ELENA ZETA GRIMALDI | Dopo esserci immersi negli spettacoli della prima settimana (qui l’articolo) e nelle performance più legate alla danza (potete leggerne qui), torniamo al Fringe più a sud d’Italia, il Catania Off.
Sfogliando il programma, si notano due cose: che gli spettacoli proposti sono sempre più spesso monologhi, e che affrontano sempre più problematiche sociali. Basta curiosare tra i commenti lasciati (o non lasciati) dagli spettatori nelle pagine dei vari spettacoli, per rendersi conto che questo genere riscuote grande successo.
Da un lato, questo rafforza l’idea che sia ormai usuale un modo di fruire il mondo un po’ “voyeuristico”, in cui il racconto di sé (soprattutto se condito di grandi temi mainstream) attrae sempre; dall’altro, però, è evidente da parte degli artisti il bisogno di allontanarsi dalla spettacolarizzazione fine a sé stessa e metterla al servizio di una riflessione sul presente. E questo viene fatto nei modi più disparati, a volte con risultati notevoli. È il caso dei tre spettacoli che abbiamo seguito.
Il primo, Boxeur di Pequod Compagnia, è una storia di boxe e antifascismo, che mescola passato e presente, realtà e desiderio, partendo da «l’incontro del secolo tra Victor Young Perez e Eugene Smith Lorenzoni» per celebrare la fine della Seconda guerra mondiale. All’alzarsi delle luci, tra le piantane coi fari, uno sgabello e un pungiball che abbracciano lo spazio come pali di un ring, entra il protagonista, Stefano Pietro Detassis, che da un microfono in un angolo del proscenio racconta la genesi dello spettacolo. In un momento buio della sua vita, si è iscritto alla palestra popolare di quartiere, dove boxe e antifascismo sono un connubio inscindibile. Nessuno, all’inizio, riusciva a capire come uno sport così violento potesse essere (per moltissimi) simbolo di riscatto e libertà, neanche lui; ma poi, proprio in palestra, ha scovato quella storia.
Lo spettacolo, dunque, è un’appassionante digressione che porta a comprendere l’importanza di quel match del 1946 a Parigi, attraverso la storia dei due pugili. La prima parte si concentra su Lorenzoni, immigrato in giovane età con la famiglia dalle montagne del nord Italia a causa delle violenze fasciste, che si ritrova nel caos della capitale francese a lavorare in fabbrica e non riesce ad adattarsi a quella vita rumorosa e grigia, almeno fino a che non incontra il suo allenatore di boxe. Da lì, la sua carriera decolla, e diventa uno dei pugili più famosi di Francia; fino a che non arrivano i nazisti, ed è costretto a prendere le armi – «immaginate voi come sarebbe perdere tutto per andare in guerra», ci dice il narratore. Perez, invece, è un ebreo tunisino, il più giovane campione del mondo di pugilato della storia. Denunciato e deportato ad Auschwitz, andrà avanti combattendo incontri per divertire i gerarchi tedeschi.
Tutta l’estetica dello spettacolo tende a costruire un’atmosfera vintage un po’ caricaturale (un mix di Keaton e tatuaggi “old school”): costumi d’epoca dai colori sgargianti, i baffi del protagonista laccati all’insù, le movenze innaturali e quasi ballate che ben si accordano (chi l’avrebbe mai detto!) alle hit pop che fanno da intermezzo ai momenti della storia. Detassis tiene la scena con grande energia, e riesce a far apparire i personaggi di contorno (il padre di Lorenzoni, gli amici, l’allenatore, i nazisti…) con grande suggestione, frutto anche di un testo ben congegnato nel “saltellare” in diversi spazi e tempi, e di intelligenti scelte registiche che mai si allontanano dall’idea che sorregge tutto lo spettacolo (entrambe merito di Maura Pettorruso).
Una menzione speciale per la potenza emotiva e drammaturgica è da fare al finale, grazie al quale l’intero spettacolo, a ritroso, viene arricchito di un ulteriore livello di lettura, che scombussola tutta la visione, e fa in modo che il pubblico esca dalla sala sconvolto quanto basta da non dimenticare la storia sulla sedia da cui si è appena alzato.
Restiamo nella stessa epoca con il secondo spettacolo. Radici, di e con Antonio Anzilotti De Nitto, racconta le persecuzioni naziste, e lo fa da tre punti di vista che solitamente restano un po’ sottotraccia nel resoconto storico: un ragazzo omosessuale, un pugile rom e un internato psichiatrico. In sala, De Nitto instaura subito un rapporto col pubblico, interrogandolo direttamente e utilizzando questo espediente come trampolino per tuffarsi nella storia del primo vero amore del ragazzo, che purtroppo si instaura con un ebreo che verrà presto deportato con tutta la sua famiglia, sorte che toccherà subito dopo anche al protagonista.
Basta contare fino a dieci e togliere il montgomery, che De Nitto diventa un rude pugile che battibecca con la moglie (anche questa individuata nel pubblico), la quale vorrebbe cambiasse lavoro, ma va a vedere comunque tutti gli incontri, fino a che il Reich decide che i vincitori devono essere sempre ariani, e la carriera del protagonista crolla. Per proteggere la moglie e la figlia, il pugile divorzia e se ne va di casa; presto verrà arrestato e costretto a combattere per il divertimento dei suoi aguzzini.
