RENZO FRANCABANDERA | La corrente della 19esima edizione di Short Theatre inizia a fluire, come piace dire a chi il festival deve comunicarlo, e anzi, oggi inizia ad andare a pieno voltaggio, dopo un primo assaggio di fine agosto. ALBULA, l’Opening Party ha avuto luogo venerdì 30 agosto al TAG culture, un evento immaginato insieme a Latam Futuro. Ma è da oggi che si entra nel vivo del festival a La Pelanda del Mattatoio.
VISCOUS POROSITY è il titolo di questa XIX di Short Theatre, un festival che negli anni ha saputo ricavare un suo specifico sguardo sulla performatività intesa in forma ampia, coinvolgendo la città e proponendo agli spettatori un’idea dell’arte dal vivo che ormai non ha più confini in questa o quella nomenclatura.
Proseguirà fino al 15 settembre con un programma fitto e molto internazionale contraddistinto dalla stratificazione dei linguaggi e dal suo tuffarsi dentro la geografia urbana, suggellando l’importante percorso di direzione artistica di Piersandra Di Matteo, che quest’anno giunge alla sua conclusione.
Negli 11 giorni di programmazione, il Festival ospita oltre 50 progetti, 40 compagnie provenienti da Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Brasile, Danimarca, Svezia, Rwanda, Stati Uniti, Germania, Canada, Palestina, Messico, abiteranno una rete urbana fatta di 13 location dislocate in 4 municipi. L’idea è proprio quella a cui rimanda il titolo dell’edizione, ovvero il pensare le relazioni come vischiose—appiccicose, ostinate, scomode, aggrumate, agglutinate.
Abbiamo desiderato parlarne con la direttrice artistica Piersandra Di Matteo.
Short è un festival ma forse ancor prima è un’idea di festival, quasi un format. È una percezione sbagliata questa?
Non so se Short Theatre sia un format, ma è certamente un intrigo di desideri e competenze, pratiche e riflessioni, innesti performativi nelle dinamiche della città di Roma che si compongono attraverso un lungo tempo di negoziazioni, per poi emergere nel tempo effervescente del festival.
Mi piace sottolineare che di fronte alla contrazione istituzionale degli spazi per la ricerca, i festival continuano a essere contesti in cui linguaggi, forme espressive e esperienze non collaudate e votate al consenso possono accadere.
Short non è solo un palinsesto di spettacoli, ma un luogo di proliferazione di creazioni artistiche connesse con il presente, un laboratorio di pensiero nutrito dalle pratiche, una piattaforma per le pedagogie e per ripensare le modalità di trasmissione della conoscenza.
Che strada ha preso la tua direzione artistica dell’edizione di Short Theatre 2024?
In linea di continuità con il triennio, nella nuova edizione ci concentriamo sulle dinamiche di relazione cercando di mirare alla costanza nel flusso, di dare rilievo all’intensità della presenza e di mostrare la condizione dell’essere invischiati, provando a decentrare l’umano e la sua smania di possesso, opponendoci a ogni ostinazione testarda di separare natura e cultura.
Il titolo scelto è VISCOUS POROSITY. Nella fisica newtoniana, la vischiosità coincide con il punto in cui un liquido resiste alla deformazione, opponendosi al fluire. La vischiosità non è né fluida né solida, ma rappresenta uno stato intermedio tra i due. Lo slime è una cosa seria – ci racconta la studiosa di biologia e scienze politiche tedesca Susanne Wedlich nella sua storia del vischioso –rivelando il suo ruolo cruciale nella storia evolutiva della vita. Guardare le relazioni da questa prospettiva significa cogliere i punti critici, fare spazio a ciò che resiste, che disturba o ispira repulsione in una mescolanza tra familiare e sconosciuto che sollecita intensità percettive. Significa anche dare rilievo al sentimento del disgusto e della vergogna, affetti spesso usati per attivare forme di discriminazione. Porre l’accento sulla porosità, concentrandosi su cerniere membranose o interfacce, diventa così un modo per collocarsi all’interno di fenomeni complessi e della loro relazionalità inter-dinamica.
La pasta vischiosa dell’immaginazione è un elemento indagato in molti dei lavori e degli incontri, attraverso fabulazioni critiche, cabaret scombinati, ilarità e sabotaggi armati di un’intelligenza dell’autoironia. Questi sono modi per connettere l’esperienza performativa all’impuro e al marginale, ma con una gaia scompostezza. In definitiva, credo che gli spettacoli che presentiamo siano un’occasione per apprendere la potenza dei nostri corpi, e di farlo attraverso i corpi stessi!
Che rapporto esiste fra gli allestimenti, gli spazi e l’ambiente circostante?
