RENZO FRANCABANDERA | Uno degli artisti che seguo con maggiore assiduità su Instagram è un pittore colombiano di nome Nicolas Uribe. È un pittore di notevole tecnica che lavora su tonalità di colore poco distanti fra loro, in termini di maggiore o minore luminosità, ma che nel loro assemblarsi prossimo riescono a creare una specifica profondità della resa complessiva dell’opera d’arte.
Qualche tempo fa, parlando in un suo post dei suoi dipinti preferiti nella storia della pittura, Uribe ha riportato alla mia memoria un quadro di Francisco Goya che secondo lui è il più grande quadro di tutti i tempi: Cane interrato nella sabbia (Perro enterrado en arena) è un dipinto a olio su muro trasportato su tela (134×80 cm), realizzato nel 1820-1821 e conservato al museo del Prado di Madrid. Commentandolo, l’artista colombiano dice con una bonaria ingenuità che questo quadro non ha davvero nessuna spiegazione, che è illogico, che non aveva ragione di essere dipinto. E che proprio per questo lo trova straordinario, rivoluzionario. A ben guardare, Il cane di Goya ha davvero una modernità sconvolgente pensando a quanto, con tre secoli di anticipo, l’opera contenga già le campiture pittoriche di Rothko ma anche, dal punto di vista drammaturgico – se in questi termini si può parlare di un quadro – tutta la surrealtà della seconda metà del ‘900.
Quanto assomiglia quel cane interrato fino al collo alla Winnie di Giorni felici anche lei confitta nel terreno fino al collo! il testo di Samuel Beckett in questa stagione teatrale è stato scelto dal direttore artistico del teatro Metastasio di Prato, Massimiliano Civica, per affidarlo con la sua regia a due attori, ciascuno a proprio modo interprete di una specifica cifra surreale, Roberto Abbiati e Monica Demuru e di cui pure abbiamo parlato di recente.
Questa si unisce poi a una serie di altre scelte che riguardano la programmazione proposta da Civica nella stagione 23-24 del Metastasio, che compongono, cosa invero rara, un quadro significativo di come la cifra del fantastico, dell’onirico, del surreale abbiano da dire al nostro tempo, così schiacciato da visioni organizzate, pianificate, figlie di algoritmi e che devono stare nelle dimensioni rettangolari consentite dai post nei social media, dei quali siamo tutti dipendenti. Ecco quindi che questa scelta di allestimento, diversamente dalla quasi totalità delle programmazioni teatrali italiane, spicca, a mio parere, per una sua coerente originalità proponendo, come nelle mostre, un itinerario in cui lo spettatore affronta davvero un viaggio dentro un codice poetico, letto attraverso il medium teatrale.

Civica non si è limitato a portare nella sua stagione l’Aspettando Godot di Terzopoulos prodotto nella scorsa stagione teatrale da Emilia-Romagna teatro, ma, ha anche ospitato nei teatri del capoluogo pratese diverse altre creazioni, di compagnie internazionali, iscrivibili dentro questa poetica.
Particolarmente significativi a questo proposito sono stati due spettacoli di recente proposti al pubblico.
Il primo, acclamato dalla critica internazionale, sotto molti punti di vista sbalorditivo, poetico e sadicamente divertente, è stato lo spettacolo di burattini per adulti Famous Puppet Death Scenes del gruppo canadese Old Trout Puppet Workshop, una storica compagnia che in questa stagione, nei primi tre mesi dell’anno, ha avuto una tournée europea ricca di riscontri e successi. Questo ha permesso di portare questo capolavoro assoluto a Prato in prima nazionale.

Si tratta di un’opera ibrida che unisce teatro di figura e presenza attorale e il cui tema è la morte del burattino. La pensata già di suo ha qualcosa di geniale trattandosi del tentativo di portare in scena la morte di qualcosa di inanimato, ma effettivamente l’operazione ha un che di colossale dal punto di vista del segno artistico perché, come il cane di Goya, è davvero un segno irrazionale e illogico ma che ha dentro una potenza simbolica e di combinazioni frutto della fantasia dei suoi creatori, straordinaria. Lo spettacolo è in scena in Canada da diversi anni, è il capolavoro della compagnia e averlo portato in Italia è davvero stato un colpo da maestri.

È una rassegna di piccole brevi sequenze, ambientate dentro la tipica scatola per burattini, di episodi in cui alla fine il protagonista soccombe, una sequenza esilarante di scene in cui i pupazzi perdono la vita: fra incidenti, suicidi, sparatorie, burattini colpiti in incidenti di caccia, lanciati nello spazio siderale o divorati da mostri, o ancora ripetutamente schiacciati da un pugno gigante, mentre il proscenio si anima con la presenza di tre attrici, interpreti di un tono che assomiglia a quello delle sit-com britannico tipo Mr. Bean o dei film (successivi a questo capolavoro) di Wes Anderson. Lo spettatore passa dalla allegria iniziale a un sentimento di struggente e drammatica tenerezza fino alle lacrime, seguendo gli occhi di balene giganti che si chiudono per l’ultima volta e gli ultimi respiri di una burattina vecchina che si spegne.

Abbiamo intervistato la compagnia al termine dello spettacolo.

