ANNA CRICHIUTTI* | La stagione Lympha di Casa Fools nel quartiere torinese Vanchiglia è ripartita il 2 febbraio nell’atmosfera distopica ma anche esilarante dello spettacolo Where the hell is Bernard? — ospitato in collaborazione con Milano Fringe Festival — dell’apprezzatissima compagnia britannica Haste Theatre e prodotto da quest’ultima insieme a Turnpike Productions. L’Haste è una compagnia internazionale di teatro fisico composta da sole donne che plasmano mondi fantastici per raccontare il quotidiano: esplora l’intersezione di linguaggi artistici differenti che spaziano dalla prosa alla danza, dal teatro di figura al musical, partendo dalla necessità di investigare quel territorio scomodo in cui il macabro, l’inquietante e il tragico incontrano il proprio lato comico.
La compagnia nasce nel 2013 e da allora ha prodotto diversi spettacoli originali e innovativi distribuiti tra Gran Bretagna, Europa e America — Oyster Boy, The Hideout, Beyond Gragporth Rock, Ex-Batts & Broilers, My name is oltre che Where the Hell is Bernard? — avvalendosi spesso della collaborazione di altri artisti. Nel caso di questo spettacolo, scritto dalla compagnia stessa, l’Haste ha chiesto la regia dell’artista Ally Cologna — tra le altre cariche ora tutor alla Central School of Speech and Drama di Londra —, con la quale la compagnia approfondisce da tempo una ricerca che intreccia narrazione e clownerie focalizzandosi sull’esplorazione della figura del clown femminile.
Con Where the hell is Bernard? l’Haste Theatre si avvale del meccanismo della distopia per dare vita al mondo di The Vine, esito negativo di un’utopia che mette in luce le tensioni oscure e preoccupanti del presente.
In un futuro apparentemente senza memoria, quattro operaie — in scena Elly Beaman-Brinklow, Valeria Compagnoni, Jesse Duprè, Sophie Taylor — spogliate completamente della propria individualità, obbediscono diligentemente al regime totalitario di The Vine: un imponente palazzo di uffici, un’intera città, una voce fuori campo, l’occhio orwelliano che ne segue ogni movimento e che diventa motore drammaturgico.
Sulla scena un fondale costituito da un armadio fisso rivestito in LED. Il resto della scenografia — curata da Georgia de Grey — presenta quattro armadietti mobili, ciascuno profilato da luci a LED blu, che trasformano il palcoscenico in ambientazioni futuristiche sorprendentemente variegate. Con una precisa combinazione di luce — nel disegno di Katrin Padel — prospettiva, effetti sonori — nella drammaturgia di Paul Freeman — e abilità mimiche delle attrici, gli armadietti si trasformano in scale mobili avveniristiche, discoteche e tunnel sotterranei, librerie e reparti maternità.
Lo spettacolo si apre nella sala operativa nota come Pod 17. Le quattro operaie, uguali nei loro caschetti biondi e nelle loro uniformi blu, svolgono il compito di smistare, impacchettare e ridistribuire gli indumenti e gli oggetti personali di cittadini vissuti solo mezzo secolo e sacrificati da un sistema societario spietato in cui l’invecchiamento è solo un ostacolo al progresso.
Imprigionate in una routine alienante, le quattro operaie festeggiano la macabra dipartita dei concittadini: — cito a memoria — «We are the children of The Vine» dicono, «we never look back, we only look forward, to ultimate perfection».
L’identico, nella sua veste più perturbante, si ripete nel paradosso di un mondo che aspirava all’utopia ma in cui la ricerca ossessiva della perfezione ha cancellato ogni traccia di umanità.
Qualsiasi forma di ribellione è punita con la morte. Fino a che… una foglia non cade dall’albero, “and the rest will follow”. È la premonizione. La speranza risiede nella ribellione silenziosa di un certo Bernard Freeman — evocato sulla scena attraverso l’uso di tecniche di pantomima e teatro di figura —, che fugge la propria condanna a morte verso le zone proibite della città, dove persiste ancora qualche forma di umanità.
Nel tentativo di ritrovarlo, le giovani donne si allontanano da ciò che conoscono, si trovano immerse in un viaggio di riscoperta del proprio essere “umane” in un intreccio di comicità e coinvolgimento emotivo. Le scene assumono l’aspetto di sketch eccentrici e divertenti, culminando nell’esilarante sequenza mimica e coreografica che le vede immerse nel mondo della discoteca, alle prese con un esercito di gin tonic da un lato e la pista da ballo dall’altro: qui scoprono il proprio corpo, riconoscono pulsioni sconosciute e sfidano le loro inibizioni.
Avvolte poi da un leitmotiv sonoro che evoca l’epica dei grandi kolossal, la cui retorica viene abilmente smorzata dall’efficace comicità espressiva e gestuale, fuggono portando con sé il futuro di un’umanità forse destinata a ripetere gli stessi errori del passato.
Sebbene si avvalga di una storia gradevole — traendo ispirazione da 1984 di George Orwell fino a Black Mirror — l’Haste propone una riflessione non del tutto inattesa, che rimane significativa per fervore di idee e ideali contemporanei, risaltando soprattutto per la freschezza artistica di quattro performer talentuose che strappano al pubblico risate e applausi sinceri, lasciando allo spettatore la curiosità e il desiderio di seguirne il percorso artistico.
WHERE THE HELL IS BERNARD
Produzione Haste Theatre e Turnpike Productions
Regia Ally Cologna e Haste Theatre
Con Elly Beaman-Brinklow, Valeria Compagnoni, Jesse Duprè, Sophie Taylor
Voce off Ally Cologna, Lorenzo Andrea Paolo Balducci
Tecnico suono e luci Jethro Walker
Designer luci Katrin Padel
Designer suono Paul Freeman
Scenografia Georgia de Grey
Casa Fools Teatro Vanchiglia, TO | 2 febbraio 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.