EUGENIO MIRONE | Proseguono le restituzioni degli artisti selezionati per la quarta edizione della Settimana delle Residenze Digitali, che fino a domenica 26 novembre continueranno ad abitare spazi, sia fisici che digitali, e a incontrare un pubblico composto, per questa edizione, anche dai ragazzi delle scuole.
Abbiamo già raccontato il punto di vista degli organizzatori di Residenze Digitali e delle figure coinvolte come tutor dei lavori selezionati (qui le interviste per PAC), ora è giunto il momento di dare la parola agli artisti coinvolti in prima persona in un progetto che ha dato loro la possibilità di sviluppare, durante un periodo di residenza artistica, un’idea drammaturgica pensata per abitare lo spazio digitale.
Abbiamo avuto modo di dialogare con Giacomo Lilliù, membro del Collettivo ØNAR alla sua seconda partecipazione a Residenze Digitali, e Pier Lorenzo Pisano, regista e drammaturgo, che insieme, partendo da alcune suggestioni provenienti dal mondo dei meme, hanno dato vita a Il teatropostaggio da un milione di dollari.
Da dove nasce l’idea di lavorare con queste due specifiche modalità di espressione, il meme e lo shitposting?
GL: C’è un profilo Instagram che a me piace molto, si chiama @avocado_ibuprofen, gestito dall’artista finlandese Jaakko Pallasvuo. I suoi post sono dei mini-saggi sotto forma di strisce tra fumetto e meme. Un giorno ho scoperto dalle storie di @avocado_ibuprofen che stava collaborando come dramaturg o autore di testi per una compagnia di danza; a quel punto mi sono detto: perché non provare a replicare l’esperimento? Da lì ho parlato con Pier Lorenzo ed in breve è nato il progetto.
In Italia abbiamo una scena di creator molto variegata, che io e Pier Lorenzo abbiamo cercato di approfondire e studiare oltre quanto già conoscevamo in qualità di follower. Abbiamo chiesto di partecipare a chi, tra le persone che si sono dette disponibili, ci sembrava avere una voce stilisticamente consapevole pur conservando una certa carica destabilizzante e irriverente. Il gruppo di lavoro che si è formato include Giulio Armeni (@filosofia_coatta), Davide Palandri (@affermazioni), @piastrellesexy, Daniele Zinni (@inchiestagram) e Loren Zonardo (@merdapostaggiogram), a cui poi si sono aggiunte le attrici Federica Dordei e Arianna Primavera e gli attori Lorenzo Guerrieri e Daniele Turconi.
Così è iniziato un percorso di ricerca che procede tuttora come un laboratorio sperimentale, che ci ha portato a realizzare come il vero elemento di richiamo per la dimensione teatrale non sia forse il meme come singolo oggetto, quanto più appunto lo shitposting, ovvero la non-organizzazione di contenuti memetici all’interno di certi spazi di discorso (come gruppi sui social, singoli post, o chat) in cui l’obiettivo principale della conversazione è proprio deragliare.
Giacomo, per te è la seconda volta come ospite del progetto Residenze Digitali, è cambiato qualcosa dalla tua passata edizione?
GL: Inevitabilmente. Il progetto che ho proposto nel 2021 con Lapis Niger, WOE – Wastage of Events, si costituiva come l’esplorazione trasmessa su Twitch di un mondo in realtà virtuale. In quanto tale, WOE ha un forte carattere visuale, e dunque lì si trattava di saper gestire un capitale di immersività dato dalla centralità del video in streaming.
Teatropostaggio invece si svolge su Telegram, un’app sostanzialmente di messaggistica e quindi, per certi versi, si tratta di un’operazione più immateriale, più esplicitamente linguistica rispetto a WOE. Se per WOE abbiamo lavorato sulla laconicità, sull’esplorazione di un enigma mai completamente risolvibile, in Teatropostaggio a guidarci sono l’accumulo, l’esasperazione, la saturazione, per arrivare a deviare e cortocircuitare i processi della costruzione di senso.
Pier Lorenzo, in che modo la specificità dell’ambiente digitale influenza la drammaturgia? È una maniera di lavorare diversa, ma altrettanto valida?
PLP: Si configura in maniera diversa il rapporto con il pubblico, che è l’elemento più importante di un testo drammatico. Parliamo di qualcosa di alternativo e non sostitutivo alla messa in scena dal vivo, perché appunto manca l’elemento della presenza. È un’esperienza simile a quelle elaborate a ridosso del lockdown, con la differenza che non è nata per necessità, ma per una precisa scelta.