Si conta di nuovo fino a dieci, via le bretelle, e abbiamo davanti un ragazzo neurodivergente intento a esaminare il risultato di un test: per quello che sa, se lo supera potrà partire alla volta di un altro centro, dove già si trova la ragazza di cui è innamorato; ma non riesce a capire perché il dottore non gli dà mai un buon voto. Apprendiamo subito dopo che chi supera il test viene spedito in una struttura nazista, scoperta che ha fatto sprofondare il dottore in una stato di ansia e depressione. Vani sono i tentativi di convincere il ragazzo, che continuerà, forse all’infinito, a cercare di ottenere il voto che desidera.
Lo spettacolo risulta davvero toccante: il racconto è forte, e della narrazione in prima persona vengono sfruttate tutte le potenzialità, colpendo lo spettatore nel vivo. De Nitto ha una presenza scenica che cattura e una straordinaria capacità di cambiare personaggio: passando da uno all’altro quasi sembra, nella luce soffusa, che anche i suoi connotati siano mutati.
Essere contemporaneamente attore, autore e regista, però, può causare qualche intoppo: a parte la luce soffusa che non cambia mai e rischia, in alcuni punti dal ritmo più lento, di annoiare un po’, qua e là c’è qualche ingenuità registica e, a parere di chi scrive, l’impostazione drammaturgica del terzo episodio è forse un po’ sbilanciata, dando troppo spazio al dottore. Niente di irreparabile né, in fondo, di così grande da inficiare lo spettacolo; ma basterebbe davvero qualche accortezza in più per rendere Radici uno spettacolo riuscito da ogni punto di vista.
Cambiamo totalmente atmosfera, contesto storico e genere performativo, con News di 044 Mime Company: in scena ci sono ben tre interpreti, siamo immersi nella cronaca più stringente, e – come s’intuisce dal nome della compagnia – lo spettacolo manca totalmente di parole.
Un po’ mimi, un po’ clown, un po’ acrobati, gli ucraini Kateryna Spodoneiko, Pavlo Vyshnevskyi e Oleksandr Symonenko riescono a tenere in piedi un frizzante e divertente spettacolo per 50 minuti che volano in un batter d’occhio, utilizzando solo i loro corpi e… un sacco di giornali. News si concentra sull’assunto che «le informazioni che ci circondano plasmano la nostra visione del mondo», nel bene, ma soprattutto nel male. Non solo e non tanto per il loro potere manipolativo, ma anche e soprattutto per le conseguenze psicologiche dell’essere sommersi da sempre più notizie in sempre più breve tempo, da cui consegue la brama di averne sempre di più, situazione che (inutile negarlo) almeno una volta nella vita è sfuggita di mano a tutti.
All’inizio, infatti, i tre performer stanno in scena, ognuno col suo giornale preferito; ognuno incuriosito da ciò che sta leggendo l’altro, cerca prima di sbirciare e poi di impossessarsi dei giornali altrui, in una esilarante sequela di incastri di corpi e fogli di carta, che appaiono assolutamente naturali, ma sono evidentemente studiati nei minimi dettagli (e richiedono una preparazione fisica notevole). Nel mentre, a turno, ognuno instaura col giornale anche un rapporto personale: chi ci gioca, chi lo usa per aumentare il seno, chi lo trasforma in mazzi di fiori, utilizzando dell’oggetto (che è il vero protagonista) anche la consistenza, il suono, il potenziale trasformativo.
Ma, a mano a mano che il gioco va avanti, diventa sempre più violento: è impossibile smettere di leggere, impossibile rinunciare a informarsi, bisogna restare sempre al passo con la notizia. Arrivati a un alto grado di malsana euforia, uno dei tre personaggi deciderà di prendersi una pausa e cercherà di impedire anche agli altri due di continuare ad alimentare la dipendenza, ma non sarà per niente un compito facile.
Pur mantenendo il tono giocoso e cartoonesco che caratterizza lo spettacolo, nonché un utilizzo del giornale sempre diverso, originale e inaspettato, il finale assume un tono grottesco e distopico che, accentuato invece che smorzato dalle risate che comunque continuano in platea, colpisce lo spettatore. Come se quel giornale, con un gesto inaspettato, ti fosse arrivato in piena faccia.
BOXEUR
di Maura Pettorruso
regia Maura Pettorruso
con Stefano Pietro Detassis
luci Federica Rigon
musiche Giacomo Maturo
costumi Valentina Basiliana
produzione PequodCompagnia Teatro E
RADICI
di Antonio Anzilotti De Nitto
regia Antonio Anzilotti De Nitto
con Antonio Anzilotti De Nitto
costumi Antonio Anzilotti De Nitto
produzione Ferrara Off APS
NEWS
di 044 Mime Company
regia Pavlo Vyshnevskyi
con Kateryna Spodoneiko, Pavlo Vyshnevskyi, Oleksandr Symonenko
costumi 044 Mime Company
produzione 044 Mime Company
Catania Off Fringe Festival | 27 ottobre 2024