EUGENIO MIRONE | “La diversità è ricchezza”, così recitava il titolo di un mio vecchio manuale di scienze delle medie. Il percorso concettuale che lo studente doveva compiere  era più o meno questo: più un ecosistema è vario, più esso sarà rigoglioso e maggiori saranno le chance di sopravvivenza dei suoi abitanti.
Il territorio della penisola italiana, per una serie innumerevole di ragioni, è un macrosistema ricco e variegato. Lo dimostrano elementi quali il cibo, la lingua e il clima, per usarne alcuni tra i più riconoscibili. L’Italia, infatti, è un puzzle di piccoli territori regionali e provinciali che coesistono in un sistema organico, il più delle volte con molta fatica (la questione sull’autonomia differenziata è un tema caldo in questo periodo). Eppure, nonostante questa capillare frammentazione geografica e culturale, alcune dinamiche, alcuni modi di fare sono sempre gli stessi. Come se in ogni paese e in ogni comune, in fondo, dominasse la stessa mentalità.

Le Volpi, l’ultimo lavoro della compagnia CapoTrave capitanata da Lucia Franchi e Luca Ricci, gioca sulla messa a fuoco del soggetto in primo piano, il microcosmo di una provincia, su uno sfondo più grande, l’intero territorio italiano. La pièce fa parte insieme ai due precedenti lavori della compagnia, La lotta al terrore e Piccola patria, di un trittico in cui la provincia italiana fa da paesaggio al racconto di alcune dinamiche relazionali.
In Le Volpi la lente di ingrandimento è posta sul tema della corruzione e sulle dinamiche di gestione del potere che spesso portano a non riuscire più a distinguere tra amicizia e clientelismo. Per affrontare questa “malattia italiana” i due cofondatori di CapoTrave (che abbiamo intervistato qui per PAC) sono partiti da letture emblematiche in tal senso, tra cui Todo modo di Leonardo Sciascia e Il Volpone di Ben Jonson. La questione è ben chiarita da Ricci: «Ecco, diciamo che volevamo scrivere una storia emblematica parlando di un orizzonte ristretto in cui un certo malcostume sembra un’eccezione (un’eccezione che poi diventa valanga). In realtà la nostra storia “piccola” vuole essere metafora della nostra italianità, del nostro modo di sentirci cittadini italiani, della nostra mentalità».

Le volpi in scena sono tre: una madre, Manuela Mandracchia, dirigente dell’Asl locale; sua figlia trentacinquenne operatrice culturale, Federica Ombrato, e il sindaco di questo non specificato centro di provincia interpretato da Giorgio Colangeli. Né personaggi né luoghi possiedono nomi definiti in quanto essi rappresentano solo delle funzioni all’interno di uno spaccato del Paese, una finestra di mondo aperta su una provincia qualsiasi che potrebbe trovarsi ovunque, dall’estremo Nord fino al lontano meridione.

Ad amplificare quest’atmosfera rarefatta si aggiunge l’elemento temporale; la pièce, infatti, è ambientata nel pieno di un’estate italiana, tra il canto delle cicale e il ronzio dei ventilatori. Il primo conflitto che mette in movimento l’azione nasce proprio qui: nella calura estiva in cui ogni elemento pare immobile e sospeso, il sindaco ha urgente bisogno di attivarsi – fare alcune telefonate, detto in politichese – per evitare che il reparto maternità dell’ospedale locale venga chiuso. È una questione di voti e di credibilità davanti agli elettori; perciò è necessario affrontarla nell’immediato prima dell’inizio del gran letargo in cui il paese si assopisce durante il mese di agosto.
L’appuntamento cruciale è con la madre, l’unica per ruolo professionale in grado di presentare la questione alla Regione, all’ora del caffè davanti a un bel vassoio di biscotti vegani nell’accogliente salotto di casa di lei, il quale diviene il luogo della scena. Il colloquio pensato per svolgersi a quattro occhi ben presto si trasforma in un coro a tre voci di attacchi e di accuse, di trame e di favori. La figlia, infatti, ha deciso di restare al rinfresco, come ospite non gradito ai due “adulti”,  nella speranza di ottenere dal sindaco la promessa dell’apertura di un bando per la gestione del nuovo museo di arte contemporanea locale. Quello che sembra prospettarsi come uno scontro tra generazioni generato dall’attrito tra mentalità diametralmente opposte, si concluderà in un’inaspettata cooperazione sindaco-figlia mal digerita dalla madre.

Lo spazio è pensato non in termini realistici, bensì evocativi, e gioca sul contrasto tra toni caldi e freddi di luce. Le tre sedie, disposte in schema circolare attorno a un tavolino su cui si poggia il vassoio di biscotti vegani, formano l’area deputata alla conversazione. In essa predominano i toni freddi per indicare il gioco di equilibrio, di mediazione, in cui i personaggi si trovano invischiati. Lo sfondo intorno a loro, invece, riflette i toni caldi dell’estate, il cui richiamo è sottolineato da alcuni elementi: una grande tenda che occupa la parete di sinistra con un moto ondulatorio, come fosse mossa dal vento, e una lunga veneziana abbassata a fondo palco, da cui filtra un po’ di luce.  Un elemento, quest’ultimo, che rievoca alcune ambientazioni da film noir in cui spesso i confini tra lecito e illecito, tra chi sta dalla parte della legge e chi no, appaiono molto sfumati.

