ENRICO PASTORE | Nell’ambito del Festival di letteratura Eco Mondo, diretto da Rita Atzeri e dall’Associazione Il Crogiolo, si è svolto il 3 novembre scorso a Cagliari, nell’aula magna “Motzo” dell’Università, il convegno VERSUS. Teatro/Editoria. Roberta Ferraresi, critica e docente di Discipline dello spettacolo, e Walter Porcedda, critico, sono stati gli organizzatori di questa giornata di studi, presentazioni, proiezioni.
Il tema non è oggi di facile maneggiabilità considerate non solo le numerosissime sfaccettature, ma anche le criticità e contraddizioni del rapporto secolare tra i due ambiti della parola e della scena, legame che ovviamente non si esaurisce nella drammaturgia teatrale.
Il primo intervento a opera di Guido Di Palma, docente di Storia del Teatro all’Università La Sapienza di Roma, mette subito il dito in una delle piaghe: il sistema di valutazione secondo supposti criteri di scientificità delle riviste accademiche. Di Palma si riferisce non solo a ANVUR, l’Agenzia per la valutazione del sistema Universitario e della ricerca, ma anche ai metodi del cosiddetto “doppio cieco” e dei referee, ossia i giudizi espressi da enti terzi sulla qualità scientifica delle pubblicazioni e delle riviste da cui si determinano i finanziamenti e il susseguente obbligo a inserire tra gli articolisti solo studiosi di ruolo.
Di Palma evidenzia le contraddizioni di un tale sistema, portando a esempio la rivista Biblioteca Teatrale, rivista di studi e ricerche sullo spettacolo, fondata nel 1971, e diretta da Ferruccio Marotti e Cesare Molinari, i cui numeri nei primi anni di vita portavano quelle che oggi sono grandi firme della ricerca (ad esempio Meldolesi o Savarese) ma che all’epoca erano semplici ricercatori o associati, i cui scritti però cambiarono la percezione di alcuni periodi storici del teatro, e che oggi non troverebbero spazio sulle riviste più qualificate.
I successivi interventi di Debora Pietrobono, oggi ufficio stampa di ERT, e in passato operatrice e organizzatrice, e di Clemente Tafuri e David Beronio, direttori di Teatro Akropolis e del Festival Testimonianza, Ricerca, Azioni di Genova, nonché registi e editori, dimostrano il possibile proficuo rapporto tra editoria e teatro ma soprattutto una delle funzioni fondamentali del libro che si affianca all’evento scenico ossia quella della testimonianza e della documentazione. Un testo può essere esso stesso teatro quando non è solo un appendice ma si presenta come un’alterità necessaria a completare il processo avvenuto sulla scena.
Luca Sossella, della casa editrice che porta il suo nome, e Mattia Visani di Cue Press, recentemente insignita del Premio Nazionale della Critica, mettono l’accento sulla sostenibilità dei progetti editoriali legati al mondo delle arti sceniche. In particolare Sossella sostiene come un catalogo editoriale sia frutto dell’inversione della locuzione “si fa quel che si può” in “si può quel che si fa”. Inoltre Sossella prova a illuminare due criticità: il tema della competenza e quello della competizione. Quest’ultima, secondo l’editore, dovrebbe essere messa da parte alla ricerca di un sistema di alleanze. La competenza, va da sé, è il fulcro su cui fondare qualsiasi impresa anche se oggi tale valore sembra alquanto svalutato. La mattinata si conclude con l’amara disamina dello stato della critica e del giornalismo culturale di Alessandro Toppi, uno dei direttori de La Falena, e con le considerazioni di Andrea Porcheddu, critico ora dramaturg al Teatro Nazionale di Genova. Toppi ci tratteggia una situazione in cui il critico oggi non è un lavoratore dello spettacolo in grado di sostenersi, ma si rivela essere un dotto dilettante, un volontario della cultura. La Falena vuole dunque sostanziarsi come operazione di controtendenza, non solo nello scegliere il formato cartaceo, ormai antieconomico, ma porsi come esempio virtuoso dove ogni contributo viene remunerato e questo in un ambiente ormai dominato dal volontariato.
La sessione pomeridiana dei lavori si sostanzia come una carrellata di esempi di editoria come testimonianza di un processo teatrale. In apertura Walter Porcedda dialoga con Mario Faticoni, fondatore del Teatro di Sardegna e in seguito della Compagnia Il Crogiolo. Faticoni racconta l’esperienza di cinquant’anni di azione teatrale in terra sarda, dalle prime italiane de La serra di Harold Pinter, all’esperienza del Teatro dell’Arco.
A seguire il dialogo tra Alessandro Toppi e Alessandro Serra, regista molto amato in Sardegna non solo per Macbettu. Punto di partenza è il libro La tempesta. Dal testo alla scrittura di scena edito proprio da Luca Sossella. Serra racconta con grande passione i suoi esordi, la sua formazione da autodidatta, e si sofferma sul grande ruolo avuto dai libri di teatro in questo percorso atipico e antiaccademico. Fondamentali, tra i molti, i testi Per un teatro povero di Jerzy Grotowski e La canoa di Carta di Eugenio Barba. Serra tiene a sottolineare come quei volumi abbiano indicato una strada, abbiano determinato delle scelte e improntato una ricerca. Quelle parole sono diventate attraverso Serra, azione teatrale, si sono fatte concrete pur nella differenza di orientamento. Un libro di teatro diventa dunque motore di processi, un mondo di parole capace di generare l’azione dei corpi.
A chiusura del convegno l’ultimo intervento di Marco Martinelli, con Clemente Tafuri e David Beronio, editori del libro Coro, dove brevi capitoli e aforismi disegnano un percorso di vita e di ricerca di uno dei maestri del teatro contemporaneo italiano. Tra le molte cose dette da Marco Martinelli, un apologo, una piccolo episodio tra Brahms e Mahler. Camminando lungo il fiume Brahms lamenta la poca attenzione dei giovani verso di loro, ormai maestri riconosciuti della scena musicale austriaca. A questo Mahler risponde indicando le onde che increspano la superficie dell’acqua chiedendo al vecchio amico: “qual è l’ultima?”. Il racconto, quasi apologo zen e tutto racchiuso in quell’ultima domanda impossibile, richiama all’impermanenza di ogni scuola o posizione, di come ogni generazione debba trarre da sola i propri insegnamenti, di come il passato possa generare frutti impensati e non necessariamente rispettosi.
A chiudere la giornata la proiezione del film di Marco Martinelli The Sky over Kibera, girato in uno dei più grandi slum dell’Africa, quello appunto di Kibera a Nairobi, dove Martinelli, proseguendo le sue esperienze con la No-scuola in varie periferie d’Italia e del mondo, costruisce con i ragazzi della baraccopoli, una versione toccante del racconto della Divina Commedia.
Riassumere nelle poche righe di un articolo un convegno tanto complesso, in cui voci tanto varie e autorevoli sono confrontate su un tema così ricco di spunti di riflessione è impresa quanto mai improba. La speranza è che vengano pubblicati gli atti del convegno per portare al pubblico un resoconto più esaustivo del mio. Un augurio a Roberta Ferraresi e Walter Porcedda è di continuare quest’opera meritoria negli anni a venire e so che dei progetti sono in via di strutturazione. Aumentare le occasioni di confronto e di scambio di idee in un momento storico dove pare si stia consolidando un preoccupante pensiero unico e in cui le ragioni dell’altro vanno a scomparire, è opera quanto mai meritoria.