VALENTINA SORTE | Dal 24 maggio al 30 giugno la quarta edizione di Rami d’ORA, promossa dal collettivo Laagam, tornerà ad animare i boschi e i sentieri delle Orobie valtellinesi. Oltre all’abituale sede di Orobie Residenze Artistiche a Castellaccio, frazione di Piateda, quest’anno la rassegna coinvolgerà anche i comuni di Sondrio, Tirano e Morbegno, ampliando e arricchendo così la propria rete di collaborazioni.
Diretta da Erica Meucci e Francesca Siracusa, con la consulenza artistica di Riccardo Olivier, Rami d’ORA desidera unire, da sempre, le diverse proposte artistiche ad un’esperienza intima del territorio, invitando lo spettatore ad abitare insieme agli altri i diversi luoghi del festival, per favorire una pratica immersiva e comunitaria dell’arte, ed uscire dall’ottica di un certo “consumo” culturale.
Ispirandosi ai versi di Lucia Palladino, il fil rouge di questa edizione sarà l’ENTRARE NEL BOSCO, inteso non propriamente come luogo fisico, ma come porta d’accesso, soglia, per un contatto privilegiato con ciò che ci circonda.
Ad aprire il primo fine settimana saranno la compagnia mk di Michele di Stefano con Atmosferologia. Veduta > Tirano, il coreografo e danzatore greco Ioannis Mandafounis con la performance OneOneOne e infine il collettivo Laagam con il debutto di You, elsewhere di Francesca Siracusa.
Nella sua duplice veste di coreografa e direttrice artistica di Rami d’ORA, abbiamo intervistato Francesca Siracusa, per conoscere meglio il suo nuovo lavoro e per capire qualcosa in più sul festival.
V.S.: Ad aprire la quarta edizione di RAMI d’ORA ci sarà anche il debutto di You, elsewhere, di cui hai firmato la coreografia. A cosa allude esattamente il titolo?
F.S.: Il titolo si riferisce a quel luogo in cui possono approdare lo spettatore e le danzatrici, insieme, attraverso il tempo specifico della rappresentazione. L’atto compositivo del suono, del gesto e del luogo della scena tende ad un processo alchemico, gli elementi tra di loro si combinano e generano una trasformazione in chi agisce la scena e in chi partecipa come spettatore. Penso che questa possibile trasformazione sia un atto comunitario, lo facciamo insieme, scegliendo di trovarci lì: in scena ci sono due danzatrici, entrambe sono invitate a vivere la composizione coreografica rintracciando un ascolto profondo, lasciando che lo spettacolo abbia luogo, che emerga, allontanandosi da atteggiamenti iperproduttivi.
Le spettatrici e gli spettatori sono altrettanto invitati ad ascoltare, in primis il luogo, che per il debutto sarà il bosco di Castelasc a Piateda, e a riposarsi, prestando un occhio rilassato rispetto alla visione che verrà. Sono sicura che ad ognuno you, elsewhere parlerà in un modo personale e singolare, e forse condurre in un altrove.
V.S.: Come è nata l’idea di questo spettacolo?
F.S.: La ricerca prende vita da alcune suggestioni maturate in questi ultimi anni, in cui ho vissuto un approfondito studio esperienziale delle tecniche sottili dell’Hatha Yoga classico, grandissimi strumenti per rapportarsi con un certo tipo di disposizione all’ascolto, e in cui ho danzato come come interprete per altre coreografe. E’ nato in me il desiderio di comporre, di dare spazio a queste suggestioni, e vederle concretizzate attraverso il linguaggio della danza e lo strumento della coreografia.
Sono interessata a rappresentare l’attesa, la relazione gemellare, l’atto di guardare qualcosa che ha un suo proprio andamento e il sorgere di una danza che si dispiega e diviene simbolo di risoluzione e superamento di un conflitto. Considero la rappresentazione come un veicolo per comunicare varie forme di intensità, materia ed energia attraverso il corpo e le relazioni tra gli interpreti, lo spazio e il suono. Mi chiedo se, agli occhi dello spettatore, tutto ciò possa trasmettere un significato personale, rivelando quell’aspetto impetuoso e transitorio che la vita porta con sé.
