LAURA NOVELLI | Una bambina bionda entra in scena con tenera eleganza, arriva in proscenio, si avvicina a un microfono e ci racconta, stupendoci, la forza lieve di Peter Pan, il mito di un’infanzia così tanto amata – e difesa – da divenire utopia, sogno, esercizio di immaginazione. Poi, il dire si fa canto e arrivano le prime note dell’aria per soprano Lascia ch’io pianga di Georg Friedrich Händel, in cui risuona forte il tema della libertà, della rivolta contro la prigionìa dei sentimenti. Lascia ch’io pianga/ mia cruda sorte / E che sospiri / la libertà / E che sospiri / la libertà...
È questo il momento finale, lirico e toccante, della docu-performance Never Young. Dov’è Lolit*? che la compagnia Biancofango ha presentato ad Teatro India qualche sera fa, dopo il debutto estivo al festival OperaEstate di Bassano del Grappa e alcune repliche a Firenze. Da questo epilogo crediamo sia importante prendere le mosse per entrare nel tessuto e nella lunga, articolata, elaborazione di un lavoro sui giovani e per i giovani – drammaturgia a firma di Francesca Macrì (anche regista) e Andrea Trapani (interprete) – che spalanca lo sguardo su dinamiche sociali, storiche, politiche, antropologiche di estrema attualità e, anzi, urgenti.
Questo epilogo rovescia, e al contempo accoglie, le tante questioni messe in campo nello spettacolo, secondo movimento sulla figura/simbolo di Lolita che prosegue la riflessione offertaci nel precedente About Lolita che aveva debuttato alla Biennale di Venezia nel 2020, dando loro una prospettiva problematica, uno spessore dialettico: i fragili adolescenti del terzo millennio sono fuggiti troppo presto dall’Isola che non c’è; forse, non ci sono mai arrivati, e annaspano spaesati, confusi, soli, in un mondo che gli adulti hanno smesso di amare. E allora che gli adulti vedano, ascoltino, si interroghino sui loro giovani figli!
Andando a ritroso nei diversi quadri che scandiscono la pièce – Autobiografia di una nazione – Sulla retorica – Dov’è Lolit* oggi? – L’infazia perduta – tale monito si insinua in modo sempre più consapevole nel pubblico, complice anche il significativo impianto scenico che, arioso, vuoto, sgombro di orpelli, attraversato da colori saturati e dal puntuale disegno luci di Massimilano Chinelli, schiera al fondo della scena l’intera compagnia, rimandando l’idea di un’arena sociale dalla fisionomia brechtiana dove tutti sono sotto gli occhi di tutti e ognuno, individualmente, è chiamato a guardare e sentire, a giudicare e, tanto più, a giudicarsi. Speculare al coro degli artisti e dei tecnici, poi, un coro di cittadini over 60 seduto nella prima fila della platea: testimone dell’oggi e insieme incontrovertibile protagonista di una giovinezza passata che, diverso di città in città, qui assiste, interviene, parla di Lolit*, interagendo a tratti con gli interpreti e portando nel lavoro un carico di fisicità matura, spontanea, vissuta.
Dentro il contorno smarginato di questo spazio, il lirismo dell’epilogo non può che essere anticipato da un linguaggio volutamente più epico, più documentaristico, che alterna intarsi video e momenti agiti dal vivo, di cui le splendide musiche originali firmate da Giovanni Frison intercettano la stoffa emotiva vera e profonda, per tradurla in un paesaggio sonoro del tutto coeso con la partitura scenica e la bella regia di Macrì, la quale appunta tra le sue note: “Ma dov’è oggi Lolita/Lolito/Lolit*? Dove lə possiamo incontrare nella comunità che ci circonda? Dove si nasconde, se si nasconde? Perché ci stupiamo quando lə scoviamo sulle cronache dei giornali o in qualche saggio specializzato quando sono sotto i nostri occhi tutti i giorni? Come siamo passati da Lolita alle baby squillo, alla prostituzione nei bagni delle scuole, ai marchettari bambini, agli sugar baby/sugar daddy/sugar mom, a OnlyFans?”.
Ecco dunque una voce femminile fuori campo (si tratta di quella della giornalista Daria Bignardi) introdurre gli astanti al mito della ninfetta di Nabokov; o meglio, a un primo filone di ricerca costruito dalla compagnia intorno al quesito del titolo, e votato a ricostruire le ragioni storico-politiche che hanno concorso a trasformare gli adolescenti odierni in soggetti e oggetti di consumo, in piccoli adulti avidi di successo, succubi di modelli standardizzati e di un pericoloso sentirsi grandi a tutti i costi. Corpi fluidi, impauriti di fronte alla scoperta di sé, dell’altro, della propria sessualità. Voci dalle parole abbrevviate, convinte che il mondo possa vibrare, tutto intero, dentro lo schermo di un cellulare.