Accade anche in questo salotto che i ruoli si capovolgano e le posizioni che parevano salde, con giravolte inaspettate, si ribaltino. La situazione iniziale è quella di milioni di giovani italiani: una figlia, madre anch’essa di due figli e formatasi artisticamente con costosi master e corsi all’estero, tira avanti solamente per mezzo di piccoli progetti locali e laboratori aperti alla cittadinanza. Il mondo dei giovani, quello della precarietà e dell’incertezza, si scontra con quello degli adulti, immobile e restio ad ogni cambiamento. Questa seconda realtà è rappresentata dalla madre, una donna in carriera arrivata ai vertici dell’Asl e che appartiene a quella generazione per la quale il lavoro era lì che aspettava a braccia aperte.

L’occasione per la figlia sopraggiunge alla notizia della possibile apertura di un museo di arte contemporanea in città. L’opposizione giovanile, inizialmente, sembra ferma e decisa, anche se la richiesta fatta alla madre di intercedere presso l’amico sindaco, affinché venga aperto un bando e la gestione del museo non cada vittima del classico giochetto delle conoscenze, rivela un primo segno di cedimento della figlia alle logiche tradizionali del potere. A sua volta il sindaco è venuto a richiedere aiuto della madre che diventa, dunque, il polo su cui convergono due richieste solo in apparenza antitetiche.

La politica, d’altronde, è il mondo dei compromessi e degli accordi sotto tavolo (o davanti a caffè e biscotti). Da questa realtà la madre vorrebbe tenere lontane sé stessa e la figlia, motivo che la spinge a prendere tempo con entrambi durante il corso dell’incontro. Il personaggio della madre, infatti, sembra l’unico in grado di osservare le dinamiche di potere dall’esterno, senza esserne completamente assorbita. Questo suo tratto specifico viene reso scenicamente attraverso delle “incursione dal futuro”, come le ha battezzate Ricci, in cui Mandracchia, illuminata dall’alto da un cono di luce, sta in piedi davanti a un microfono da cui denuncia la situazione.
Tuttavia è solo un canto di rassegnazione: «Che senso ha insegnare ai bambini a rispettare le regole se poi da grandi s’impara ad aggirarle?». È proprio questa la parabola compiuta da sua figlia alla quale viene promessa dal sindaco la gestione del museo, in cambio della chiamata alla Regione da parte della madre. La magia può dirsi finalmente compiuta, ma sul “senza trucco e senza inganno” non si può essere così sicuri.

Le Volpi s’inserisce nel filone del teatro di parola in cui il testo, qui inteso come scrittura della storia in battute e dialoghi, è l’elemento preponderante al quale, di conseguenza, va riconosciuto in primis il merito in termini di riuscita dello spettacolo. Ad esso però si aggiunge il secondo fattore di rilevanza della restituzione scenica che consiste nella solida prova recitativa del trio Mandracchia-Ombrato-Colangeli: misurati e concreti, mai vittime di eccessi e di prevaricazioni l’uno sull’altro. Ne risulta uno spettacolo costantemente vivo dall’apertura fino alla chiusura.
Lo spettatore ha modo di specchiarsi nella vicenda ideata da Franchi e Ricci; gli animi si accendono perché si riconosce la vicenda come familiare. È molto comune, infatti, sentirsi stanchi e frustrati a causa del groviglio inestricabile di accordi e favoritismi in cui è imbrigliato il nostro Paese. Allo stesso tempo, però, è anche vero che i casi in cui concretamente qualcuno decide di attivarsi sono rari, perché in fin dei conti ciascuno di noi, come la figlia, vacillerebbe fortemente di fronte all’offerta di vedersi sistemato a vita in cambio dell’accettazione a capo chino del sistema .

Proprio il voltafaccia della figlia, infatti, è forse l’elemento più scoraggiante perché toglie ogni tipo di speranza sul futuro. Come ricorda Ricci: «Abbiamo voluto che lei ne uscisse così, proprio per far capire che nessuno può e deve scampare a un’autoriflessione. Nessuno è immune dai compromessi». Per quanto sia forte lo slancio vitale, nessuno è mai radicale fino in fondo, neppure i giovani, perché la tentazione di trovare un posto sicuro, ad ora, è ancora la strada vincente.
Oltre a una schiera di adulti illuminati pronti a tendersi verso le esigenze dei giovani, oggi si sente la mancanza di un’autentica ribellione giovanile. Non si tratta di anarchia, ma di un tentativo di spezzare l’ordine costituito della realtà ed elaborare un’alternativa.
«Il secolo dei giovani, purtroppo ebbe una vita assai breve», come ha scritto recentemente Goffredo Fofi, e oggi «la sola speranza può nascere da una coscienza ecologica che esige bensì altrettanta consapevolezza del funzionamento del potere e dei modi in cui esso inganna, corrompe e distrugge. Che tante Greta (Thunberg n.d.r.) nascano e lottino!».

 

LE VOLPI

uno spettacolo di Lucia Franchi, Luca Ricci
con Giorgio Colangeli, Manuela Mandracchia, Federica Ombrato
costumi Marina Schindler
suono Michele Boreggi, Lorenzo Danesin
luci Stefan Schweitzer
scena e regia Luca Ricci
tecnici Piero Ercolani, Nicola Mancini
ufficio stampa Maria Gabriella Mansi
foto Elisa Nocentini, Luca Del Pia
amministrazione Riccardo Rossi
produzione Infinito
con il supporto di Regione Toscana, Ministero della Cultura, Argot Studio Roma, Biblioteca Al Cortile Roma

Teatro Oscar, Milano | 15 dicembre 2024