MATTEO BRIGHENTI | Una caccia al tesoro, in cui il tesoro è la costruzione di una storia. Una storia che funzioni. Ovvero, che sappia tenere insieme realtà e finzione, verità e bugia. O meglio, che faccia uso della menzogna come sortilegio per rivelare una verità profonda, imprendibile altrimenti.
È l’approccio al palcoscenico del Teatro dell’Elce: interpretarlo come un universo narrante. Piegarne con l’immaginazione confini e latitudini, per trovare uno sguardo prismatico che abbracci la complessità umana, rendendola racconto, senza, per questo, semplificarla. Marco Di Costanzo ha restituito così, tra gli altrɜ, Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, e il filosofo Günther Anders, in Little Boy. Adesso fa lo stesso con Rodolfo Siviero nel suo nuovo Avrei preferito essere un gabbiano, con Stefano Parigi e Annamaria Moro, aprendo, per la prima volta, lo spettacolo anche al suo farsi, oltre che al suo dirsi, ispirato agli scritti di e su lo “007 dell’arte”.
Ecco spiegata, allora, la sua scelta di tornare, dopo tanti anni, a calcare la scena. Di Costanzo tiene per sé la voce narrante, perché il lavoro in prima assoluta al Teatro Cantiere Florida di Firenze fonda il passo in una sorta di autofiction, dentro una lezione di storytelling e un thriller sulle tracce del “monument man” che ha salvato centinaia di opere durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Già solo con la presenza, la postura e il rapido movimento delle mani, restituisce il processo di indagine e studio, la difficile e avvincente costruzione del progetto. È senza leggìo: improvvisa. A partire dalla propria memoria.

Avrei preferito essere un gabbiano. Foto di Monia Pavoni

Stefano Parigi, invece, legge. È la voce recitante di Rodolfo Siviero, che è stato una spia, un amante dell’arte, un funzionario statale, un dongiovanni e un influencer ante litteram. E nessuna di queste cose fino in fondo. Parigi comincia a parlare da quasi immobile, per sciogliersi via via sempre di più. È un fantasma che anela in modo continuo, estenuante, a una pace-morte, cioè, la liberazione da tutti quei ruoli dietro cui si è nascosto per una vita intera. Vuole testimoniare chi è veramente. Comunque, è la maschera che dà corpo al personaggio, come il buio fa con la luce.
Terzo elemento di questo complesso, di questa agile “band teatrale”, è Annamaria Moro. Con il suo violoncello elettrico restituisce la casa di Siviero, oggi Museo sul Lungarno Serristori, a Firenze. Lì, tra quelle note, respira la scenografia di Avrei preferito essere un gabbiano. Il commento musicale traccia un panorama esteriore e interiore, piccolo e immenso, storico e pure contemporaneo, proprio come lo strumento che lo suona.
Il palco, infatti, è vuoto. Non c’è niente che provenga o rimandi a Casa Siviero, teatro nel 2016 de
Il sogno di Rodolfo Siviero, la visita guidata ed esperienziale che è testo, contesto e pretesto dello spettacolo di oggi. Su questo palco la casa non sono tanto le cose che lui ha accumulato, sono i pensieri, le sensazioni, le emozioni. Sono i casi della sua vita, più che le cose.

Foto di Monia Pavoni

L’ossessione guida Avrei preferito essere un gabbiano. L’ossessione della ricerca. A volte, in altri spettacoli della Compagnia, è diventata fine a sé stessa. In questo caso, la via dell’autofiction, raccontare quindi il cosa dentro il come, ha aiutato Di Costanzo a smarcarsi dal ricercare per ricercare, incontrando, piuttosto, il ricercare per trovare. Ossia, che Siviero è stato contemporaneamente buono e cattivo. Come tuttɜ, del resto. Solo che non l’hanno voluto riconoscere, e allora hanno fatto sì che lui e la sua complessità di natura mutassero in fantasma. E Siviero spettro lo è stato già in vita. Adattando il Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello, a proposito delle sue tante e contraddittorie verità, potrebbe ben aver detto: “Per me, io sono colui che mi si crede!”.
Ma c’è di più. Quell’«avrei preferito essere un gabbiano» fa pensare anche a un altro testo: Il gabbiano di Anton Čechov. La giovane Nina a un certo punto sospira: «Io sono un gabbiano». Vuole fare l’attrice, distendere le sue fragili ali, spiccare il volo e innalzarsi al di sopra deglɜ altrɜ, al di sopra di tutto. In fondo, Rodolfo Siviero ha rincorso sempre questo: fare l’attore, interpretare la parte di sé stesso, per librarsi sulle cose del mondo. Così facendo, però, il suo sé è diventato un se che gli ha condizionato l’esistenza.

Foto di Monia Pavoni

Il Teatro dell’Elce, dunque, ci invita a partecipare a un’incredibile vicenda privata e pubblica. E siamo noi che diamo a Siviero la possibilità non solo di riviverla, ma anche di rivelarsi, di fargli essere chi vuole. Nel teatro di Marco Di Costanzo succede questo: il personaggio dice la sua a noi che siamo lì davanti a lui per permettergli di dirla, di tirarla fuori. Gli permettiamo di essere, accettandolo per come si mostra. Questo suo essere si svela poi nel fare, tra scoperte e inciampi, cadute e risalite. Per strade che possono anche essere buie, ma non sono mai cieche.


AVREI PREFERITO ESSERE UN GABBIANO

di Marco Di Costanzo
liberamente ispirato agli scritti di e su Rodolfo Siviero
voce recitante Stefano Parigi
violoncello elettrico e voce Annamaria Moro
voce narrante Marco Di Costanzo
produzione Teatro dell’Elce
con il sostegno di Regione Toscana, Fondazione CR Firenze
residenza artistica Murate Art District

Teatro Cantiere Florida, Firenze | 30 ottobre 2024