NICOLA ARRIGONI | E’ un piccolo libro prezioso, che dovrebbe essere letto soprattutto da quanti si riempiono la bocca di identità, tradizioni, memoria. Si tratta i Contro le radici di Maurizio Bettini, pubblicato nella collana Voci della casa editrice Il Mulino (110 pagine, 10 euro). Maurizio Bettini, classicista apprezzato e di fama, si interroga sul senso della parola radici, sulla metafora che sottostà al termine radice come fondamento di un’appartenenza, ma anche all’altra metafora dell’albero genealogico come percorso che dà storicità ad una stirpe.
Ciò che fa Maurizio Bettini è smontare con intelligenza e con un linguaggio più che accessibile ma mai banale i luoghi comuni di un senso di appartenenza ad escludendum che si gioca su invenzioni più o meno recenti, su luoghi comuni trasformati in verità indiscutibili ma assai confutabili. La tradizione può diventare un confine invalicabile, può essere motivo di esclusione, di impoverimento invece che di ricchezza. L’identità non è data per sempre, è una costruzione che solo la miopia culturale e un senso di ignoranza nei confronti dell’alterità si ostina a definire unica e soprattutto immutabile. Maurizio Bettini mette a punto una lucida e stringente requisitoria contro i miti dell’identità che nell’Italia dell’ultimo scorcio del XX secolo ha visto proliferare nello sviluppo politico e sociale della Lega Nord un esempio preclaro di invenzione della tradizione per difesa da ciò che è altro, un movimento che ha fatto delle parole tradizione e identità i vessili di un benessere e un senso di appartenenza territoriale: il ricco e laborioso Nord italiano contrapposto al corrotto, mafioso Centro Sud del Paese con Roma come babilonia e origine di tutti i mali.
E allora ecco che dietro ad ogni identità, dietro ad ogni tradizione non c’è nulla di dato per definito, ma c’è un’abile costruzione di senso che permette di definire la nostra posizione nel mondo, il rapporto con l’altro, il nostro essere in rapporto o in contrapposizione con l’altro. Le tradizioni servono per distinguere, tracciare confini, definire un’appartenenza costruita a tavolino, inventata a volte di sana pianta. Ma per capire come la tradizione sia – in realtà – portatrice di movimento e come richiamarsi ad un sapere tradizionale come immutabile sia una contraddizione in termine basta rifarsi al significato etimologico della parola tradizione. In tradizione c’è l’idea di condurre attraverso da qui la consegna di un sapere ad un’altra generazione, un passare attraverso, un consegnare per oltrepassare i tempi biologici dell’esistere con la consapevolezza che nell’atto stesso del consegnare c’è l’invito a far proprio un sapere e a mutarlo. Questa è la tradizione: un passaggio di consegne, la possibilità di eternarsi nel tramandare all’altro, a chi verrà dopo di noi ciò che siamo e siamo stati per aiutare a essere pienamente, malgrado ciò che ci ha preceduto o forse proprio grazie a ciò.
Non è un caso che Maurizio Bettini si rifaccia nella sua requisitoria contro la banalizzazione che oggi si fa dei termini tradizione, memoria e identità all’invenzione della tradizione elaborata da Hobsbawn e Ranger, che hanno messo in evidenza come fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo i nuovi stati nazionali elaborarono ritualità e tradizioni culturali che a fronte di un’origine antichissima erano in realtà rituali sincretici per dare senso di appartenenza alle nuove compagini nazionali, ai nuovi gruppi sociali. Ecco allora che Bettini nel suo Contro le radici invita a vedere in maniera diversa l’idea di appartenenza: non più in verticale ma in orizzontale. Scrive infatti il saggista: «Un’immagine orizzontale e parallela della tradizione potrebbe dunque educarci all’idea che essa non costituisce un viluppo verticale di radici – o una discesa da presunte sommità – quanto un insieme relativo e alternativo di modi di vita. La tradizione, infatti, non è qualcosa che viene dalla terra, che si mangia o si respira, e neppure qualcosa che discende verso di noi da determinate alture: essa è prima di tutto qualcosa che si costruisce e che si apprende. Senza un continuo lavoro di apprendimento qualsiasi tradizione si spegne in breve tempo».
In questo senso tradizione è allora un passare attraverso, un consegnare all’altro, un perpetuare nel tempo un sapere e degli apprendimenti che mutano con il mutare dei destinatari, un sapere mai dato per definito ma che nel suo tramandarsi sa essere nuovo e antico al tempo stesso e quindi aperto all’alterità, al mutamento, alla reinvenzione della tradizione.
Maurizio Bettini, Contro le radici. Tradizione, identità, memoria, Il Mulino, Bologna, 2012, pagine 110, euro 10.
Qui la presentazione del libro di Bettini ad agosto scorso in un video Arci
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