Le forme di interazione sono ridotte e codificate (ad esempio il commento, la reaction) per un pubblico parcellizzato, che assiste dal divano di casa, dalla metro, dalla strada. La performance accade in tempo reale, ma può essere fruita anche in differita, entro un certo limite temporale. In ogni caso nel testo ho inserito una variabile che rende più importante il qui e ora, ovvero la consapevolezza che il teatro è sempre qualcosa che ha un inizio e una fine precisi: nell’ultima parte della performance l’autore dei post comincia a cancellare a ritroso tutto quello che è stato scritto. Come si dice spesso, il teatro non lascia traccia, scrive sulla sabbia.
Alla loro prima esperienza come artisti residenti nel progetto di Residenze Digitali sono invece Simone Verduci e Ariella Vidach. Entrambi hanno collaborato alla realizzazione di Citizens, Verduci in qualità di new media artist e Vidach mettendo a disposizione la propria approfondita conoscenza del linguaggio della danza contemporanea. Con loro abbiamo conversato sul progetto, al cui interno lo spazio virtuale viene riletto alla luce del concetto di eterotopia.
Com’è stato partecipare al progetto ed esser seguiti dal team di Residenze Digitali?
AV: Partecipare alle residenze digitali ha senz’altro arricchito il processo che, se svolto in modalità più indipendente, non avrebbe affrontato anche le questioni legate ai progetti di ciascuno dei partecipanti e, di conseguenza, alle riflessioni generali, utili per tutti.
L’interessante processo, costruito in un arco temporale esteso, ci ha permesso di elaborare appieno materiali e consulenze. Gli scambi con i tutor e l’intero staff organizzativo hanno aggiunto nuove prospettive e contenuti, contribuendo in modo significativo all’arricchimento complessivo dell’esperienza.
Simone, il luogo digitale amplifica la potenzialità dell’abitare uno spazio: com’è stato lavorare su questo concetto sapendo comunque di doversi rapportare con uno spazio “teatrale”?
SV: Nel mondo virtuale di Citizens, le regole del gioco cambiano totalmente. Qui, non siamo più legati alle solite leggi della fisica o ai limiti degli spazi reali. È come avere un superpotere creativo: gli artisti possono sbizzarrirsi creando scenari pazzeschi che nel mondo reale non potrebbero mai esistere. Lo spazio virtuale diventa quasi un personaggio vivo, che interagisce con i Citizens e aggiunge profondità alla storia e all’esperienza di chi guarda.
Lavorare con uno spazio “teatrale” in VR è una sfida tutta nuova. Nel teatro classico, gli artisti sono abituati a gestire limiti ben definiti, come lo spazio del palco o il coinvolgimento del pubblico. Ma in VR, queste limitazioni cambiano forma. La vera sfida è far sentire allo spettatore quella stessa vibrazione e presenza che si avverte in un teatro vero, pur stando in un mondo digitale che, a prima vista, sembra meno tangibile.
Ariella, puoi approfondire il tema del rapporto tra corpo e tecnologia all’interno di Citizens? Quale linguaggio espressivo sei andata ricercando?
AV: L’obiettivo principale del progetto Citizens è stato di realizzare un ambiente immersivo. Lo spazio virtuale creato è dentro un corpo e il percorso che si compie attraversandolo muove dal petto alle gambe, dalla testa alle braccia. La percezione è di essere all’interno di qualcosa di organico con elementi fluttuanti, abitato da corpi identici tra loro che si muovono, ci invitano a relazionarci o ci ignorano per continuare le loro azioni danzanti.
Avvicinarsi ai performer, osservarne le qualità di movimento, interagire con i “citizens” produce uno stato emozionale unico per la percezione ambigua e contraddittoria che si sperimenta. I corpi degli avatar sono cloni, ma i loro movimenti, generati da persone e danzatori nel corso di laboratori realizzati durante il progetto, mantengono l’energia e l’istinto di corpi reali manifestando le diverse personalità e qualità. Questa condizione dei corpi virtuali aggiunge una dimensione umana più profonda e interroga lo spettatore sull’esperienza che sta vivendo.
Un altro aspetto significativo di questa esperienza è la possibilità di stabilire relazioni dirette con gli altri partecipanti/spettatori. Si aggiunge un aspetto sociale che accentua l’esperienza, trasformando la performance in un contesto dinamico in cui le relazioni emergono spontaneamente, arricchendo la vivacità e l’unicità dell’esperienza complessiva.