COSIMA PAGANINI | Forse il mondo del teatro (di chi lo fa, di chi lo vede professionalmente e di chi ne scrive) è troppo lontano dal mondo abitato dalla maggioranza degli uomini. Non vede trasmissioni televisive condotte da Carlo Conti in fascia pre-serale. Non frequenta i centri commerciali il sabato pomeriggio. Non va a ballare al Trash & Chic il sabato notte. Non segue in piazza il concerto di Bocelli il 30 aprile. Non fa la fila per visitare le grandi mostre (ha l’invito per l’inaugurazione o si imbuca, o dice che ha già visto tutto di quell’autore e che le mostre in Italia mancano sempre dei pezzi migliori, oppure, ancora, che tanto gli italiani sono ignoranti e sono più interessati all’evento mondano che a quello artistico). Non ha letto 50sfumaturedigrigio o lo ha sfogliato solo per capire cosa leggono quelli che di solito non arrivano a leggere 2 libri l’anno. E così via.
I teatranti che scrivono di teatro il mondo degli altri lo vedono solo da lontano e lo trovano di cattivo gusto. Non riconoscono in quegli uomini dalle sopracciglia depilate e in quelle donne con acconciature assurde né la persona comune, né il loro simile (vedi Margherita, la protagonista dell’ultimo film di Moretti).
Quelli che il teatro lo fanno invece misconoscono il pubblico che non vede i loro spettacoli. Non tanto quelli del teatro commerciale o amatoriale. Mi riferisco agli altri, quelli che fanno il cosiddetto teatro d’arte o peggio sperimentale, che giocano anche con i codici degli spettacoli commerciali ma producono opere ordinarie, ciniche, che manipolano lo spettatore. O anche opere strutturalmente e tecnicamente all’avanguardia, ma che dietro uno stile avvincente non dicono nulla. Spettacoli in cui l’ironia e il cinismo diventano fine a se stessi, solo una misura della sofisticatezza e della spregiudicatezza degli autori.
Parte dalla televisione d’intrattenimento l’idea di questo Amleto di CollettivO CineticO inzeppato di simboli e citazioni. 4 candidati in lotta per il ruolo del protagonista. 3 danzatori, servi di scena, valletti, con cappucci da boia o da praticante del bondage o da ballerino di fila in un qualsiasi numero di Smash, costretti da un legaccio elastico a una coreografia funebre. Una voce fuori scena dà tutte le informazioni da scheda tecnica: tipo di quintatura, numero di fari, dimensioni dello spazio scenico, misure delle strisce in pvc sistemate sul pavimento, numero dei posti. La musica di Šostakovič (come tutti da Kubrick in avanti) commenta musicalmente.
Quali considerazioni dovrebbe ispirare questo “meccanismo scenico”? Mi vuole raccontare il ruolo della televisione nel progressivo istupidimento dell’umanità? Il rapporto tra l’arte e il potere? Mi sta dicendo che come un artista si è dovuto piegare ai ‘gusti’ (voleri) di un dittatore e scrivere della musica roboante, encomiastica e trionfale, al servizio di una ‘coreografia’ della terribilità, così gli autori oggi sono al servizio di un potere altrettanto terribile e invasivo? Mi vogliono dire che, come Stalin, il pubblico è afflitto da potere paranoico e manda a morte delle persone, usando però l’applausometro e non la polizia segreta come il dittatore georgiano?
Quei 4 concorrenti al ruolo di Amleto con quei sacchetti del pane, più che i concorrenti di “Forte forte forte”, mi ricordano Spider Man in versione pezzente (Amazing Spider-Man #256-258) e ancora di più Shia LaBeouf alla presentazione del film Nymphomaniac con sacchetto in testa e cartello “I’m not famous anymore”. Addirittura mi fanno venire in mente più il Kenny travisato di South Park che rinnova la sua morte ogni puntata, che i concorrenti di “Italia’s got talent”. E Šostakovič per quella coreografia è come Una notte sul Monte Calvo di Mussorgsky orchestrato per banda per un numero da circo.
Mi sembra che CollettivO CineticO sia più a suo agio con Lars von Trier e la cultura pop americana che con “Il Principiante. Il Lavoro nobilita”, o “La dama velata”. Rispetto ad Amleto, poi, non sembra che siano andati oltre una visione frettolosa di 4 o 5 film, compresi i due To Be or Not to Be, quello di Lubitsch e quello di Brooks. E quell’enumerare le azioni compiute da Amleto nei 5 atti, è come quando la cameriera sposta gli oggetti sul comò, per far capire alla padrona di casa che ha spolverato con cura.
Dicono che questo Amleto gioca con “la sottocultura televisiva (in particolare il Talent Show), le mode, i vezzi del nostro tempo” che “ci induce a interrogarci su ciò che resta di Amleto nello spettatore di oggi”. Ma per giocare bene bisogna conoscere i materiali con i quali si gioca e un poco affezionarsene. Quel tanto che basta a non far venire fuori solo il disprezzo per tutte le persone che invece in quel e con quel ‘materiale’ ci vivono. E questo vale per qualsiasi ‘materiale’, che sia Shakespeare o la cultura triviale.
Credo che Amleto sia uno spettacolo per idioti-intelligenti, dove gli idioti sono, o si presume che siano, i 4 capri espiatori che, volontari, si mettono nelle mani, letteralmente, del pubblico. Intelligenti gli autori dello spettacolo e, forse, il pubblico. Non credo che l’intelligenza sia una qualità di per sé, ancor meno che la bellezza e Amleto di CollettivO CineticO manca di bellezza ed eccede in intelligenza sterile.
E, infine, trovo patetiche le recite con interpreti “non professionisti, performer improvvisati e comuni cittadini” e non sopporto l’ironia mondana e il nichilismo cinico di spettacoli che a forza di giocare con la sciatteria e la bruttezza, appaiono brutti e sciatti.