Negli ultimi anni, Short Theatre ha dedicato grande attenzione al rapporto tra performance e vita urbana. In questa edizione, abbiamo creato una sorta di ‘punteggiatura’ di luoghi scenici, più o meno conosciuti, storici, incastonati nei vari Municipi, una caratteristica peculiare di Roma. Penso al TeatroBasilica in zona San Giovanni, al Cometa Off e al Teatro di Documenti a Testaccio. Siamo orgogliose che questo gioiello architettonico, ideato da Luciano Damiani, grande scenografo del Novecento, sia uno degli spazi che attraverseremo. Questo luogo sarà animato dalla scrittura coreografica fuggitiva di Dana Michel con MIKE, una performance che si muove, sfugge e gioca con corpo e oggetti tra i cunicoli, le scale e le botole di questo spazio teatrale non convenzionale, scavato sotto Monte dei Cocci. Anche lo spazio pubblico è protagonista. È il caso del Tevere, che diventa punto di partenza, arteria di transito e approdo del festival. Sintonizzarsi con questa corrente d’acqua significa riconoscere un ecosistema abitato e turbolento, dove avvengono sovversioni e scambi tra umano, falde terrose e detriti. ALBULA – antico nome del fiume – ha segnato l’evento di apertura, nei pressi del Tevere, con LatamFuturo, lungo il margine selvatico di via della Magliana. Il Parco Tevere Marconi accoglie lo spettacolo conclusivo del festival, Ultraficción n. 1 di El Conde de Torrefiel. Lungo il Tevere, si svolgeranno la camminata acustica The Walks di Rimini Protokolle il percorso performativo El Viaje, ideato dal duo svizzero Igor Cardellini e Tomas Gonzalez.
Il Cimitero Monumentale del Verano, con la sua storia di devozioni e dimenticanze, cipressi ed edifici funerari, ospiterà un’esperienza di cammino-ascolto che intreccia passato, presente e futuro in un ricamo complesso ideato ancora da El Conde. Siamo particolarmente felici che il giardino della casa-famiglia ARPJTETTO accoglierà il pranzo ‘performativo’ di Nyamnyam, incentrato sull’uso del coltello e sul tagliare come pratica legata a saperi e tradizioni culinarie. Non lontano, lo Spazio Rossellini, in zona San Paolo, ospiterà la residenza di Danila Gambettola nel progetto SPORE, a sostegno della creazione emergente, in collaborazione con Iuav e ATCL. La Pelanda del Mattatoio conferma il suo ruolo di cuore pulsante, in collaborazione – durante la seconda settimana – con l’ostinata creatività dell’Angelo Mai, mentre i diversi spazi del Teatro India si trasformeranno in un hub pedagogico attivo per tutta la durata del festival.
Vuoi darci qualche highlight sui primi appuntamenti?
Mi piace rispondere suggerendo una tensione che pervade la nuova edizione: un’attenzione particolare alla ricerca sonora e alla sperimentazione acustica. Negli ultimi anni, abbiamo cercato di esplorare le relazioni tra ascolto e performatività, concentrandoci sulle condizioni materiali, istituzionali e sociali che determinano ciò che non può essere ascoltato, e sui modi per riconoscere il suono nella sua dimensione critica e creativa.
Concerti, ascolti collettivi e performance sonore interrogano i regimi dominanti dell’auralità, proponendo nuove ecologie dell’ascolto e dando spazio a voci smarrite e sonorità diasporiche, come quelle di Dorothée Munyaneza. Memorie sonore che si legano a storie di vita emergono nel lavoro di Alessandro Bosetti, realizzato con un gruppo di persone cieche e ipovedenti dell’Istituto Sant’Alessio, mentre Stina Fors esplora la trappola ottico-acustica del ventriloquio. Kristina Kristal Rizzo e Diana Anselmo riflettono sul “diritto alla Lingua dei Segni”, mentre nella ricerca sonora di Chiara Cecconello, le bocche risuonano come caverne rocciose. Le canzoni della misteriosa cantautrice georgiana Nino Gvilia (Giulia Deval) rivelano umori politici attraverso nastri magnetici, registrazioni ambientali, voci di filosofe e strumenti eccentrici. Il musicista iraniano Mohammad Reza Mortazavi porta a Roma le sonorità percussive del tombak e del daf, suggerendo usi contemporanei e antinazionalisti di questi strumenti. Un esempio potente di connessione tra performatività sonora e composizione istantanea, frutto di ascolto reciproco, è il live tra l’eccezionale percussionista Valentina Magaletti e la producer afro-portoghese Nídia.
ll suono, e la sua documentazione, insieme a sollecitazioni speculative, giocano un ruolo chiave anche nell’opera letteraria di Valeria Luiselli, scrittrice messicano-statunitense. Luiselli si occupa di diaspora, sradicamento, violenze legate al confine e alla detenzione, e la sua pratica si muove tra scrittura biografica, fiction, inchiesta e archivi sonori. Durante il festival, terrà una lecture e un workshop. Ma c’è molto altro ancora…