MATTEO BRIGHENTI | «Il mondo è a pezzi e i pezzi siamo noi». Non lo posso verificare, ma immaginare sì: secondo me Karl Marx sarebbe stato d’accordo con Piero Pelù. A maggior ragione dopo aver assistito al Capitale di Kepler-452, la significativa apertura della nuova stagione del Teatro Metastasio di Prato.
La canzone citata, La musica fa, è un pezzo dei Liftiba dall’album Spirito libero. Lo spettacolo, scritto e diretto da Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, è un pezzo di teatro – pièce, in francese, significa questo. Anche l’articolo che stai leggendo è un pezzo. Ognuno è parte di un tutto. Parte e non porzione, perché non si tratta di elementi, di cose effettivamente staccate, separate, ma di prodotti che entrano l’uno nell’altro, e lo fanno muovere, proprio come gli ingranaggi.
Il sistema è il tutto: nello specifico, il sistema capitalistico. Il fine a cui ciascuna parte tende è il capitale. E per chi sta al vertice, al capo della catena produttiva, il padrone – materiale o immateriale che sia – il fine capitale è fisso, è costante, è immutabile. Del resto se ne frega, un pezzo vale un altro. Non conta il processo, l’assemblaggio: conta il risultato, il manufatto. Se un ingranaggio non gira abbastanza, o meglio, non gira quanto ci si aspetta da lui, basta sostituirlo. Che problema c’è?
Le lavoratrici e i lavoratori ex Gkn ancora in cassintegrazione ci guardano dritto negli occhi e ci gridano che no, non è così, non può essere così. I pezzi che produciamo non sono qualunque: siamo noi. Siamo noi perché sono fatti del nostro lavoro. Cioè, del tempo che dura la nostra fatica. La nostra vita. Tiziana De Biasio, Felice Ieraci, Francesco Iorio e Dario Salvetti del Collettivo della fabbrica di Campi Bisenzio ci chiamano alla lotta per questo: il riscatto della nostra vita.
La frontiera di resistenza aperta il 9 luglio 2021 – 422 operai licenziati via email letteralmente dalla sera alla mattina – arriva fino a qui. E continua da qui. La compagnia bolognese trova nel teatro, a mio avviso come mai prima d’ora, lo strumento per interpretare la realtà, e farsene portavoce. Durante Il Capitale la sala diventa estensione di quella assemblea permanente che occupa e si occupa della fabbrica anche oggi, anche in questo istante preciso.
Kepler-452 l’ha vissuta e interrogata per mesi, cercando di leggerci in filigrana le pagine di Marx per uno spettacolo sul Capitale (per la recensione di Pac rimando a Elena Scolari), da poco anche un libro curato da Lorenzo Donati per Luca Sossella Editore. Per la verità, però, la loro è una posizione scomoda, contraddittoria, perfino “parassitaria”. Borghesi, anche lui in scena, lo dice apertamente: «Odio me stesso che in fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho mai finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più».
È una scomodità che parla alla mia, che è specchio della mia su questa poltrona: io ho un lavoro che mi permette di spendere tempo a vedere e ascoltare chi un lavoro non ce l’ha. Ma è la formidabile chiave dal vero che mi sprona all’immedesimazione, che mi fa varcare i cancelli dello stabilimento ed esserci anch’io: alla postazione cinema, al picchetto della logistica, alle manifestazioni. Lì con loro a capire che non avevo capito proprio niente, che quella della ex Gkn non è solamente una vertenza: ha a che fare, soprattutto, con la ricerca della felicità.
E questa felicità si fonda, ma non si esaurisce, nel lavoro. È una delle intuizioni più luminose del Capitale di Kepler-452: le lavoratrici e i lavoratori non rivogliono indietro semplicemente il lavoro, reclamano come il lavoro li faceva stare e sentire. E sperimentandola con l’occupazione, rivendicano una qualità di tempo migliore, a misura di uomo, e non di macchina, di famiglia e non di linea. Nella fabbrica che vogliono sia la prima socialmente integrata d’Italia, per cui hanno lanciato una campagna di crowdfunding.
A distanza di due anni da quel 9 luglio, dopo 4 manifestazioni da 80mila persone, e 6mila chilometri di trasferte per raccontare quanto hanno fatto e stanno facendo, e davanti ai licenziamenti che sono ripartiti, l’assemblea permanente rimane «una sconfitta annunciata, ma che ancora oggi non è arrivata», come scandisce Salvetti, il delegato sindacale, nel potente monologo conclusivo.
I pugni chiusi sono l’unico ringraziamento possibile agli applausi finali. Di più: sono un monito. La lotta si fa manifestando la propria presenza. E “Insorgiamo” ne è il motto, «un noi prima persona plurale collettiva responsabilizzante». Noi, e quindi anche tu, anche io che non conoscevo una parola dell’inno Occupiamola cantato a squarciagola da tutto il Metastasio. Il Capitale finisce dove deve cominciare la realtà della militanza, di qualunque sorta. Altrimenti, lo riduciamo esattamente a quello che Enrico Baraldi e Nicola Borghesi non intendono fare: uno spettacolo.
Il Capitale.
Un libro che ancora non abbiamo letto
un progetto di Kepler-452
drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con Nicola Borghesi
e Tiziana De Biasio, Felice Ieraci, Francesco Iorio – Collettivo di fabbrica lavoratori GKN
e con la partecipazione di Dario Salvetti
luci e spazio scenico Vincent Longuemare
sound design Alberto Bebo Guidetti
video e documentazione Chiara Caliò
consulenza tecnico-scientifica su “Il Capitale” di Karl Marx Giovanni Zanotti
assistente alla regia Roberta Gabriele
macchinista Andrea Bovaia
tecnico luci e video Giuseppe Tomasi
fonico Francesco Vacca
elementi scenici realizzati nel Laboratorio di ERT
responsabile del laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
scenografe decoratrici Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni
ricerca iconografica e immagine di locandina Letizia Calori
foto di scena Luca Del Pia
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Si ringraziano Stefano Breda e Cantiere Camilo Cienfuegos di Campi Bisenzio
Visto il 19 ottobre 2023 | Teatro Metastasio, Prato