Un egregio Andrea Trapani – energico, grottesco, ferocemente ironico e al contempo dolcemente paterno – come fosse un regista demiurgo, orchestra l’irrompere in scena dei quattro giovani interpreti del lavoro – Marco Gregorio Pulieri, Irma Ticozzelli, Sara Younes, Cristian Zandonella, tutti bravissimi nel dare verità e spessore poetico alle loro rispettive Lolit* – guidandoli e guidandoci con crescente vigore nei rivoli di un’impietosa ricostruzione della recente storia nazionale: la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, le ragazze di Non è la Rai (primo programma televisivo a declinare il corpo delle adolescenti secondo canoni di omologazione sessuale e di mercificazione mediatica), l’Italia rampante anestetizzata dalla pubblicità del Mulino Bianco, l’arrivo violento delle Tv private. “Brava Lolita, Brava Lolit*”, gridano gli attori battendo le mani. Ci guardano. E ci guardano ancora. Le immagini storiche scorrono sullo schermo posto al centro del palcoscenico ed è impossibile non farsi domande, tirarsi fuori, assolversi. C’è dunque un momento, un momento preciso, a partire dal quale l’Italia adulta non ha più salvaguardato i suoi ragazzi, i suoi cittadini di domani. Non ha più funzionato come vettore di trasmissione valoriale. Perché ai valori si è andata progressivamente sostituendo una retorica vuota e svuotata di cuore.
Non a caso proprio Sulla retorica si intitola il secondo quadro, laddove il discorso di Macrì e Trapani – qui magistrale nella trasfigurazione grottesca dell’oratore fallace – si sposta sul linguaggio della politica e della pseudo-politica; sull’aporia di ideali che non sono più tali, che confondono denaro e bisogni, merce e desideri.
Questo focus marcatamente sociologico e attualissimo lega la riflessione sulla res pubblica a un altro importante filone di ricerca che innerva la sostanza di Never Young: quello sulle parole. Le parole per dire e per dirsi. Le parole che mutano, mancano, fanno capriole inutili nel tentativo di definire alcuni dei cambiamenti più significativi che riguardano gli adolescenti del terzo millennio: da un lato, lo scollamento tra le proprie emozioni e, appunto, il vocabolario per raccontarle; dall’altro, la ricerca di quella indefinitezza sessuale e identitaria che, malgrado sia sinonimo di libertà, non sempre trova nel linguaggio le traiettorie per potersi esprimere.
E allora adesso guardiamoli noi, ascoltiamoli mentre chattano tra loro arrampicandosi sui piaceri di un Eros svogliato e volgare: i quattro giovani interpreti – in questa scena intensi, efficaci – indossano abiti sportivamente sexy, si siedono a terra e, attaccati al proprio smartphone, assecondano le loro pulsioni sessuali intrattenendo interlocutori sconosciuti su chat erotiche devote alla “divinità” dell’off-line e dell’on-line. La geografia anatomica delle prestazioni offerte o ricevute stride però con quegli sguardi fanciulleschi e con i pacchetti di pop-corn che essi aggrediscono senza sosta, come se nel masticare e nello sputare potessero tirare fuori ciò che hanno realmente dentro, tanto da ricordarci la magnifica scena del panettone di Porco mondo, lavoro nevralgico di Biancofango, e tutta la disperazione raccontata da quelle briciole di esistenza. Anche qui il palcoscenico si riempe di residui, di pop-corn non deglutiti, sputati, caduti. E su questi residui arriva poi la voglia di ballare.
Arriva la stessa poesia che, d’altronde, già in passato il lavoro di Macrì e Trapani ha riservato al racconto delle giovani generazioni, e basti citare produzioni importanti quali, ad esempio, Culo di gomma o Romeo e Giulietta, ovvero la perdita dei padri e lo stesso About Lolita (ispirato al celebre romanzo e all’altrettanto celebre film di Stanley Kubrick). Tuttavia, questo nuovo spettacolo (atteso nel 2025 a Milano e Torino) aggiunge qualcosa al percorso: osa un salto in avanti. Anticipato due anni fa da uno studio preparatorio andato in scena, sempre ad India, nel cartellone della rassegna Teatri di Vetro diretta da Roberta Nicolai, esso non solo ricapitola e porta a maturazione buona parte della biografia artisica della compagnia romana, da sempre particolarmente sensibile alle tematiche proprie dell’adolescenza e artefice di percorsi laboratoriali condotti in diverse scuole della Penisola, ma realizza una docu-performance pulsante di materiali diversi e autentici, tenuti insieme da un pensiero teatrale lento, riflessivo, amorevole, arricchito da continui incontri, continue letture, continue incursioni nell’umanità. Un pensiero che è anche stile, forma, ricerca, domande sul ruolo del teatro. Perché la denuncia non basta; ci vuole un disegno creativo che apra sprazzi di luce.
La natura epica dei primi tre quadri cede, dunque, il passo all’utopia di Peter Pan.
Alla bambina bionda del finale. Al sogno di un’infanzia rubata.
A quell’aria di Händel che, avvolgente brano di chiusura, vuole essere in fondo anche un auspicio, una carezza poetica capace di andare oltre l’arena del mondo sociale e i soprusi della nostra storia politica, per riconsegnare ai ragazzi la loro sacrosanta “libertà” di sognare, crescere in pace, credere in se stessi e nel futuro.
NEVER YOUNG
Una docu-performance
Dov’è Lolit* oggi?
un progetto di Biancofango
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
regia Francesca Macrì
con Marco Gregorio Pulieri, Irma Ticozzelli, Andrea Trapani, Sara Younes, Cristian Zandonella
e con la partecipazione di un coro di cittadini
musica, sound design e live electronics Giovanni Frison
aiuto regia e collaborazione artistica Lorenzo Profita
assistente alla regia Giorgia Azzellini
light design Massimiliano Chinelli
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Fattore K
con la collaborazione produttiva di OperaEstate
in collaborazione con Teatri di Vetro e Atcl Lazio
13 novembre 2024 | Teatro India, Roma