LEONARDO CHIAVENTI / PAC LAB * | Gabriele Lavia torna a teatro con la tragedia di William Shakespeare, Re Lear, dopo che aveva preso parte come attore alla versione diretta da Giorgio Strehler nel 1972. Il debutto dello spettacolo è avvenuto al Teatro Argentina di Roma, durante una fredda serata d’autunno.
Appena il sipario si apre, lo sguardo dello spettatore incontra l’immagine di un teatro abbandonato. Una luce in alto illumina timidamente il palco dal centro, sedie rotte e scatoloni riempiono lo spazio, mentre gli attori entrano in scena con le note di una cantilena, suonata al pianoforte dal buffone del re. Ognuno di loro comincia a vestirsi per assomigliare al personaggio che poi dovrà interpretare. Tutti indossano delle lunghe vesti, con le maniche a sbuffo, ricordando così un’epoca ormai dimenticata.
Re Lear è un’opera di William Shakespeare che racconta di un mondo lontano, perso tra le leggende dell’Inghilterra a cui il drammaturgo si ispirò. Il testo è stato scritto tra il 1605-1606 e narra le disavventure di un re che disereda la sua figlia minore per non averlo adulato come le altre sue discendenti. Per questo, la più giovane verrà esiliata e la sua eredità divisa tra le sorelle. La perdita, ricorda il regista, è il sentimento che ogni personaggio dovrà affrontare, cercando una propria strada per andare avanti nonostante tutte le avversità.
Differentemente dall’adattamento di Strehler, Lavia ha preferito come scenografia un palco ormai in disuso, piuttosto che una tenda circense. Ed è proprio in questa scelta che risiede l’anima della sua versione, com’era stato per la sua rappresentazione dei Giganti della montagna di Luigi Pirandello. Il teatro che cade a pezzi non mira all’illusione scenica, a ingannare gli occhi degli spettatori per condurli in un mondo alternativo. Bensì, ha la volontà di mostrare la verità, che si cela tra le parole che vengono recitate. Infatti, la luna che si intravedeva tra le rovine del teatro, nello spettacolo dello scrittore siciliano che il regista ha firmato nel 2019, era proprio un simbolo della realtà che si annidava in disparte, mentre l’illusione prendeva forma. Quindi, la messa in scena del teatro distrutto come il momento di metateatro degli attori che si vestono sul palco, sono due elementi che ricorrono negli spettacoli firmati da Lavia. Sottolineano particolarmente come il teatro e la quotidianità siano strettamente legati, come uno spettacolo non sia altro che, parafrasando le parole del regista, una rappresentazione “credibile” di ciò che accade ogni giorno. Infatti, i protagonisti in Re Lear impareranno ad accettare la verità su loro stessi e sulle azioni che hanno scelto di intraprendere, accettando che non è il ruolo per cui sono nati a definirli, ma il loro essere nel suo insieme.
La musica accompagna lo svolgersi della rappresentazione. Nel suo ultimo lavoro, Un curioso accidente di Carlo Goldoni, Lavia scelse di utilizzare il suono di un pianoforte per coinvolgere il più possibile gli spettatori. Questa scelta è avvenuta anche per l’adattamento dell’opera di Shakespeare, dove l’armonia delle note segue i momenti più drammatici e ironici dello spettacolo. Lo strumento, infatti, è in un angolo del palco, come se non si volesse renderlo protagonista della scena, ma parte della sua cornice. Mentre la scenografia nel suo intero, curata da Alessandro Camera, risulta essere sproporzionata, fuori scala.
Si ha, infatti, l’impressione che al centro della sua progettazione non ci sia la storia, bensì l’ambientazione stessa. Gli attori in alcune scene è come se venissero oscurati dalla grande messa in scena dello spettacolo. In particolare, le attrici che interpretano Goneril e Regan, Federica Di Martino e Silvia Siravo, subiscono l’imponenza dell’allestimento, apparendo più come figure di contorno nella scena che come vere e proprie protagoniste. Non restituendo appieno la complessità del loro personaggio, anche quando le reali intenzioni delle due sorelle vengono fuori e il palco dovrebbe diventare il teatro della loro vittoria contro il padre e la sorella, il risultato che arriva non è al pari di quello che trasmettono altri interpreti.
Tuttavia, le scene del Re Lear di Lavia condivise con il Matto di Andrea Nicolini risultano essere ben riuscite, dimostrando anche una buona sintonia tra i due attori. Come i giovani Ian Gualdani e Giuseppe Benvegna, rispettivamente Edmund ed Edgard, che tra un salto e un combattimento, danno prova di saper modulare i loro gesti con le emozioni che i loro personaggio provano. Sono degne di nota, poi, le interpretazioni di Mauro Mandolini e Luca Lazzareschi del Conte di Kent e del Conte di Gloucester: la loro lunga esperienza teatrale colma le mancanze recitative di parte della compagnia, rendendo più scorrevole la visione dello spettacolo.
Il tema della mancanza è un filo che si snoda durante tutto il corso della storia. La domanda che Shakespeare pone con il suo testo è: come un uomo può continuare a essere sé stesso dopo aver rinunciato al ruolo che lo definiva all’interno della società?
L’opera aiuta a ricordare che i pericoli che si corrono quando si esce fuori dalla strada designata sono molti. Il vecchio Re e il Conte di Gloucester sono dovuti fuggire dai loro imponenti castelli per vagare tra le vie dell’Inghilterra quando hanno provato a sottrarsi dal loro ruolo. Il Conte, infatti, ha creduto alle bugie del figlio Edmund per ottenere i titoli e le ricchezze del padre, scacciando Edgar, il suo erede legittimo. Solo il personaggio del Matto ha avuto la lucidità necessaria per guardare i limiti e le ipocrisie del mondo in cui vive.
Grazie alla musica del pianoforte e della fisarmonica, da lui maggiormente suonati, Andrea Nicolini ha portato in scena sia l’ironia che la profondità dell’adattamento di Shakespeare. Un’operazione che solo Lavia, insieme a Nicolini e pochi altri, è riuscito a compiere durante lo spettacolo, restituendo così un’adattamento che, seppur con molti punti critici a livello interpretativo e di allestimento, risulta essere in grado di portare in scena un nuova e originale versione del dramma di Shakespeare.
Re Lear giunge alla sua fine. Cordelia è morta, come le sue crudeli sorelle. Edmund è deceduto, così Edgar ottiene il titolo a cui era stato designato fin dall’inizio. Sotto l’ombra della disperazione, il Matto entra in scena e intona la sua ultima canzone.
RE LEAR
di William Shakespeare
traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari
regia Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia
e con (in o.a.) Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, Jacopo Carta, Beatrice Ceccherini, Federica Di Martino, Ian Gualdani, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Gianluca Scaccia, Silvia Siravo, Jacopo Venturiero, Lorenzo Volpe
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
luci Giuseppe Filipponio
musiche Antonio Di Pofi
suono Riccardo Benassi
assistenti alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo
assistente alle scene Michela Mantegazza
assistente ai costumi Giulia Rovetto
suggeritore Nicolò Ayroldi
foto di scena Tommaso Le Pera
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura
Teatro Argentina, Roma | 27 novembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.