SOFIA BORDIERI* | Codex Festival è la manifestazione multidisciplinare sulle arti performative contemporanee più a sud della Sicilia. Ci troviamo a Noto, conosciuta capitale del Barocco, e in particolare nel cuore del centro storico dove è situato il teatro Tina Di Lorenzo. Qui si è aperta la dodicesima edizione con l’accoglienza del direttore artistico Salvatore Tringali a capo di un recente progetto-residenza, un percorso di capacity building, che ha coinvolto giovani architetti e operatrici culturali nonché docenti universitari e professionistə del settore con l’obiettivo di pensare e progettare una possibile rigenerazione degli Ex Magazzini della stazione netina. Il teatro infatti è solo il punto di partenza per andare insieme verso gli ex magazzini, location delle due giornate in programma. Un avvio simbolico, insomma, che ha voluto inaugurare l’apertura di una possibile e nuova cerniera, di un altrove, un nuovo presidio di cultura nella periferia della città in linea con la mission di Tringali e del suo team.

Prima della partenza siamo invitati a confrontarci con la domanda Che essere sei? scritta su una scatola di legno, e a rispondere scegliendo un adesivo tra cinque possibilità: essere lotta, essere paura, essere individualità, essere concretezza, essere intelletto.
Lo spostamento dal teatro è in linea con il progetto Strada Maestra di Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich, compagnia Nardinocchi/Matcovich, che ci invitano a una passeggiata oggettiva basata su tre regole: osservare senza soggettività, senza giudizio e con la presenza di almeno un testimone, ulteriori indicazioni sono rimanere in silenzio, mantenere compatto il gruppo e non usare i telefoni.

Foto Kataniastudio

Arrivati ai magazzini Laura e Niccolò elencano alternandosi con frasi brevi e descrizioni molto precise gli elementi osservati durante la loro camminata da capifila. Il pubblico viene  coinvolto subito dopo ad aggiungere o contraddire ciò che è stato detto: si parla di luci, rumori, macchine, dei saluti non ricambiati per mantenere la regola del silenzio.
Il dibattito è l’avvio di una serie di interrogativi riguardanti il rapporto tra l’uomo e la natura che si intrecciano a racconti, pensieri, posizioni personali. La loro presenza, come un elastico, si allontana dalla fiction per poi tornare a dialogare, a spiegare di volta in volta il loro progetto Strada Maestra che li ha visti per più di un anno alla ricerca di persone che lavorano e vivono a stretto contatto con la natura. Il racconto delle gente incontrata si dispiega sui cinque diversi esseri, quelli degli adesivi dell’inizio, ed è concomitante alla costruzione progressiva di un totem realizzato con tutti gli oggetti che quelle stesse persone hanno donato loro. In cammino da Anzino a Taranto quello di Laura e Niccolò è il racconto aperto del viaggio compiuto e delle persone incontrate. Il loro spettacolo è esso stesso parte di quel viaggio che continua ad arricchirsi grazie al suo essere itinerante ma anche fermo, focalizzato cioè sul ritagliare tempo all’incontro e alla condivisione di un’esperienza collettiva, dove la piccola comunità degli spettatori è interpellata a rispondere, a pensare o ripensare la collocazione dell’umano nel mondo.

A seguire, messi alla prova dall’inusuale freddo, ci posizioniamo in uno spazio laterale, lasciandoci alle spalle il palcoscenico. Il paesaggio buio intorno è desolato: binari dismessi, vegetazione spontanea, cani randagi abbaiano in lontananza.
Indossiamo le cuffie da cui sentiamo un tappeto musicale ambient con versi che ricordano il bubolare dei gufi. Riccardo Fazi e Claudia Sorace (Muta Imago) avviano una narrazione che dal racconto dell’arca di Noè giunge alla descrizione del paesaggio circostante, «rovine di un mondo che non riesco a immaginare». Nei riferimenti tra passato e presente le due voci si alternano tessendo racconti, flussi di coscienza esistenziali, interrogativi. L’intento è raccontare una storia dolce per la fine di quel giorno, ma quale storia raccontare? Cosa ne sarà di noi quando le storie saranno finite? Cosa penseranno di noi in futuro?
E io mi chiedo: come possiamo immaginare delle storie quando siamo irrorati di paura, guerra e distruzione? Siamo tra le macerie di un luogo abbandonato, il semicerchio formato da noi spettatrici e spettatori seduti su blocchi di fieno è distante dalle due voci che, come presenze “aliene” illuminate dai led, emergono dall’oscurità. Nonostante la prossemica registri un’ampia distanza fisica, le voci ci accompagnano in un racconto che dal sereno passa per l’inquietante arrivando a nessuna risposta esplicita, generando (forse è questa la risposta) un grande senso di collettività riunita.

