MARIA FRANCESCA SACCO / Pac lab* | Se si avesse la possibilità di sbirciare le vite altrui, non si faticherebbe a riconoscere, nelle dinamiche che regolano i rapporti, quel gioco delle parti di cui parla Pirandello e in cui ogni personaggio si guarda vivere nascondendosi dietro maschere.
La sensazione che si ha entrando nella sala del PACTA Salone per la rappresentazione de Il gioco delle parti di Pirandello con la regia di Paolo Bignamini è infatti di essere calati nella condizione di voyeur, sbirciando dal buco della serratura la vita altrui.
Quando si entra in sala gli attori già sono in scena e la canzone di Joe Dassin Et si tu n’existais pas suona a ripetizione, dapprima dando una sensazione di languida nostalgia ma poi lasciando spazio a un estraniamento che rende quella melodia lontana. Questa impressione è alimentata dal fatto che, a separare pubblico e scena, c’è una grata che rimanda all’occhio contorni rarefatti, oltre a definire una cesura fisica tra sala e scena. Qui campeggia un tavolo rosso che scandisce, con la sua massiccia presenza, gli avvenimenti e intorno al quale si costruisce l’azione. In realtà, a ben riflettere, di agito c’è poco: lo sforzo di un esasperato dialogo che sembra talvolta ripiegarsi su se stesso. Si nota subito anche la cornice di uno specchio, rimando alla finzione della vita, perno della commedia.
L’intreccio tratta di un triangolo amoroso: i coniugi Leone Gala e Silia, la quale ha un amante, Guido, con il quale trama l’omicidio del marito. Egli, conoscendo il ménage, utilizza questa situazione a suo vantaggio quando, sfidato a duello per difendere l’onore della moglie, manderà a combattere l’amante, cioè colui che ha il dovere reale di farlo.
La prima rappresentazione di questa commedia risale al 1918 con la regia di Ruggero Ruggeri. Bignamini, nel 2024, sembra voler restituire lo spessore psicologico dei personaggi delineato da Pirandello, definendoli tramite temperamenti e prossemica.
Silia, interpretata da Annig Raimondi, è capricciosa ed eccentrica con il suo sbattere i tacchi in scena, vanitosa e implacabile nel torturare la mantella che indossa, in un continuo metti e togli (stilosissimi i costumi di Nir Lagziel). Se in Pirandello viene dipinta come una bambina e Gramsci, in un suo articolo, la descrive scomposta come un quadro cubista, qui se ne evidenzia invece una certa consapevolezza. La frase che pronuncia «Resterebbe da vedere quanto in questo poi c’entri anche il mio piacere, d’esser donna, quando non vorrei» rimane impressa al pubblico: come se finalmente si mostrasse oltre le sue smanie. Infatti non ha gusto nel ruolo che la società le ha assegnato, quello di donna, e nel dover seguire convenzioni che la imprigionano nella maschera con la quale lei, in effetti, non è nata.
Una Simone de Beuvoir ante litteram: «donne non si nasce, si diventa». Pirandello aveva pensato questa frase come un capriccio della protagonista, un’insoddisfazione di un ruolo come di un altro, senza sfumature femministe, tuttavia oggi tale sentenza freme in scena: se Silia portasse in fondo tale riflessione, sarebbe lei a cambiare il gioco delle parti.
La peculiarità dei personaggi pirandelliani sta proprio nell’incapacità di sfuggire a quel ruolo assegnato, benché consci della forzatura della finzione.
A fare da contrappeso a Silia è Leone Gala, il marito, interpretato da Riccardo Magherini, saldo e consapevole, ammantato di discorsi di levatura intellettuale, trapunto di cinismo: l’unico che comprende il gioco delle parti e si difende con l’indifferenza alla vita. Al contrario della moglie che vaga nevrotica, in scena lui occupa uno spazio preciso: si sposta con misura, si dedica alla cucina, mantenendo la lucidità di un giocatore di scacchi. Del resto, è l’unico ad aver capito la finzione della vita e quando la maschera si svela, bisogna continuare a portarla lo stesso, sostiene Pirandello.
La calma di Leone Gala è dunque rassegnazione: nel tragico finale, quando sta per avvenire il duello, lui prepara la colazione come niente fosse, tanto alla vita non c’è scampo. Questo io ragionante, che gli permette di fare scacco matto, racchiude il pensiero pirandelliano, ma anche il taglio che il regista vuole dare alla performance: domare i sentimenti è in effetti l’unica soluzione.
Ma veri vincitori non ce ne sono: Guido, l’amante, interpretato da Alessandro Pazzi, muore ed è colui che vive il destino più beffardo. Un personaggio acquiescente, passivo fino al momento in cui perde la vita nel duello: capisce il gioco ma troppo tardi e sta nella parte. Pazzi restituisce molto bene queste venature: l’urgenza a non sottrarsi al proprio ruolo carico di rassegnazione e insoddisfazione dove nessun tipo di azione diversa è contemplata.
La musica che accompagna lo spettacolo è tutta francese: si inserisce discreta nei silenzi con note di amore e nostalgia. In questa amara commedia, in realtà, c’è sopravvivenza: l’amore è una battaglia, come nel testo La chanson des vieux amants di Jacques Brel, che risuona infatti sul finale.
Questo progetto ben orchestrato e interpretato da tre attori capaci di inserirsi nelle pieghe della psiche dei personaggi restituendoli tridimensionali, andrà in scena anche lunedì 3 marzo 2025 al PACTA Salone e in collegamento streaming ad Avignone e Berlino. Fa infatti parte del Festival teatrale biennale transnazionale Clashing Classics. Multilingualism on Stage che vede PACTA collaborare con l’Université e Archipel Théâtre di Avignone, Multiculturalcity e V. di Berlino e IULM di Milano, rappresentando la commedia italiana.
E la vita, si potrebbe aggiungere, dove, per uscirne vivi è meglio muovere le pedine consapevolmente, senza mai gettare la maschera.
IL GIOCO DELLE PARTI
da Luigi Pirandello
drammaturgia e regia Paolo Bignamini
con Riccardo Magherini, Annig Raimondi, Alessandro Pazzi
costumi Nir Lagziel
disegno luci Fulvio Michelazzi (AILD)
costruzione scene Eliel Ferreira de Sousa
assistente alla regia Anna Germani
produzione PACTA . dei Teatri
in collaborazione con il progetto vincitore del bando UE CREA-CULT-2023-COOP TraNET – (Trans)National European Theatre: audiovisual tools and simultaneous interpreting for the internationalisation of theatre production and consumption I Festival Biennale Europeo CLASHING CLASSICS. Multilingualism on Stage
Pacta. dei Teatri, Milano | 1 dicembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.