OLINDO RAMPIN | Siamo nell’area archeologica di Veleia, sull’appennino piacentino, circondati da boschi e radure, immersi in una perfetta oscurità, illuminata dalle luci teatrali e rotta ogni tanto dal verso di rapaci notturni, dal tubare di piccioni, da latrati di cani in lontananza. Davanti a noi i giovani interpreti, forgiati da Fausto Russo Alesi nella Bottega XNL ideata da Paola Pedrazzini, direttrice del Festival di Teatro Antico, pronunciano con trepidazione le parole scritte 2500 anni fa dal drammaturgo greco Euripide nella sua opera intitolata Ifigenia in Aulide. Agamennone, Menelao, Achille e i soldati attraversano la scena con impetuosità, facendo risuonare l’impiantito di legno con i loro scarponi moderni; come moderne sono sia le loro divise militari sia l’abito di Clitennestra, moglie di Agamennone e madre di Ifigenia, sia gli abiti da collegiali indossati dalle giovani del Coro.

A poco a poco si viene chiarendo davanti a noi la natura mostruosa della vicenda narrata: la decisione di un padre di sacrificare sua figlia perché così vuole la divinità. Una storia, come spesso accade nella tragedia greca, di onnipotenza del divino sull’umano, di dominio della necessità e della sorte, rivissuta e ripensata da Fausto Russo Alesi in dolente ascolto dei fremiti bellicisti di ieri e di oggi, delle guerre del Novecento, dell’orrore in Ucraina, a Gaza, dei presagi di una possibile nuova guerra mondiale.

ph Gianfranco Negri

È incommensurabile la diversità tra il mondo moderno e quello antico, pur nella consapevolezza della forza perenne di un’opera come questa, della sua capacità di dire ancora e sempre cose nuove. È la diversità genialmente intuita da Leopardi in pagine poco lette della sua altissima e ancora sottovalutata riflessione storico-politica, nella quale individuò nell’antichità greco-romana un modello supremo, in cui la condizione naturale dell’uomo non era ancora stata distrutta dalla “civiltà”, da un processo di spiritualizzazione distruttore delle illusioni e dell’immaginazione.
Un modello ineguagliabile anche per il rapporto tra arte e politica, quell’epoca essendo “inarrivata e inarrivabile nelle arti belle, pur considerate l’une e l’altre come suoi passatempi e occupazioni secondarie”. A questa differenza, non facilmente superabile con scorciatoie soggettivistiche o strumentalmente attualizzanti, va riferita anche la percezione, nello spettatore di oggi, della presenza sovrastante degli dèi nelle vicende umane.
È quel che accade qui: Agamennone non accetta forse l’aberrante decreto della dea Artemide che, adirata con i Greci, impone il sacrificio della figlia Ifigenia? Rispetto agli altri grandi tragediografi in Euripide la divinità appare ancora più tirannica, indecifrabile, incomprensibile, nevrotica, mutevole negli umori: come Artemide, appunto, che ritiene di doversi vendicare di Agamennone con l’uccisione della figlia solo perché durante una battuta di caccia egli ha osato dire di essere più bravo di lei; e che con la stessa matta arbitrarietà decide all’ultimo momento di salvare Ifigenia dal coltello sacrificale facendola sparire e sostituendola con una cerva.

ph Gianfranco Negri

Antefatto della saga della guerra di Troia, la vicenda della figlia di Agamennone diventò, grazie a Euripide, uno dei miti più amati dagli scrittori latini. Lucrezio ne fece acutamente l’emblema della barbarie di ogni superstizione religiosa. Ogni epoca diede la sua lettura della leggenda, e anche l’arte figurativa ne restò colpita. Un esempio pittorico a suo modo insuperato, di interpretazione in chiave attualizzante, tutta emotiva e atmosferica, per non dire pre-fumettistica, è quella che ne offre il celebre affresco dipinto nel 1756 da Giambattista Tiepolo sessantenne a Vicenza, nella Villa Valmarana “ai Nani”, che trasferisce il dramma euripideo in un antiquariato di grandioso effetto scenografico, nel quale Ifigenia è inopinatamente ritratta come una bionda e sensualissima dama del patriziato veneziano settecentesco a seno scoperto.

