli gruppi, sono chiamati a immaginare nuovi habitat multispecie e a elaborare nuove strategie di coesistenza e sopravvivenza tra diverse comunità umane e non-umane (quella degli animali, delle piante e dei funghi). L’ibridazione emerge allora come possibile modello di interazione e di sostenibilità ambientale.
Come Elephants Laugh, anche Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl esplorano e si muovono in un territorio di frontiera, tra la visione interiore e la visione esteriore, tra la partecipazione individuale e quella collettiva, o meglio comunitaria, riflettendo sulla capacità del pubblico di stringere alleanze e creare nuove “parentele” tra specie diverse. Making kin, not population.
Nonostante le regole e le variabili siano sempre le stesse, Eutopia è un’esperienza dagli esiti sempre differenti in base all’etica dei suoi giocatori. La possibilità diventa ogni volta responsabilità, la scelta diventa ogni volta conseguenza sulla plancia di gioco. C’è spazio per l’imprevisto, c’è spazio per la strategia. La performance è un vero e proprio dispositivo in fieri che si fa atto comunitario, etico ed ecologico.
Che si tratti di performance ibride come quelle appena narrate o di laboratori, come Love me tender o Queereeoké, la dimensione partecipativa è stata un elemento ricorrente all’interno di ORLANDO. Quasi la sua cifra. Molto diverso da questo punto di vista è stato Stone, lo spettacolo che ha aperto con grande forza il festival. Nonostante un impianto drammaturgico e una linea performativa più tradizionali, basati essenzialmente sulla frontalità tra palco e platea e sulla linearità della narrazione, lo spettacolo è stato molto coinvolgente. Da una parte la sala, piccola e intima, che ha ospitato l’evento al Teatro Caverna, ha permesso di creare un ambiente molto accogliente, dall’altra parte la vicenda narrata ha toccato la sensibilità del pubblico.
Partendo dall’omonimo romanzo Stone Butch Blues di Leslie Feinberg, un classico della letteratura LGBTQUIA+, la bravissima Laura Mola ha portato in scena la biografia immaginaria, e ancora attualissima, dell’attivista Jess Goldberg: una stone butch – ovvero una butch di pietra, granitica – che sente di non appartenere a nessuno dei due generi. L’obliquità si è fatta qui contenuto. Jess incarna una dimensione altra, non-binaria, in continua negoziazione con il contesto sociale e con sé.
Attraverso un’esplorazione coraggiosa e sincera, e per questo sofferta, della propria identità, la vicenda di Jess diventa anche un racconto dei movimenti per i diritti della comunità trans, gay e lesbica negli Stati Uniti tra gli anni ‘60 e ‘80. È un canto di lamento e allo stesso tempo di celebrazione e di lotta. La regia di Carmen Pellegrinelli ha saputo giocare in modo efficace sull’alternanza di sequenze narrative a sequenze più performative, utilizzando una scenografia minimalista e modulare, composta da due semplici porta abiti e un’asta da microfono che, al bisogno, definivano spazi e tempi.
È sempre una scelta complessa portare in scena un romanzo, il rischio è di perdersi nel dettaglio biografico ma la Pellegrinelli in Stone ha affrontato in modo intelligente un testo così denso e, seguendo un principio di intersezionalità, ha cucito i temi dell’omofobia e della transfobia ai temi del razzismo, del capitalismo e del classismo, restituendo una lettura complessa del contemporaneo. Le scene più intense sono state comunque quelle in cui la parola ha lasciato spazio alla pura azione performativa. A volte più lirica e graffiante di qualsiasi altro linguaggio.
In questo breve racconto di ORLANDO, che ha toccato solo alcune delle proposte artistiche, credo si condensi comunque il bilancio di dieci anni di lavoro. La fotografia attuale è quella di un festival che vuol essere uno spazio d’incontro plurale, multidisciplinare ed eccentrico. Un osservatorio privilegiato della realtà che, partendo dal focus del genere e dell’orientamento sessuale delle prime edizioni, ha allargato i propri orizzonti includendo altri temi come l’ecologia, le diverse abilità, la multiculturalità, riuscendo ogni volta a ospitare lavori di grande qualità.
Bravi.
BODIES IN THE DARK
di Elephants Laugh
regia di Jinyeob Lee
con Hyun Sung Seo, Sun Hee Park, Hyun Woo Jung
suono Jimmy Sert
operatore del suono Jaemin Yoon
produttore CHOI Bongmin
in associazione con Producer Group DOT
con il supporto di Arts Council Korea
in collaborazione con il Consolato Generale della Repubblica di Corea a Milano
EUTOPIA
creazione Trickster-p
concetto e realizzazione Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl
collaborazione artistica Simona Gonella, Yves Regenass
collaborazione al game design Pietro Polsinelli
spazio sonoro originale Zeno Gabaglio
occhio esterno Martina Mutzner
assistenza e collaborazione alla costruzione Arianna Bianconi
grafica e consulenza all’allestimento Studio CCRZ
produzione Trickster-p, LAC Lugano Arte e Cultura
co-produzione Theater Chur, ROXY Birsfelden, Südpol Luzern, TAK Theater Liechtenstein, FOG Triennale Milano Performing Arts
con il sostegno di Pro Helvetia – Fondazione svizzera per la cultura, DECS Repubblica e Cantone Ticino – Fondo Swisslos, Città di Lugano, Municipio di Novazzano, Fachausschuss Tanz & Theater BS/BL, SWISSLOS/Kulturförderung Kanton Graubünden, Landis & Gyr Stiftung, GKB BEITRAGSFONDS, Stiftung Dr. Valentin Malamoud, Boner Stiftung für Kunst und Kultur, Bürgergemeinde Chur, Fondazione Winterhalter
STONE
liberamente tratto da “Stone butch blues” di Leslie Feinberg
scritto da Carmen Pellegrinelli
con Laura Mola
regia di Carmen Pellegrinelli
luci di Simone Moretti
comunicazione Ginevra Iuliano
una produzione “P&P Theatre Academic Productions”
ORLANDO FESTIVAL 2023
30 aprile – 7 maggio | Bergamo