MICHELE PECORINO | L’unica cosa che dura tutta la vita è la vita; il resto è sempre precario, instabile, fugace. Queste parole, che nel romanzo L’uomo duplicato vengono affidate dall’autore Nobel per la letteratura José Saramago al protagonista, il professore di storia Tertuliano Máximo Afonso, sembrano trovare una certa corrispondenza con l’ultimo lavoro site-specific della danzatrice Stefania Tansini: Perdizione.
La creazione è stata presentata in prima nazionale lo scorso 7 giugno al MAO, il Museo di Arte Orientale di Torino, nell’ambito del festival Interplay diretto da Natalia Casorati. La performance, inizialmente pensata per essere ospitata sulla terrazza del museo, è stata spostata, per ragioni meteorologiche, all’interno del cortile coperto che ospita un giardino di ispirazione giapponese; un cambio di location che non poteva essere più azzeccato, data la profonda atmosfera del suggestivo spazio museale ove lo spettatore entra in una dimensione d’ascolto meditata e profonda.
La danzatrice, attraverso questo lavoro, ha saputo condurre ogni singolo astante, seppur non rivolgendoglisi mai direttamente, dentro la dimensione misteriosa e al tempo stesso fugace che le tracce del mondo fisico raggiungono. Gesti, movimenti, parole, suoni, incontri e altro ancora sono elementi che appartengono all’instabile. Si manifestano per un istante per poi perdersi e non lasciare traccia di se stessi.
Il corpo di Tansini, coperto interamente da un abito nero molto lungo che le nasconde anche i piedi, accoglie immobile gli spettatori che, dopo aver fatto il loro ingresso, prendono posto su cuscini disposti su tre file frontalmente alla scena.
La ghiaia bianca, l’abito scuro, il suo volto pallido e terso, il suono limpido e flebile che sin dai primi istanti si comincia a udire, i movimenti dapprima impercettibili e poi più definiti nello spazio sembrano essere un gioco di corrispondenze poetiche. Il corpo, mediante la sua naturale contrazione e il conseguente rilassamento che ne scaturisce, trae dall’ascolto di ciò che gli sta attorno elementi che facilitano il contatto. Un contatto non reiterato ma passeggero, gentile, impercettibile e profondo, pronto ad abbandonarsi alla perdizione per lasciare spazio a nuove e ulteriori prospettive. Un corpo attento e silenzioso capace di mettersi in ascolto, capace di rendere ogni momento di passaggio un attimo indispensabile, seppur nella sua fugacità.
Ogni cosa muta in qualcos’altro, ogni gesto ne genera un altro e un altro ancora. Il corpo della performer, svestendosi del lungo peplo e abbandonando la porzione di spazio iniziale, incomincia a muoversi verso altre direzioni; i suoi piedi, spostandosi dalla ghiaia ai ciottoli, sperimentano qualità differenti, si levano verso l’alto come a volersi immergere in quell’aria ove il respiro di ogni spettatore si riversa e per un breve istante tutto permane. Ogni suo movimento, pur inscrivendosi all’interno di una partitura musicale ben definita, produce suono, una traccia passeggera nello spazio e negli occhi di uno spettatore sempre più coinvolto a entrare in condivisione.
La ricerca di Stefania Tansini, attraverso il suo corpo che muta le sue forme per ricercarne delle nuove, si spinge verso un’incostante autenticità che rimane inafferrabile. Le apparizioni effimere sembrano lanciarsi verso un vuoto dove la caduta non giunge mai al suo compimento ultimo. Lo spettatore, come colto da bagliori, si lascia catturare per poi consapevolmente smarrirsi in essi.
La scena e la platea rappresentano dunque, nella ricerca di Tansini, due elementi imprescindibili dello spazio della performance, che coabitano pacificamente nella prospettiva di perdersi l’uno dentro l’altro, abbandonandosi all’evoluzione. Lo spettatore non può che avventurarsi in questo giardino che è la vita stessa, unica cosa duratura fino al suo fine ultimo. Tuttavia, la vita permane solo finché un continuo e rinnovato coagulo di attimi fugaci, instabili e caduchi la costituisce, proprio come scrive l’autore portoghese, narratore della modernità attraverso la metafora e l’allegoria.
Ancora una volta l’artista premio UBU 2022 nella categoria miglior performer under 35 si è rivelata essere una autrice prolifica e attenta al movimento, nel suo essere presenza e assenza al tempo stesso.
PERDIZIONE – Prima nazionale
di e con Stefania Tansini
progetto sonoro Claudio Tortorici
coproduzione Festival Interplay, Nanou Associazione Culturale
durata 30’
Festival Iterplay, Torino | 7 giugno 2024