RENZO FRANCABANDERA | La quarta edizione de Il Respiro del Pubblico Festival torna a Firenze dal 9 al 25 novembre 2024, articolandosi tra il Teatro di Cestello e vari spazi dell’Oltrarno. Con la guida di Alessandra Comanducci, Michela Cioni e Paolo Ciotti, Cantiere Obraz si è connotata in questi anni come una realtà dedicata a creare una profonda connessione tra tradizione e innovazione teatrale, con un’apertura verso la cittadinanza e un dialogo con i giovani. La loro missione si fonda sull’approccio formativo della pedagogia teatrale russa, che ispira anche la loro attività di produzione teatrale. Grazie a una programmazione che va oltre la semplice fruizione, l’azione posta in essere da Obraz sul territorio si specifica come la volontà di riscoprire il teatro come luogo di partecipazione e riflessione collettiva, capace di esprimere la complessità e le potenzialità creative della vita cittadina.
Il tema guida di quest’anno è infatti proprio “la città” come luogo simbolico per la ricerca della felicità, filo conduttore a una serie di eventi curati dall’associazione culturale fiorentina Cantiere Obraz, con il contributo della Fondazione CR Firenze e la collaborazione del Teatro di Cestello. Il Festival, come ogni anno, include anche la Scuola di Critica Teatrale per adolescenti “Ciuchi Mannari”, un progetto formativo che incoraggia giovani critici a osservare e interpretare il teatro dal vivo. Il cartellone di questa edizione esplora la città come luogo di incontro, isolamento e trasformazione. Tra i protagonisti ci sono figure di rilievo come Saverio La Ruina e Michele Santeramo, accanto a compagnie emergenti e locali come Teatro dell’Elce e Mammut Teatro.
La programmazione è variegata, propone sia opere legate alla grande tradizione teatrale (con rimandi a Kafka, Shakespeare, e alla Napoli di Jovine) sia spettacoli incentrati su temi contemporanei, come il lavoro precario e la marginalità urbana. Lo spettacolo Smart Work di Mammut Teatro, per esempio, si addentra nelle difficoltà di un rider, offrendo una riflessione sulle tensioni moderne della città. Anche House we Left del Centro Teatrale MaMiMò, incentrato sulla vita in carcere, evidenzia le fratture sociali invisibili della vita cittadina.
Torna il respiro del pubblico. La direzione che Cantiere Obraz in questi anni ha preso pare aver messo radicalmente al centro il rapporto con lo spettatore. È così?
Ce lo chiedevamo in questi giorni e ci siamo risposti di sì. Nasce da una forte urgenza artistica di fare comunità, di fare della partecipazione culturale il collante per un teatro che riscopra la sua funzione più sociale e civica. C’è bisogno di un teatro che faccia la sua parte nella società. È però vero che in questi anni la modalità con cui decliniamo la centralità del pubblico sta subendo delle trasformazioni, passando dalla scelta di spettacoli più apertamente interattivi a spettacoli in cui, in maniera più poetica e filosofica, proponiamo una compresenza attiva. Non si tratta solo di chiamare lo spettatore a partecipare con interventi e battute ma di rendere il suo corpo il luogo attivo dell’incarnazione di un’immagine proposta. Detto in altre parole si tratta di creare condizioni per cui gli artisti facciano apparire li teatro fra il pubblico.
Cosa ha guidato allora le scelte della vostra direzione artistica per questa edizione? Che tipo di spettacoli avete scelto?
Ormai da un anno abbiamo attivato una ricerca sulla città come luogo privilegiato dell’uomo contemporaneo. Entro il 2050, i 2/3 dalla popolazione vivranno in città e la città è delizia e croce dell’essere umano. È il luogo dove gli uomini vivono insieme per affrontare le avversità e in cui fiorisce la creatività umana ma è anche il luogo in cui proliferano isolamento e disuguaglianza. C’è una definizione di città di G. Botero che ci ha colpito molto: la città è il luogo in cui le persone si riuniscono alla ricerca della felicità. Da qui è partito il filo rosso che collega gli spettacoli da Via del Popolo di Saverio La Ruina a Marcovaldo di Arca Azzurra, dalla vita del rider di Smart Work di Mammut alla città kafkiana degli Uomini Storti di GogMagog.
In cosa, rispetto agli anni scorsi, c’è continuità e in cosa discontinuità? O è tutto un filo che si sviluppa e che richiede anche diversità?
