RENZO FRANCABANDERA | “È un modo di fondere le mie due passioni: il teatro e la musica. I musical e le operette mi hanno sempre affascinato. Un professionista dovrebbe essere capace di interpretare una molteplicità di ruoli: rimanere intrappolati negli stessi ruoli è poco stimolante e non consente di crescere artisticamente.”
Torna in questi giorni a Milano al Sala Fontana l’attore e cantante Gennaro Cannavacciuolo con “Volare – Concerto a Domenico Modugno”, un recital che attinge a diversi linguaggi artistici: la musica, la prosa e la danza, per uno one-man-show, che forse solo chi si è formato presso la solida scuola attoriale classica è in grado di proporre, tenendo alta la tensione del pubblico per quasi due ore.
Formatosi con Eduardo De Filippo e quindi con Pupella Maggio, la carriera di Cannavacciuolo spazia tra prosa e sceneggiati per cinema e tv, tra operette dove ricopre il ruolo del brillante, ai recital ed ai musical.
Se lo scorso anno aveva proposto uno recital sulla cantante Milly, per questa stagione la scelta è caduta su un lavoro non nuovo – “Volare” ha debuttato infatti nel 1987 – ma particolarmente adatto, vista la ricorrenza del ventesimo anniversario dalla morte di Domenico Modugno.
Gennaro, da cosa è nato il desiderio di dedicare un recital a Modugno?
Modugno è una figura che mi ha sempre accompagnato fin da bambino, si può dire che sia cresciuto con lui. All’inizio degli anni sessanta, in un paese modesto come Pozzuoli, l’unica salvezza era la radio di famiglia che mandava le splendide canzoni di Modugno. Ricordo ancora l’emozione che questi brani mi provocavano quando li ascoltavo. Cominciavo a sognare ad occhi aperti. Avevo 8 anni quando scoprii il teatro che facevo a scuola con i miei compagni. Capii subito che sarebbe stata la mia vita. Così decisi: quando sarò grande dedicherò uno spettacolo a Domenico Modugno. E così è stato.
Quando e dove è nato lo spettacolo?
La primissima edizione è nata con l’aiuto e la supervisione dello stesso Modugno. Lo spettacolo ha poi debuttato nel 1987, per poi essere ripreso nel 2010 con oltre 350 repliche in tutto il mondo, Cina compresa.
“Volare” è il mio atto d’amore verso Domenico.
I tuoi spettacoli racchiudono spesso più linguaggi artistici differenti, perché questa scelta?
Amo l’unione di prosa, danza e musica, genere non sempre apprezzato in Italia, anzi, spesso considerato quasi di serie b. In Italia si tende molto a catalogare. Se un attore ha avuto successo nel genere comico, sarà destinato per secoli a ricoprire ruoli simili. Le mie scelte professionali sono sempre state dettate da motivazioni artistiche e non commerciali, tant’è che sono molte le propose che ho rifiutato; prima di accettare un ruolo devo sentire una particolare ispirazione.
Com’è stata l’esperienza con Eduardo?
Eduardo è stato un grandissimo maestro, è grazie a lui se ho potuto ricoprire ruoli così disparati e sbizzarrirmi nell’interpretazione di più personaggi. E’ con lui che ho imparato il rigore, l’essenzialità e la serietà ma, soprattutto, la sacralità del palcoscenico, elementi fondamentali per intraprendere questo mestiere. E non posso non citare un’altra mia grande maestra, di palcoscenico e di vita: Pupella Maggio.
Esiste ancora il teatro napoletano d’autore?
Maestri come Eduardo e Pupella non esistono più. Tuttavia la scuola post-eduardiana, la nuova drammaturgia contemporanea, annovera nomi come Ruccello, Santanelli e Moscato, che testimoniano di una realtà napoletana valida e speciale nel panorama teatrale.
Amo moltissimo gli scrittori partenopei, una decina di anni fa ho interpretato “le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello con la regia di Gleijeses è stato molto impegnativo ma, al contempo, mi ha dato tantissima soddisfazione e orgoglio mettere in scena un testo così denso, commovente, scritto in una lingua così viva e concreta, come il dialetto napoletano.
Dopo tanti anni di scena, declinata in modi così diversi, in che cosa trovi ora risieda il vero talento dell’attore?
L’attore deve avere la capacità di tenere alta la tensione – e questo solo il professionista lo sa fare – ed evolvere in senso personale il proprio stile di recitazione. Quando vedo gli spettatori che vengono a salutarmi e a ringraziarmi in camerino, capisco che l’arte del teatro, la sua magia, se ben esercitate, sono tuttora fonte di grande fascino.