La seconda proposta internazionale che, come le altre ospitate a Prato è arrivata grazie alla collaborazione economica di Gruppo Colle, è stata a fine marzo Mazút. Fondata e diretta dal duo franco catalano Blaï Mateu Trias e Camille Decourtye, la compagnia Baro d’evel racchiude in Mazút la propria estetica surreale, fatta di acrobazie e teatro fisico, danza, suggestioni da teatro di strada e una grande apertura all’utilizzo dei materiali poveri in scena.
Due banchi che rimandano a Kantor, barattoli di metallo di quelli per i pomodori pelati di diverse dimensioni e poi grandi, grandissimi fogli di carta con i quali vengono composte di volta in volta le scene.
All’inizio i due protagonisti sembrano due impiegati del catasto, impegnati a districarsi fra cartine topografiche ma soprattutto a sbolognarsi l’un l’altro il lavoro fino a quando in scena dall’alto non inizia a cadere acqua. Comincia allora una corsa a mettere qui e lì i barattoli per raccogliere l’acqua che piove dall’immaginario soffitto, ma ben presto questa operazione si trasforma in un colossale concerto, molto ben orchestrato, di musica per acqua che può ricordare le composizioni fatte con i bicchieri di vetro riempiti di acqua a diversi livelli. La suggestione aumenta via via con l’andare dello spettacolo che prende una deriva sempre più immaginifica e colossale, nutrita da un bellissimo disegno luci e da capacità acrobatiche che i due riescono a realizzare fino alla scena più bella in cui, salendo l’una sulle spalle dell’altro coperta da un grandioso vestito fatto di fogli di carta, non si arriva a una installazione umana, una sorta di ode all’inimmaginabile, mentre una pioggia scura, sul finale, imbratta questa grande tela pittorica, un po’ umana è un po’ immateriale, Anche un ricordo dell’Amleto di Nekrosius il cui vestito di carta si bagnava con le gocce che cadevano dal lampadario di ghiaccio posto sopra di lui.
Anche in questo caso il pubblico riesce completamente a immergersi nella sequenza di pensieri slegati, collegati più che altro da sviluppi e sequenze emotive e di immaginazione, forse meno compatte dal punto di vista drammaturgico rispetto al lavoro precedentemente analizzato, ma non di minor impatto.
Unn percorso alla ricerca di sé stessi, un affondo nella realtà ma attraverso le lenti della magia, un mondo misterioso, lirico e profondamente poetico.

Questi attraversamenti di atmosfere magiche legate anche dai codici del teatro di strada, dal mimo al nuovo circo, dal rigore della danza contemporanea, al canto e dall’affanno inutile dell’umanità colta in tutta la sua mediocre fragilità hanno permesso davvero al pubblico che ha avuto la fortuna di assistere a questi due gioielli di confrontarsi con un pensiero della scena originale, diverso, scollegato dal rituale della parola ma profondamente coerente con la possibilità di emozionare ricorrendo allo spazio scenico e alle sue multiformi magie. Probabilmente si è trattato di due delle migliori proposte offerte al pubblico italiano in questa stagione teatrale.

FAMOUS PUPPET DEATH SCENES

creato e concepito dal gruppo The Old Trout Puppet Louisa Ashton, Peter Balkwill, Paul Bezaire, Don Brinsmead, Mitch Craib, Nicolas Di Gaetano, Jen Gareau, Pityu Kenderes, Bobby Hall, Sam Hindle, Teddy Ivanova, Viktor Lukawski, Sarah Malik, Cimmeron Meyer, Aya Nakamura, Amelia Marie Newbert, Nicole Olsen Grant-Suttie, Judd Palmer, Stephen Pearce, Mike Rinaldi, Tim Sutherland, Teele Uustani
con Louisa Ashton, Aya Nakamura, Teele Uustani
regia Peter Balkwill, Pityu Kenderes, Judd Palmer
palcoscenico Beatrice Galloway
costumi Jen Gareau
luci David Duffy
suono Mike Rinaldi
traduzione Giulia De Gasperi
produzione The Old Trout Puppet Workshop

PRIMA NAZIONALE

MAZÚT

autori e registi Camille Decourtye e Blai Mateu Trias
interpreti Julien Cassier e Valentina Cortese
collaboratori Benoît Bonnemaison-Fitte, Maria Muñoz e Pep Ramis
ideazione luci Adele Grépinet
ideazione suono Fanny Thollot
ideazione costumi Céline Sathal
consulente musicale Marc Miralta
ingegnere Thomas Pachoud
scene Laurent Jacquin
responsabile delle luci Louise Bouchicot o Marie Boethas
responsabile del suono Timothée Langlois o Naïma Delmond
direttore di scena Cédric Bréjoux o Mathieu Miorin
direzione produzioni Laurent Ballay
amministrazione Caroline Mazeaud
manager di produzione Pierre Compayré

produzione Baro d’evel
coproduttori ThéâtredelaCité – CDN Toulouse Occitanie; MC93 – Maison de la Culture di Seine-SaintDenis; Teatre Lliure di Barcellona; Parvis – scène nationale Tarbes-Pyrénées; Malakoff scène nationale – Theatre 71; Romaeuropa festival; L’Estive, scène nationale di Foix e Ariège
residenze ThéâtredelaCité – CDN Toulouse Occitanie; L’Estive, scène nationale di Foix e Ariège
con il sostegno di DGCA, Ministero della Cultura e della Comunicazione, il Consiglio Provinciale di Haute-Garonne e la città di Toulouse

la società è in convenzione finanziaria Ministero della Cultura e della Comunicazione – Direzione Regionale per gli Affari Culturali di Occitania / Pirenei – Mediterraneo e la Regione Occitania / Pirenei – Mediterraneo