Passiamo al secondo giorno all’insegna della danza. In slip, l’unico corpo in scena avvia un dialogo gestuale tramite movimenti che tornano ciclicamente. È una conversazione all’indietro, con se stesso, che insieme all’espressività mimica, genera un senso di incertezza e si sviluppa lungo la diagonale che da sinistra arriva al lato destro in proscenio, dove sul pavimento è abbandonato un completo.
Giuseppe Muscarello, danzatore e coreografo palermitano, è autore di Sull’identità, lavoro di venti minuti ispirato da Uno nessuno e centomila di Pirandello. Con l’indossare quegli indumenti l’agire diventa costretto, chiamato a un ordine che non dà spazio a troppi interrogativi. L’astrattezza dei movimenti lineari e scattanti è legata a una narrazione molto chiara: il personaggio di Muscarello, come Vitangelo Moscarda, alla fine decide di non essere nessuno e siede in uno dei posti della platea per osservare il palcoscenico rimasto vuoto.

Prima dell’ultimo spettacolo si è svolto un talk riguardo al progetto di bonifica di cui parlavamo in apertura, vincitore del bando TOCC del PNRR e svoltosi nel mese di giugno. Tra gli esiti della residenza progettuale vi è I luoghi che abiteremo, pubblicazione edita da Lettera Ventidue in cui sono stati raccolti contributi teorici, le ipotesi di progetto realizzate dai giovani architetti e operatori culturali selezionati e le due lectiones magristralis dell’architetto portoghese Manuel Aires Mateus. Un bel momento di condivisione, divulgazione e confronto di un progetto che vuole essere centrifugo e arrivare ai presenti e non.

Foto di Kataniastudio

Chiude il Festival la compagnia francese A Short Term Effect con Extinction/Les Phalènes. Abbracciamo la scena seduti o in piedi, vicinissimi al set composto da diverse aste per microfoni distese per terra su ognuna della quale è montata una lampadina. La regia-consolle è nella zona posteriore della scena.
Una piccola luce scoppiettante rende da subito visibile il corpo di Véra Gorbacheva che, distesa, disarticola movimenti sul pavimento in cemento, toccando i fili attorno a sé. In vestitino nero e sneakers la danzatrice mette in piedi le aste, una alla volta, posizionandole in cerchio mentre una voce sussurra le parole di Ilenia Caleo, un testo dal sapore poetico che parla di larve che diventano farfalle notturne «dopo aver terrorizzato decine di centimetri di pelle umana». L’intermittenza luminosa si moltiplica e si fa velocissima, all’unisono con il glitch (letteralmente errore) sonoro. Si avvia un concerto stroboscopico che attiva e che si fa attivare dalla musica così come dalla presenza di Gorbacheva e Thomas Laigle, anch’egli in scena di passaggio.
All’apice dell’intensità, come una variazione sul tema, la danzatrice instaura un dialogo con ogni fonte luminosa basato sulla ripetizione di un movimento sempre diverso e portato a estrema velocità. Rotazione delle braccia, flessione del busto e salti rendono la presenza femminile un’eletta. Davanti a noi si svolge un bombardamento allucinato, estatico e dark, fuso al movimento ispirato al tarantismo.
Un lento fade out avvia la conclusione, il corpo si adagia contorcendosi sul pavimento e torna la voce: «Cadere esausta, impazzita di luce». Il legame con le falene è una metafora sul mutamento e la caducità della vita che il coreografo Alexandre Roccoli ha impiegato in questo spettacolo tecnicamente notevole. La resa performativa non è da meno, al di là dell’inevitabile impatto del glitch sonoro-luminoso-coreografico la ricerca complessiva arriva salda, concedendo una visione che cattura, inestricabile dall’indagine concettuale e narrativo-evocativa il cui ricordo sarà forte.

STRADA MAESTRA

di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich
organizzazione Silvia Zicaro
scena Bruno Soriato e Giuseppe Frisino
sound design Dario Costa
light design Chiara Saiella
foto Simone Galli
produzione Florian Metateatro con il supporto di Sementerie Artistiche, Ass.Ippocampo, Ferrara OFF, Laagam-ORA | IntercettAzioni Centro di Residenza della Lombardia, Teatri di Vita, Elsinor / Teatro Cantiere Florida, TRAC – Centro di Residenza Pugliese, Theatron 2.0

DOPO IL DILUVIO

regia Claudia Sorace
drammaturgia / suono Riccardo Fazi
voci Riccardo Fazi e Claudia Sorace
canto Sara Bertolucci
musiche originali eseguite dal vivo Lorenzo Tomio
direzione tecnica / luci Maria Elena Fusacchia
una produzione INDEX in collaborazione con FOROF con il supporto di MiC – Ministero della Cultura

SULL’IDENTITÀ

coreografia, regia e danza Giuseppe Muscarello
una produzione PinDoc/Muxarte con il contributo di MiC e Regione Siciliana

EXTINCTION/LES PHALÈNES

direzione artistica Alexandre Roccoli
composizione e creazione del dispositivo sonoro e illuminotecnico Thomas Laigle
danza Véra Gorbacheva
testo originale Ilenia Caleo
una produzione Ménagerie de Verre co-realizzata da La friche Belle de mai & Actoral Marseille

Codex Festival, Noto | 12 e 13 settembre 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.