OLINDO RAMPIN | Piazza Garibaldi, Parma. Attendiamo sotto un cielo minaccioso di pioggia l’inizio di Hit Out, performance di Parini Secondo x Benoise che apre Solo cose belle, seconda edizione del Parma Moving Festival diretto da Daniele Albanese. Osserviamo il paesaggio urbano e umano con cui dovranno interagire le tre performer. Protagonista indiscusso della piazza è la statua di bronzo dell’eroe dei due mondi. Eretto, sereno e saggio, Garibaldi indossa il poncho e il berretto da fumo, e osserva ogni sera il beveraggio etilista delle vecchie e nuove italiche generazioni prigioniere dentro i pomposi déhors, cresciuti come funghi ai suoi piedi per “rigenerare” col fun l’edilizia storica della piazza. Deuteragonista del generale nizzardo, al quale però ruberà la scena, è la statua marmorea di Correggio, gran gloria del Rinascimento, posto accanto al Palazzo Municipale. Ritratto in un atteggiamento opposto alla composta burbanza da eroe a riposo di Garibaldi, l’artista vi è curiosamente raffigurato in una postura di effeminata eleganza, mentre medita su uno schizzo del suo prossimo capolavoro. Ad ogni buon conto, le statue dei due grand’uomini non si guardano.

Hit Out – ph Alessandro Insana

Vince, una volta tanto, l’artista contro il militare. I due elementi dello spazio urbano con cui la performance entra in dialogo sono infatti il Correggio e il palazzo comunale. Quando Martina Piazzi, Camilla Neri e Francesca Pizzagalli si dispongono nello spazio e iniziano il salto della corda, la loro azione, così poco appariscente sul piano spettacolare da poter sembrare una seduta di allenamento all’aperto, passa quasi inosservata. A poco a poco però il rumore ritmato e ripetuto delle tre corde sul selciato, combinato ai suoni sintetici di Alberto Ricca/Bienoise, comincia a innescare qualcosa, trasmette al pubblico un effetto anodino, vagamente ipnotico. Pochi lievissimi segni coreografici, come l’allinearsi su diverse rette, non sono però sufficienti a trattenere un vivace e spensierato gruppetto di cittadini di origine campana che si erano fermati incuriositi. La natura di queste azioni urbane è proprio anche nell’esporsi a un rapporto con il pubblico più destrutturato, meno protetto di quello che avviene in un teatro. Ciò è però compensato dalla possibilità che altri cittadini, altri passanti si fermino incuriositi.

E infatti ecco un gruppetto di adolescenti, che guardano, certo, con l’attenzione rapsodica della loro età. Esce qualche impiegata dal Comune a fine turno, con un po’ di imbarazzo attraversa la scena. Ora l’impassibilità dei volti delle tre performer lascia il posto ai primi segni della fatica. L’imporporarsi del volto, i capelli che si scompongono, le tracce del sudore sui corpi, il fiato che si fa corto: una alla volta le saltatrici si fermano e riposano qualche secondo.
Forse è per quello che indossano, sopra pantaloncini di lana che sembrano cuciti da una mano di nonna, strani corpetti di plastica intrecciata, ironiche corazze da eroine pronte a rialzarsi e ricominciare quello che appare sempre più un rito sportivo-religioso, una danza rituale. Uno spettatore africano manifesta tra gli altri un interesse intenso. Appoggiato mollemente con tutto il corpo al piedistallo della statua di Correggio – che acquista così una nuova funzione di divano verticale – riprende tutto lo spettacolo con lo smartphone e alla fine esplode in applausi a scena aperta e in ripetuti “bravò”, alla francese.
Ed è così, come si misura dalla soddisfazione delle interpreti, che il clic della relazione con un nuovo pubblico è avvenuto. Cose che nel chiuso dei teatri-fortezza non capitano mai.

Laboratory – ph Alessandro Insana

Riuniti sotto il titolo Laboratory, due giorni dopo avrebbero dovuto andare in scena in quattro diverse piazze cittadine quattro brevi assoli di altrettanti danzatori: Riccardo De Simone, Chiara Montalbani, Manfredi Perego, Danilo Smedile. Il maltempo ha costretto gli artisti a esibirsi al chiuso, a Europa Teatri, e a ripensare completamente una azione che doveva avvenire all’aperto nella relazione con un pubblico vario, di interessati e di passanti, con case e palazzi come quinte e fondali.
Il cimento è stato affrontato con prontezza,  riunendo i quattro interpreti e trasformando i quattro assoli in un quartetto che ha intrecciato improvvisazioni interpretando gli interni dell’edificio e dinamizzando la performance con momenti quasi di parkour. Ne è venuto fuori un itinerario a tappe negli spazi del teatro, in un rapporto di stimolanti costrizioni per la presenza di scale e di ambienti esigui.
La prima a entrare in scena, in una saletta, è Chiara Montalbani, che taglia l’aria con una sicurezza e una solennità che imprimono allo spazio un aspetto meno precario. Poi seguono uno alla volta gli altri tre performer, che compongono nella saletta un improvvisato puzzle di figure, quasi urtandosi. Manfredi Perego interpreta lo spazio in modo ironico, allusivo, con movimenti convulsi e appena accennati ma ripetuti, quasi ipotesi di lavoro continuamente interrotte anche con cenni di mimo, con fonazioni grottesche, a esprimere liberamente lo sforzo, come un atleta.

