ILENA AMBROSIO | Nell’introduzione, pacatamente polemica ma evidentemente risentita, alla versione televisiva di La grande magia (1964) Eduardo De Filippo ha offerto una chiara dichiarazione circa la poetica sottesa alla commedia scritta nel 1948 e inserita nella Cantata dei giorni dispari. La definisce una frattura nel corpus delle sue opere, precisamente «una frattura, non definitiva ma significativa, per quello che poteva essere un nuovo teatro, un nuovo linguaggio». La scelta di affrontare un soggetto «un po’ scabroso, assurdo, che procede per simbolismi» avrebbe fatto da abbrivio, nelle sue intenzioni, a un progresso del codice scenico, a un avanzamento del suo stesso teatro. La grande magia non fu accolta benevolmente dal pubblico che, abituato alla confortevole e lineare sintassi drammaturgica di Eduardo, non comprese il senso di quella deviazione. Eppure – da qui il tono polemico – a distanza di un quindicennio spopolò Ionesco con il suo teatro dell’assurdo del quale, in un certo qual modo, De Filippo rivendica se non la paternità quanto meno il contributo dato con La grande magia.

Significativo, allora, che sia propria la cifra dell’assurdo a serpeggiare lungo tutta la rappresentazione firmata da Gabriele Russo e debuttata al Teatro Bellini il 15 ottobre scorso (dal prossimo 5 novembre al Piccolo di Milano) con l’interpretazione, nei ruoli dei protagonisti, di Natalino Balasso e Michele Di Mauro.

Il primo è Calogero di Spelta, un medio-borghese ospite, assieme alla bella moglie Marta, dell’albergo Metropole la cui direzione, per intrattenere gli ospiti, ingaggia il prestigiatore Otto Marvuglia (Di Mauro), un mago-filosofo che tira a campare allestendo spettacoli itineranti a metà tra strampalato illusionismo e benevola truffa. Proprio il gelosissimo Di Spelta sarà la prossima vittima allorché l’amante della giovane Marta ingaggerà il mago per simulare una sparizione momentanea di lei e poterla incontrare. Ma la sparizione diventa definitiva perché i due amanti scappano in barca a Venezia. Marvuglia, allora, dispiega tutte le sue abilità affabulatorie per costruire un fitto giuoco intorno a Di Spelta: la moglie non è sparita ma è custodita in una scatola e riapparirà solo se la fede del marito sarà tanto salda da crederlo. Cosa che non è, ovviamente, cosicché il povero illuso terrà il prezioso cofanetto chiuso per anni, convincendosi che la donna sia davvero lì.Il brillante piano registico seguito da Russo si dispiega con chiarezza lungo i tre atti, con il contributo niente affatto decorativo ma sostanziale di tutte le maestranze.

L’ampio boccascena del Bellini è riempito dalle scene di Roberto Crea e dalla partitura luminosa composta da Pasquale Mari, i quali hanno ben pensato di realizzare tre diverse immagini di estrema suggestione. Nella prima il giardino dell’hotel: uno spazio contornato da floride piante, un tappeto di foglie e sul fondo un velino che lascia intravedere una pedana praticabile sulla quale transitano, a momenti, i personaggi. Gelide le luminosità nelle tinte dell’azzurro, un riflesso di un mare di fine estate. Il secondo atto è nell’abitazione di Marvuglia: il cambio scena, in controluce, a opera degli interpreti, trasforma il giardino in un interno, ora caldo, riempito dal tavolone centrale colmo degli oggetti di fortuna con i quali il mago realizza i suoi numeri di prestigio. Infine l’appartamento di Di Spelta: seguendo un itinerario che va dal fuori al dentro, ci si ritrova in un ambiente vuoto, semibuio, che si configura con evidenza come un luogo della mente più che come uno spazio concreto; luogo recondito riempito solo dalle folli visioni che il giuoco produce nell’uomo.
Il piano visivo trova però completezza nell’intreccio con quello acustico, cui si è dedicato Antonio Della Ragione: un fondale sonoro continuo sul quale si stagliano note dissonanti ed echi di voci appena percepibili accoglie gli spettatori già al loro ingresso, fino a condurli in un ecosistema di distorsioni, ripetizioni, riverberi che sposa la poetica dell’assurdo e inabissa la mente sempre più a fondo nel luogo mentale fatto di allucinazione e follia nel quale Di Spelta arriva a vivere.
E poi i costumi pensati da Giuseppe Avallone: semplici ed eleganti riescono, mediante contrasti di linee e di colore, ad accennare quanto basta alla differenza di estrazione sociale dei personaggi, ponendosi al contempo su un livello di più vaga – e dunque poetica – allusione allo scontro tra il mondo reale e quello dell’illusione.