Insieme alle interpreti abbiamo esplorato il sorgere della danza come un’interazione tra individui, che vive dell’enigma che l’altro da me può rappresentare. La danza si sposta così da un atto di produzione perenne verso la ricerca di un’autentica relazione con l’alterità, che matura scena dopo scena. La rappresentazione in questa occasione incontra principalmente il linguaggio della danza e del suono, ed è per me la possibilità di dilatare il tempo irrefrenabile della produttività. Alle danzatrici chiedo di attendere, di mettersi nella condizione di ascoltare dove sono, di cosa parla il loro respiro. Allora ogni attimo, per quanto coreografato, può rivelarsi e rivelarci la sua essenza. È un atto di resa.
V.S.: Gaston Bachelard afferma che “la contemplazione è, dentro di noi, essenzialmente una potenza creatrice”. Come queste parole hanno ispirato il tuo lavoro?
F.S.: Sento che in questo progetto coreografico vivono alcune riflessioni sul linguaggio della danza canonica, una danza conosciuta e riconoscibile, dalla quale ci sia aspetta qualcosa, che sia un virtuosismo o un “ammiccamento”, quella danza che conferma continuamente se stessa. Sto cercando una sfumatura di linguaggio che si possa nutrire della contemplazione dell’attesa vuotata di quel parassita che chiamiamo aspettativa. Intendere l’Attesa come un solvente per diluire la performatività. Attendere la danza.
V.S.: Laagam è un collettivo molto eterogeneo che indaga ed esplora nuovi linguaggi trasversali. Ha una forte vocazione per la contaminazione. Quali linguaggi vengono esplorati in you, elsewhere?
F.S.: In questo progetto i linguaggi che vengono esplorati sono principalmente il movimento e il suono. Partiamo dal suono: l’autore delle musiche è Simone Faraci, membro di Laagam sin dai suoi inizi. Il suono oscilla tra costruzione di paesaggi sonori che rimandano ad un altrove immaginifico e la composizione musicale, proponendo un fitto dialogo tra le polarità del lontanissimo e del vicinissimo. Inoltre aggiunge profondità all’esperienza percettiva: danza e suono si attendono o si preannunciano tra loro, ed insieme compongono l’esperienza audiovisiva.
Per quanto riguarda il movimento, sto cercando una sfumatura di linguaggio che si possa nutrire di un corollario di pratiche sottili che preparino alla danza e alla ricerca. Mi oriento verso l’ascolto percettivo, del molto piccolo o del molto grande, in generale di vari gradi di intensità. In questo senso la contemplazione emerge come attitudine, in stretta relazione con l’attesa. Nelle nostre pratiche alleniamo questo atteggiamento e attendiamo che il gesto emerga. Poi arriva lo sguardo compositivo.
A Castelasc ci rapporteremo anche l’elemento fondamentale dello spazio della rappresentazione: il bosco. Inoltre stiamo lavorando anche ad una versione indoor che includa il linguaggio illuminotecnico insieme allo scenografo e light designer Vito Matera.
V.S.: Come questa creazione si inserisce all’interno di RAMI d’ORA?
F.S.: Abbiamo inserito You, elsewhere in apertura, come un ingresso simbolico nel bosco, sulla scia della suggestione che dà il titolo a questa edizione: Entrare nel bosco. Compiere l’ingresso nel bosco puó offrire un contatto privilegiato. Quando il linguaggio delle arti performative incontra un luogo del genere, non può mentire. Non può addobbarsi di virtuosismi estremi. È necessario arretrare e tentare un contatto con la complessità che caratterizza un ambiente così stratificato e silvano. Uso il verbo “tentare” perché il “risultato” è impossibile prevederlo. In ogni caso un atteggiamento affermativo o prescrittivo sarebbe deleterio e naif, per non dire colonizzatore, e noi ce ne allontaniamo.
V.S.: Come avete inteso e declinato l’espressione “Entrare nel bosco” di Lucia Palladino che dà il titolo alla quarta edizione ?
F.S.: Per ingresso qui non si intende solo “valicare la soglia che ci separa dal bosco”, ma anche quella soglia che ci distanzia da noi stessi, nella complessità quotidiana, sociale, bellica e contraddittoria delle vite che viviamo in questo momento storico. Il bosco di Castelasc è un bosco che conosciamo, che abbiamo imparato ad ascoltare e dove ci sentiamo al sicuro. Ma al contempo non smettiamo di rispettarlo e dunque di temerlo e di camminare lungo i suoi sentieri che considero un tentativo umano per entrare in confidenza con qualcosa che appartiene totalmente al mondo vegetale e animale.
Qui il link al sito del festival per gli eventi e la programmazione completa di Rami d’ORA 2024.