CHIARA AMATO / Pac Lab* | “Ciò che distingue i delitti nella vita da quelli a teatro è che nella vita si fa di più e si dice meno, mentre a teatro si parla molto per fare poi pochissimo. Ebbene io ristabilirò l’equilibrio a detrimento della vita”. Queste parole pronunciate dal conte Cenci, nella prima scena del primo atto dei Cenci di Artaud, possono essere viste come una sintesi molto efficace del Teatro della Crudeltà. Questo movimento, ideato proprio dal drammaturgo, regista e attore francese fu descritto nel 1932 con il Primo manifesto, spiegando che con il termine Cruauté non si fa riferimento a nessuna forma di sadismo o violenza, ma alla battaglia che tale movimento voleva perpetrare contro la tirannia del testo sullo spettacolo. L’aspirazione era quindi di arrivare, o comunque mirare, a un teatro integrale che mettesse al pari gesto, movimento, immagine e testo, per l’appunto.
Il monologo Beatrice, prodotto dalla Compagnia Scimmie Nude, è stato messo in scena al Teatro della Contraddizione di Milano e riprende la vicenda della famiglia Cenci, traendo spunto sia dalla versione di Artaud del 1972, sia quella di Percy Bysshe Shelley del 1819.
Un’antica storia di abusi patriarcali e di ribellione femminile che porterà all’atto estremo del parricidio come unica possibilità di libertà: il tragico destino di Beatrice Cenci, giustiziata nel 1599, viene qui messo in risalto dalla regia di Gaddo Bagnoli e dall’interpretazione di Claudia Franceschetti. Sola in scena, l’attrice veste i panni di questa eroina cinquecentesca e a tratti anche quelli del padre Francesco e della madre Lucrezia. L’omicidio di Cenci porta a un’identificazione tra la vittima e il carnefice e l’ovvio senso di colpa che Beatrice prova.
Al centro della sala il palco è formato da due pedane che si incrociano, coperte da un tappeto rosso, mentre il pubblico è disposto tutto intorno, come se fosse all’interno di un’arena. Alle estremità della croce vi sono quattro spogliatoi neri usati dall’attrice per i cambi d’abito, necessari a ricoprire i tre diversi ruoli suddetti, annunciati sempre dal suono di un gong (sound design di Antonio Mainenti e musiche originali di Sebastiano Bon). Le luci (Massimo Mennuni) per l’intera durata dello spettacolo giocano tra le tonalità calde del giallo e dell’arancione, alternate a momenti dai colori più freddi del blu e bianco.
In seguito a un suono assordante e cadenzato di tamburi, è la madre Lucrezia, vestita di grigio (a cura di Francesca Biffi), a raccontarci delle nefaste situazioni familiari e di un’orgia che Cenci starebbe organizzando con gli ospiti del banchetto. Il volto turbato, assume quasi forme mefistofeliche e di sofferenza, e appare deformato dal dolore. Si alternano respiri affannati a grugniti animaleschi, dando così spazio al personaggio di Cenci: qui la performer, in stivali e giubba da militare, ci rende chiaro quello che la moglie preannunciava; e infatti utilizza un linguaggio crudo dichiarando di augurarsi la morte dei figli.
Arriva al terzo cambio l’attesa Beatrice, forse non a caso in abito bianco, in quanto vittima del comportamento paterno peggiore che una figlia possa subire: ci fa intuire infatti le violenze fisiche e sessuali che il padre perpetra ai suoi danni. Da qui in avanti, l’alternanza dei personaggi è così rapida che saltano anche i cambi d’abito, non più puntuali. In alcuni casi, la Franceschetti si sposta da un lato all’altro per simulare i dialoghi, adattando ovviamente il tono della voce e le espressioni facciali.
La bruttezza del comportamento paterno si esprime ancora di più con il linguaggio corporeo: ansima lussurioso, sbraita contro la figlia, sniffa in maniera morbosa le sue vesti e si tocca con avidità sessuale alcune parti del corpo.
Quello che scuote particolarmente è la contemporaneità, o forse universalità, dei sentimenti che Beatrice prova, e che la performer ci fa percepire sulla pelle: la sua interpretazione dà voce alle auto-recriminazioni che tante vittime di violenza si fanno, ieri come oggi (“L’unico mio peccato è essere nata…solo la morte può farci liberi”).
E nel momento in cui finalmente la vittima però si fa carnefice, la sala si tinge di rosso -anche in maniera alquanto didascalica- e la protagonista decide di farsi giustizia da sola, visto che sola è stata lasciata nella sua sorte infausta. Suoni martellanti di trombe, a volume spropositato, anticipano le parole chiare e nette che racchiudono la consapevolezza di Beatrice che accetta il delitto, ma nega la colpa. Come spiega anche Gaddo Bagnoli nelle note di regia “questo percorso di lavoro ha fatto maturare in noi la percezione di essere nella nostra esistenza vittime e carnefici degli altri e di noi stessi, una condizione di continua vana lotta che ci impedisce spesso di vivere…in attesa continua di una liberazione”.
Nel complesso, lo spettacolo riesce a coinvolgere puntando sull’elemento tragico della vicenda e sulla bravura attorale della Franceschetti; meno efficace perché troppo laborioso il meccanismo dei cambi d’abito, che ai fini della resa scenica risulta meno determinante di quanto la fatica giustifichi.
Cruciale è invece l’intensità di ritmo, che non lascia tregua e che, anzi, punta a mettere lo spettatore in un perenne stato di agitazione: non si vede nessuno spiraglio di giustizia e non si trova mai respiro.
BEATRICE
uno spettacolo tratto da le opere ”I Cenci” di Antonin Artaud e “I Cenci” di Percy Bysshe Shelley
Regia Gaddo Bagnoli
Con Claudia Franceschetti
Musiche originali Sebastiano Bon
Disegno luci Massimo Mennuni
Sound design Antonio Mainenti
Costumi Francesca Biffi
Produzione Scimmie Nude (2024)
Teatro della Contraddizione, Milano | 24 novembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.