CHIARA AMATO / PAC LAB* | La compagnia Eco di Fondo è solita partire dallo spunto mitologico per poi adattarlo alla contemporaneità e affrontare tematiche sociali. Per lo spettacolo Dedalo e Icaro, andato in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano, l’argomento cardine è l’autismo. La compagnia nasce a Milano nel 2009 grazie all’iniziativa di Giacomo Ferraù e Giulia Viana, entrambi in scena anche in un altro spettacolo del 2014, che riprendeva la mitologia per trattare un’altra difficile questione: Euridice e Orfeo (qui la recensione di PAC) si occupava, infatti, di far capire l’importanza della legalizzazione dell’eutanasia.
Dedalo e Icaro vede alla drammaturgia il premio UBU Tindaro Granata, e Giacomo Ferraù e Francesco Frongia, per la regia. La semplicità dei dialoghi e l’efficacia visiva restituiscono un racconto estremamente poetico, vicino anche alla sensibilità del pubblico più giovane.
In scena (creazione di Stefano Zullo) un tendaggio bianco a forma di casa spicca nel semi-buio, mentre al suolo il protagonista Giacomo (interpretato appunto da Ferraù) simula il gesto del volo, come spesso i bambini fanno nella neve, per poi alzarsi con una radiolina in mano. Così, la struttura iniziale, composta da lenzuola bianche, viene divisa sui due lati del palco.
Le luci (Giuliano Almerighi) svolgono un ruolo importante. Non solo dividono la scena in buio e luce, quando si vogliono mostrare al pubblico solo i sentimenti e i pensieri di uno dei protagonisti, lasciando a tacere gli altri; ma diventano laterali e basse dove a parlare sono i lati più intimi delle loro anime. Riescono a riflettere e a seguire i sentimenti umani con un progetto studiato con cura, mantenendo sempre delle tonalità calde di giallo e arancio.
Da questo punto, la voce narrante passa, attraverso sequenze molto brevi, dal padre/madre e infine al fratello (Enzo Curcurù, Giulia Viana e Libero Stelluti), che raccontano al pubblico i vari aspetti dell’avere in famiglia una persona che soffre di autismo. Dallo smarrimento nel non sapere come comportarsi nella scena con la psicologa, all’amore e alla protezione nel confronto con gli sconosciuti nella quotidianità, fino all’essere loro stessi estenuati da questo muro che separa il mondo reale da quello che il loro Giacomo vive solo nella sua testa. Seguiamo i passi della famiglia: dal felice innamoramento, fino alla separazione dei genitori – la madre, depressa, li abbandona. Questi passaggi sono scanditi dal buio in scena e dal suono di un canale televisivo che va in crash.
Gli attori, per immergerci nella realtà di una famiglia con simili problematiche, interpretano anche diversi ruoli secondari (la psicologa, il collega di lavoro, il passante al supermercato). Così, ci mostrano, oltre alla difficoltà emotiva, anche tutta la complessità sociale, amicale, lavorativa, che ruota attorno a chi non sa come difendere, ma anche far “volare” il proprio figlio fuori dal proprio nido/labirinto di isolamento. Una realtà parallela che, in alcuni momenti, viene simulata da una presenza vestita di nero, che si aggira con un casco da motociclista/aviatore: non risulta essere granché chiara.
I due personaggi al centro dello spettacolo sono indubbiamente il padre e il figlio, come il titolo ci evidenzia. Il loro rapporto è pieno di ferite e contraddizioni, tanto che Enzo confessa con angoscia e pudore, quasi vergognandosene: «Io vivo con un estraneo che amo con tutto il cuore, ma vorrei che tornasse mio figlio».
Il mito di Dedalo riguarda appunto la storia di un padre che, per liberare il figlio Icaro dalla prigionia nel labirinto del Minotauro, costruisce delle ali di piume tenute insieme dalla cera. Proprio per la precarietà di questa struttura alata, gli raccomanda di volare non troppo verso l’alto, ma purtroppo questo consiglio non viene ascoltato da Icaro che, preso dal brivido del volo, si avvicina troppo al sole. Così, la cera delle ali si scioglie, portandolo a precipitare nel mare, e lì morire.
Nella rilettura di questo rapporto padre-figlio, le ali della crescita sono fatte d’amore paterno: il labirinto di Giacomo è imperscrutabile, un mondo fatto di strade chiuse verso l’esterno e in questo Ferraù riesce a esprimere appieno quell’isolamento di quel «cucciolo di uomo che non crescerà mai».
In scena, difatti, si muove guardando in un vuoto senza tempo, come se fosse cieco a quello che accade realmente intorno a lui, muove le mani senza cognizione di ciò che tocca, legato morbosamente e fanciullescamente alla sua radiolina: si nasconde sotto il tavolo, ride senza connessione col contesto, non parla mai, se non per urlare dei feroci «no» che nascondono un mondo di dolori che non riusciamo a sfiorare, perché tutti chiusi dentro di lui. È evidente alle spalle uno studio di testimonianze dirette, struggenti e ricche di sfumature, che hanno arricchito la tavolozza espressiva dell’interprete, che magneticamente attira gli occhi sulla sua performance (seppur) silenziosa.
Commuovente la dolcezza con cui i genitori diventano bambini con lui, perché ci mostrano tutte le loro debolezze e la loro umanità, nel bene e nel male: litigano per cose stupide e si illudono per piccoli progressi. Il dramma del fratello Libero, invece, è quello di essere nel mezzo di questo turbine di attenzioni rivolte solo e soltanto al fratello, che lui ora odia, ora compatisce, ora ama.
Il sentimento che più ci lascia questa storia familiare è il terrore, puro, dei genitori e, in particolare, del padre, di abbandonare il figlio al suo destino di disabilità, dopo la propria morte. Si percepisce l’insicurezza che gli strumenti che gli sta fornendo non bastino ed è palpabile la voglia di entrare in contatto con lui, come la disperazione di non riuscirci.
Dedalo e Icaro di Eco di Fondo tocca l’argomento come una piuma, con delicatezza, pudore e rispetto, lasciando diversi insegnamenti e punti di riflessione allo spettatore, nonostante la semplicità della struttura drammaturgica.
DEDALO E ICARO
drammaturgia di Tindaro Granata
regia Giacomo Ferraù e Francesco Frongia
con Giacomo Ferraù, Giulia Viana, Libero Stelluti, Enzo Curcurù
luci Giuliano Almerighi
scenografia Stefano Zullo
movimenti scenici Riccardo Olivier di Fattoria Vittadini
produzione Teatro dell’Elfo, Eco di fondo
con il sostegno del MIBAC e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”
Teatro Elfo Puccini, Milano | 1 dicembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.