Fausto Russo Alesi con sensibilità moderna coglie uno dei nuclei più fecondi della scrittura euripidea nel conflitto di coscienza di Agamennone, maschio-alfa in crisi, leader che si scopre irresoluto ma non lo accetta, e cambia più volte idea sulla necessità del sacrificio della figlia.
È questo il motore di un doppio sviluppo drammatico: di fine introspezione dei conflitti interiori e di lucida analisi della spietatezza della lotta politica che si può leggere in controluce nel presente. Non a caso si è spesso parlato di un “realismo” e di un “razionalismo” di Euripide. La crisi investe qui nel profondo l’uomo e il Re di Argo, interpretato da Salvatore Alfano, vibrante e nervoso, dalla dizione infuocata da un costante vulcanismo espressivo, con cui lamenta più volte il peso del potere e l’invidia per l’uomo comune che non ha gravose responsabilità pubbliche. Al tempo stesso consente a Menelao, impersonato da Riccardo Francesco Vicardi, sinistramente avido di guerra e di potere nella sua divisa da comandante multimedagliato dal sapore fascista, di sfruttare cinicamente la debolezza del fratello per cercare di sopraffarlo.
Il diapason della tensione nei rapporti tra le diverse personalità in conflitto si esprime con ancora maggiore concitazione emotiva nel confronto inevitabile tra il re argivo e la moglie Clitennestra, di cui Elena Orsini, altissima, magra e fibrillante nel suo castigato abito rosso vintage da moglie borghese secondo Novecento, veste i panni con un ardore interpretativo che tocca punte parossistiche.

ph Gianfranco Negri

È questo un apice emotivo che la lettura di Russo Alesi indirizza sensibilmente verso la rappresentazione di una lotta che oggi diremmo di emancipazione femminile, uno scontro impari tra moglie e marito in una società, quella greca del V secolo, avanzatissima nella democrazia, riservata pero ai maschi greci e liberi, con conseguente assoluto apartheid di donne, stranieri e schiavi. Difficile non pensare che la futura vendetta consumata da Clitennestra, assassina del marito al rientro da Troia, debba trovare origine anche in questo antefatto, che la vede subire un’umiliazione e una ferita non rimarginabile, dove i diritti della donna sono brutalmente conculcati. Eppure Oreste, il figlio piccolo, interpretato da Marcello Russo Alesi, quando sarà grande farà grondare nuovo sangue dal corpo della madre, in quella che oggi verrebbe chiamata una famiglia gravemente disfunzionale.

Ifigenia è la minuta, solida e leggera Marita Fossat, forse la più bella sorpresa della serata, cui non si riesce a dare un’età. Bambina e già donna, con la agilità di uno spiritello dai lunghi capelli ricci fende in lungo e in largo la scena, ma i suoi passi e le sue corse, prima allegre e poi disperate, non producono cacofonia. La sconcertante mutevolezza della sorte, che Euripide analizza da par suo, la fa virare inaspettatamente dalle esternazioni di un affetto irrefrenabile e fisico per il padre alla disperazione incredula della vittima, che supplica e si dibatte perché non vuole morire, con note di quella tendresse touchante per cui provava profonda empatia Racine. Infine, la contraddittorietà (o mutevolezza?) di cui è capace l’essere umano, la conduce ad autoerigersi a emblema della virtù patriottico-nazionale, eroina coraggiosa che fa propria la volontà disumana del genitore, il maschio-padre-patriarca-capo. Volontà che in realtà è rivelatrice di una debolezza e di una sottomissione dello stesso eroe maschile, e degli essere umani tutti, perché coincide con il dispotismo irrazionale e crudele della divinità, ma forse più, in un artista intellettualmente irrequieto come Euripide, spesso definito “ateo”, con la irragionevole Ragion di Stato e con la “Necessità”, con “Ananke”, la dea del destino, l’ineluttabile sorte, forza cosmica imperscrutabile.

IFIGENIA IN AULIDE

Un miracolo scandaloso

da Euripide
traduzione di Letizia Russo
adattamento di Letizia Russo e Fausto Russo Alesi
regia e progetto scenico Fausto Russo Alesi
costumi Emanuela Dall’Aglio
disegno luci Max Mugnai
assistente alla regia Davide Gasparro
consulenza movimenti del coro Alessio Maria Romano
musiche Fausto Russo Alesi con il contributo di composizione degli interventi originali di Giovanni Vitaletti e la consulenza di Roberta Faiolo
sound designer Corrado Cristina
con (in ordine alfabetico) Giulia Acquasana, Salvatore Alfano, Chiara Alonzo, Giuseppe Benvegna, Simone Di Meglio, Jacopo Dragonetti, Marita Fossat, Sara Fulgoni, Elisa Grilli, Alessio Iwasa, Pietro Lancello, Carlotta Mangione, Ilaria Martinelli, Michele Marullo, Irene Mori, Elena Orsini Baroni, Giovanni Raso, Giorgio Ronco, Arianna Serrao, Chiara Terigi, Riccardo Francesco Vicardi, Mattia Zavarise e con il piccolo Marcello Russo Alesi

Festival di Teatro Antico, Velleia (PC) | 21 giugno 2024