È l’equilibrata sinergia tra tutte queste componenti a regalare fluidità al gioco di alternanza ideato da Russo quale costante della messa in scena: fasi più naturalistiche si avvicendano a momenti dal carattere onirico, durante i quali l’atmosfera si condensa in tableaux cui la fissità dei corpi, il divampare della luce, la catabasi del suono conferiscono un che di sinistro, di inquietante.
Un gioco, una magia dei quali gli undici interpreti si fanno portatori con abilità. Di Mauro è naturale, mai affettato anche nei momenti in dialetto napoletano che si è scelto di preservare. Decisione che, di primo acchito, potrebbe anche stonare con la generale “politica linguistica” della pièce volta a preservare le cadenze regionali di ciascun interprete, ma che, a una più profonda riflessione, risulta coerente con la scelta di Eduardo di affidare al dialetto i momenti più privati del mago (sostanzialmente quelli con la moglie e con gli amici) e all’italiano quelli “performativi”. In entrambi l’attore sostiene il dire con disinvoltura completandolo con una gestualità da vero istrione.
Balasso, dal suo canto, restituisce con chiarezza mai didascalica la metamorfosi di Di Spelta: da scettico e distaccato rispetto a tutto ciò che trascende la concretezza del reale diventa appassionato, cocciuto nella sua follia. Pazzia alla quale Balasso riesce ad aggiungere una riuscita sfumatura di struggente umanità.

Attorno a loro la microcomunità attoriale messa insieme dal regista sostiene e completa la performance. Ciascun ruolo è calibrato nel suo peso specifico a formare uno sciame umano che passa con prontezza dai fotogrammi in cui si concentra l’assurdo – i corpi rigidi, le voci stridule, gli sguardi fissi e le risate sguaiate –  alla vivacità delle scene più mimetiche che portano avanti il plot.

«Non badiamo alla favola, a quello che dice il soggetto: l’adulterio è un pretesto per dire certe cose… Calogero è il borghese intimamente legato alle sue tradizioni e che non vuole guardarsi intorno… Marvuglia è il prestigiatore, il propagandista delle illusioni».
Era questa, per Eduardo, la lettura socio-culturale celata dietro i simboli disseminati nella trama. Una lettura che sarebbe stata evidentemente anacronistica se ripresa tal quale. Questa versione di La grande magia, invece, offre tutti gli indizi necessari per una interpretazione più umana, quasi psicologica, del contrasto tra verità e finzione, tra ragionevolezza e illusioni che tutte le componenti dello spettacolo contribuiscono a veicolare. Ma c’è dell’altro, perché questa commedia è anche, in fondo, un grande omaggio all’arte del teatro. Facendo dell’illusione, della manipolazione della realtà materiale drammaturgico Eduardo dipinge un favoloso ritratto del meccanismo teatrale. Ebbene, il mondo scenico e attoriale messo in piedi dietro la direzione di Gabriele Russo respira anche di questo, facendosi davvero scatola magica del teatro.

 

LA GRANDE MAGIA

di Eduardo De Filippo
regia Gabriele Russo
con
Natalino Balasso nel ruolo diCalogero Di Spelta
Michele Di Mauro nel ruolo di Otto Marvuglia
e con, in ordine alfabetico
Veronica D’Elia – Amelia Recchia
Gennaro Di Biase – Mariano D’Albino e Brigadiere di P.S.
Christian di Domenico – Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta
Maria Laila Fernandez – Signora Marino e Rosa Di Spelta
Alessio Piazza – Gervasio e Oreste Intrugli (genero Di Spelta)
Manuel Severino – Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia
Sabrina Scuccimarra – Zaira (moglie di Marvuglia)
Alice Spisa – Marta Di Spelta e Roberto Magliano
Anna Rita Vitolo – Signora Zampa e Matilde (madre Di Spelta)
scene Roberto Crea
luci Pasquale Mari
costumi Giuseppe Avallone
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Teatro Bellini, Napoli | 18 ottobre 2024

Prossime tappa: 5-10 novembre, Piccolo Teatro, Milano