CHIARA AMATO / PAC LAB* | Quanto può essere attuale e continuare a suscitare interesse uno spettacolo che viene riprodotto ininterrottamente dal 1992 in tutto il mondo? A cogliere questa sfida come forma di gioco sono l’attore Paolo Nani e il regista Nullo Facchini con La Lettera, che il Teatro Filodrammatici di Milano inserisce ogni anno in cartellone dal 2011. Il testo da cui quest’opera trae, molto liberamente, ispirazione è Esercizi di stile di Raymond Queneau, che fu tradotto in Italia da Umberto Eco per Einaudi. Proprio Eco, nell’introduzione del 1983, fornisce una prima chiave di lettura in merito all’attualità del testo (e, di conseguenza, dello spettacolo): «si trattava di decidere cosa significasse, per un libro del genere, essere fedeli. Ciò che era chiaro è che non voleva dire essere letterali. Queneau ha inventato un gioco e ne ha esplicitato le regole (…) fedeltà significava capire le regole del gioco, rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse».
La storia che faceva da spunto per lo scrittore francese era un episodio di poca importanza avvenuto in autobus e sviluppato in poche righe: un passeggero discute con un altro, accusandolo di avergli pestato i piedi durante il tragitto, e la voce narrante, ore dopo, lo rivede per strada. Nella pièce di Nani la trama, altrettanto semplice, è invece incentrata su un uomo, seduto a un tavolo, che beve un bicchiere di vino e lo sputa, scrive una lettera alla nonna, ma poi ci ripensa dopo averla imbustata e, riaprendola, si accorge che la penna non aveva funzionato, lasciando la pagina bianca.
La struttura scenica, nel suo essere scarna, mostra già una forma di rispetto per l’idea originaria: un fondale nero con al centro del palco un tavolino, una sedia e pochi oggetti di scena (una bottiglia di vino con un bicchiere, una penna, un foglio, una busta e una foto di donna incorniciata). Le luci sono fisse sui toni del blu e non vi è presenza di musica: puro minimalismo. Questo contenitore, infatti, serve solo come sfondo per l’artista che impersona la stessa scena, molto semplice nella sua trama, in quindici varianti: all’indietro, con sorprese, volgare, senza mani, horror, cinema muto, circo, freudiana…
Nani si presenta con i capelli in aria come uno scienziato matto, indossa un pantalone nero, una t-shirt bianca e delle bretelle, e legge la storia principale, quella normale, in dialetto milanese, stando sull’angolo sinistro del palco. Durante lo spettacolo usa proprio quel lato della scena sia come uscita tra le varianti, annunciate con semplici cartelli, sia per rivolgervi lo sguardo complice come ad “interlocutore assente”: gesticola verso il laterale della scena e commenta le reazioni del pubblico con una non-presenza, che potrebbe essere quella del regista. Non parla quasi mai: a volte canta o balbetta parole senza una logica anche in altre lingue, ma per lo più esprime la sua comicità con elementi para-verbali. Nella sua comunicazione fioccano così grugniti, gorgheggi, versi, urla, suoni riprodotti dalla bocca e ovviamente i suddetti cartelli. Un aspetto, questo, che ricorda la graphic novel, dove spesso la riproduzione di un suono genera di per sé un effetto comico.
Mimica e gestualità, invece, non possono che rimandare ai grandi attori del cinema muto ma anche a Totò e allo stile dell’Odin Teatret di Eugenio Barba. Del resto a citazione a Chaplin è lapalissiana nella versione del racconto indicata proprio come “cinema muto” dal cartello introduttivo; in quell’unica occasione un accessorio: dei baffetti che si muovono seguendo le sue mosse, come un pendolo.
Il corpo dell’artista durante la rappresentazione è fortemente coinvolto, e i passaggi preparati nei minimi dettagli rendendo chiari l’allenamento, la cura e la precisione che ci sono alle spalle. Non è un caso che nel 2017 l’attore italo-danese Nani abbia ricevuto la menzione d’onore per l’Arte del Clown di livello mondiale al CPH STAGE Festival. Il suo stile ha molto a che fare anche con la clowneria, l’arte di strada e l’improvvisazione.
Il gioco vero e proprio sta in due elementi fondamentali: in primo luogo l’dea delle varianti genera già un effetto esilarante, tanto che negli anni ne sono state provate di nuove e scartate altre perché non funzionavano più nell’ingranaggio esistente. In secondo luogo è giocoso l’adattamento della rappresentazione che l’artista fa ogni volta con il pubblico di riferimento interagendo con esso in modo sempre diverso. E allora fa il verso alla spettatrice che ride a crepapelle in balconata; ironizza con la prima fila, vittima degli schizzi di vino; rimprovera bonariamente un ragazzino che parla ad alta voce, “ma tu non dovresti essere a letto a quest’ora?“; usa un panettone come scambio meneghino con una spettatrice; scende in platea per farsi sistemare le bretelle nella versione da ubriaco.
È presente a tutto quello che accade in platea e il pubblico è fondamentale nella riuscita della replica, come Nani confessa durante il dibattito, perché il teatro “è anche uno strumento di studio antropologico e di scambio”.
La precisione dei tempi comici porta il pubblico milanese (tanti i giovanissimi in sala) a ridere per tutto lo spettacolo, e anche l’occhio più ingenuo coglie la serietà e lo studio fisico che ci sono dietro questo spettacolo. Così gli applausi non si fermano se non al cartello (questo invece è un evergreen) Andate via!.
LA LETTERA
di e con Paolo Nani
regia Nullo Facchini
produzione Agidi
Teatro Filodrammatici, Milano | 13 dicembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.