Nel vano scale il movimento diventa un’ardua prova, che uno dei performer risolve disegnando posizioni di yoga in una geometria che incontra la complicità estetica di Montalbani. Il piccolo retropalco, nella sua umiltà estetica fatta di oggetti d’uso comune e di armadietti metallici si presta bene a un capitolo di danza “industrial”. La scena conclusiva, nella sala teatrale, è come una liberazione per bambini cinetici trattenuti a stento. Ora Chiara Montalbani può vivere pienamente lo spazio e mostrare i geroglifici esatti che le braccia, l’addome, il capo, disegnano con una pulizia di movimento e un controllo del gesto che non le impediscono di sorridere di evidente gioia, gli occhi che con la piena luce bianca ora assumono una diversa e più intensa tonalità di azzurro, quasi severa.
Ora i tre interpreti maschili hanno l’agio di tradurre, riempiendo la scena ma senza cambiarne il segno, le loro idee di movimento, trattenuto e quasi mimico e ironico in Perego, con lievi elementi di acrobatica e con abbandono all’improvvisazione in De Simone e Smedile.

Sfera – ph Alessandro Insana

In Sfera di Michele Di Stefano/MK l’azione inizia e finisce con l’apparizione di un rider che, seduto tra il pubblico, si alza e prende il centro della scena con lo zaino arancione di Just Eat sulle spalle. Non sembra un caso che si sia scelta la società di food delivery che un mese fa ha sanzionato alcuni lavoratori per low performance in base ai calcoli dell’algoritmo, suscitando comprensibili e fin troppo moderate proteste.
Le sequenze di immagini e parole che seguono questo prologo non confermano però le aspettative di chi tra il pubblico poteva credere a uno spettacolo di esplicita rappresentazione delle terribili condizioni di lavoro provocate dalle forme più disumane del capitalismo digitale. L’epifania dello zaino da rider è un segno forte del presente e un depistaggio, che ci dice: “Ceci n’est pas une danse”. E infatti, la struttura narrativa, se c’è, si configura più come un rompicapo coreografico, un dodecaedro di sequenze eterogenee. O c’è invece una soluzione, posto che debba esserci, a questo rebus? Chi è, infatti, la figura che appare nella sequenza dopo il rider, immersa in una livida semioscurità combinata con la riproduzione sonora di macabri grugniti e di sonorità cacofoniche?

Coperta da un telo, è un fantasma, una donna assoggettata alle regole dell’Islam integralista o un potere senza volto che comanda e dispone?
Sta di fatto che di fronte al phantasma uno degli interpretri toglie un involucro da uno zaino nero che viene sollevato verso l’alto. Come si collega, se mai debba collegarsi, questa sequenza non estranea ad atmosfere thriller, con quella successiva, in cui cinque interpreti in piena luce dicono tutti le stesse frasi fuori sincrono? Sono brani di conversazioni mescolati a impressioni personali e a idées reçues, pronunciati sotto probabile dettatura, visto che alle orecchie hanno cuffiette che finiscono dentro un marsupio cheap. Loro stessi vestono un total black ugualmente cheap, composto da una t-shirt,  anonimi pantaloncini e calzini. Ma ecco che la parola lascia spazio alla danza, e sono composizioni di assoli, in cui gli interpreti si allontanano e si incrociano con esattezza, come dentro un acquario che ne colora i corpi di luci basse, tra viola e rosso. Ridisegnano lo spazio, fino a congiungersi pittoricamente, in un groviglio che ricorda certe composizioni di corpi nella pittura rinascimentale e barocca di tema sacro.

 

HIT OUT

di Parini Secondo x Bienoise
con Martina Piazzi, Camilla Neri, Francesca Pizzagalli
coreografia Parini Secondo
musica e partitura Alberto Ricca/Bienoise
costumi e intrecci Giulia Pastorelli
corde MarcRope Milano
produzione Parini Secondo, Nexus Factory
co-produzione Bolzano Danza, Santarcangelo Festival

LABORATORY

di e con Riccardo De Simone, Chiara Montalbani, Manfredi Perego, Danilo Smedile

SFERA
#uno stato eternamente nascente

performance con Philippe Barbut, Biagio Caravano, Flora Orciari, Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Laura Scarpini, Francesca Ugolini
coreografia set abiti Michele Di Stefano
modular system live Biagio Caravano
testo Michele Di Stefano con Massimo Conti e AAVV
disegno luci Giulia Broggi
produzione mk/KLm

Parma Moving Festival | 16-20 ottobre 2024