La costruzione del festival è un processo analogo a quello della replica di uno spettacolo: la struttura è quella, ma ogni volta devi rivivificarlo, farlo accadere di nuovo, da capo. La continuità sta nelle azioni proposte, nella centralità dello spettatore, e nell’integrare proposte che dialoghino con realtà teatrali del territorio e con proposte nazionali. La novità è la necessità di allargare il festival alla scena fringe italiana per farci portavoce del fermento creativo che c’è nel teatro off. Una porzione del programma che abbiamo intenzione di ampliare nella prossima edizione.
In tutto questo non avete rinunciato a uno spazio di formazione e di programmazione per le giovani generazioni.
È irrinunciabile per noi, anzi è il vero motore del nostro progetto artistico. È necessario sviluppare un costante patto fra le generazioni. Il nostro paese ha un atteggiamento cieco verso i ragazzi. Nei loro confronti siamo aggressivi e, direi, ottusi. Come non pensare ai decreti legge che disattivano e demonizzano le azioni dei giovani o al disinteresse nei confronti della pubblica istruzione o banalmente al fatto che li spingiamo a emigrare. Altro che l’immigrazione!
Ma la cosa che mi sembra più grave è che noi, come generazione adulta, abbiamo un problema quasi “psicologico” con il tema dell’ eredità: non siamo attraversati minimamente dal pensiero di come elaborare strategie di formazione per passare il testimone. E così muoiono i progetti, i teatri, le conoscenze: non stiamo dando gli strumenti a chi dovrà prendere il nostro posto di amare e, magari un domani, trasformare, la nostra ricerca e quello in cui abbiamo creduto. Bisogna tramandare il teatro per poter insegnare l’amore che ne deriva. Il progetto Ciuchi Mannari, un percorso di allenamento alla visione coordinati da di critici teatrali osservatori di professione, nasce in risposta a questa esigenza.
Obraz sta iniziando a diventare una realtà presente con la sua proposta artistica praticamente tutto l’anno, e da Il respiro del pubblico fino a Naturesimo, offre agli appassionati di teatro la possibilità di mettersi in gioco in molte forme.
La frontalità classicamente intesa, per noi, è morta. Lo è nelle lezioni e anche nel teatro. In un mondo veloce in cui idee e virus si propagano a macchie, in cui, mentre leggo un testo, posso aprire molteplici finestre su altri mondi, anche le forme del teatro non possono essere rigide, separate.
Fin dal 2019 siamo alla ricerca di una definizione per la nostra attività artistica. Abbiamo, negli anni, usato molti termini: indagine teatrale (Metropolis), azione artistica (per spettatore solo, in presenza d’albero), passeggiata urbana/urban walking (Fiorentini Fantastici), performance (Naturesimo), lezione-spettacolo, conferenza-spettacolo, fino all’ abusata formula ‘teatro partecipativ’o per i nostri due festival (Il respiro del pubblico e Urbano Fantastico). Da un lato questa molteplicità di formule potrebbe sembrare una ricchezza, ma, onestamente, non siamo ancora riusciti a trovare una definizione soddisfacente per raccontare la nostra proposta. Forse è un problema di vuoto di linguaggio; però, nonostante la molteplicità di forme, tutte le nostre proposte sono accomunate dal principio del giocare insieme: attivare un approccio ludico nell’ambito dell’azione che avviene fra chi guarda e chi agisce. Probabilmente in altre lingue sarebbe più facile da definire.
Oltre che essere lavoro, cosa è per voi questa pratica artistica? Cosa significa, quali turbamenti dà alla vostra vita, quali soddisfazioni?
L’attività teatrale insiste così tanto nelle nostre vite da sfuggire ai paradigmi del lavoro comunemente intesi. Tanto che alla fine resta difficile anche intenderla come lavoro. E da questo misunderstanding, scaturiscono problematiche che riguardano il rapporto tra artisti e società.
Siamo ciò che facciamo, per dirla filosoficamente. E questa identificazione nella attività porta il nostro “lavoro” a crescere assieme a noi con tutto il carico di positivo e negativo che una crescita comporta, turbamenti e soddisfazioni inclusi. Cantiere Obraz è un organismo che si evolve e si manifesta nelle forme che la sua crescita rende opportune. Non c’è distinzione né confine all’interno del gruppo di lavoro tra le persone e quello che fanno. Non è per niente semplice. Ma senza dubbio è naturale.