ALESSANDRA CORETTI | Una scena votata alla sottrazione, il cui tratto minimale non è sinonimo di povero, ma di essenziale. Digiunando davanti al mare per un racconto su Danilo Dolci, spettacolo che Giuseppe Semeraro ha presentato allo IAC – Centro Arti Integrate di Matera, è un lavoro privo di virtuosismi e di compiacimenti dello sguardo. La fisicità scenica coincide con il corpo del protagonista che, con agilità, passa dagli abiti di Danilo Dolci a quelli del suo fedele compagno di scioperi e battaglie: lu Zimbrogi. La parola dà carattere allo spettacolo, segnandone al contempo le coordinate geografiche ed emotive. La poetica di Dolci e il suo impegno civile rivivono in una drammaturgia generosa di aneddoti, immagini e cronache di una Sicilia del secondo dopoguerra martoriata soprattutto dall’incuranza politica. Oltre a condividere l’amore per la poesia, credo sia la postura etica ad accomunare le biografie di Dolci e Semeraro, il teatrante salentino infatti, nell’affrontare la scena, sfoga un senso di responsabilità di rara fattura, che ricorda per certi versi la vocazione attoriale piscatoriana; poco influenti pertanto i lievi sbalzi ritmici che accompagnano (ma non indeboliscono) l’opera, considerando anche che lo spettacolo vive ancora una fase di assestamento, un work in progress coraggioso che stupisce per sincerità di intenti e lascia prefigurare un’interessante evoluzione scenica a cui spero presto di assistere.
Come hai incontrato il pensiero di Danilo Dolci, perché hai deciso di dedicargli uno spettacolo?
Mi sono avvicinato a Danilo Dolci attraverso la sua poesia, ho scoperto successivamente le lotte che ha portato avanti da educatore. Dolci infatti insieme a Gianni Rodari è stato un punto di riferimento imprescindibile per il mondo dell’educazione, il suo attivismo si è però distinto per non essere legato solo all’infanzia, ma anche ai contadini, ai diseredati, ai banditi. L’attualità del suo messaggio, l’urgenza di far riemergere alcune questioni e la grande sintonia che ho sentito con la sua persona, mi hanno spinto a creare uno spettacolo sulla sua vita.
Mi ha affascinato un tuo commento in merito alla storia di Dolci: <<il racconto di una vita che ci insegna molto su come un artista lavora al fianco di un territorio>>. Come deve lavorare, secondo te, un artista per trovare una connessione profonda con il luogo in cui opera?
Danilo Dolci è quasi sempre ricordato come educatore o sociologo, per me è prima di tutto un artista. Come Joseph Beuys parlando di “Scultura sociale” democratizzava il concetto di arte per responsabilizzare l’uomo, così Dolci ha cercato di stimolare le coscienze individuali aspirando alla creazione di una nuova coscienza collettiva basata sulla partecipazione. Credo sia importante in questo momento che l’artista si interroghi su cosa voglia dire lavorare su un territorio e interpretare delle urgenze sociali. Il teatro, più di altre forme d’arte, ha questo potenziale.
Come pensi che il teatro possa essere scardinante partendo dal pensiero di Dolci?
Penso che l’arte abbia sempre il potere di scardinare qualcosa, di abbattere un muro, sicuramente non può essere accomodante. Personalmente, non credo che il mio spettacolo sia particolarmente provocatorio o rappresenti un punto di rottura, Digiunando davanti al mare è testimone di qualcosa di urgente, il tentativo di rilanciare delle tematiche ancora vive come la non privatizzazione dell’acqua, la scolarizzazione diffusa e il diritto al lavoro.
Come hai lavorato per mettere in scena Digiunando davanti al mare?
C’è stato un lungo momento di documentazione, poi ho cercato dei validi compagni di viaggio: Francesco Niccolini, drammaturgo molto bravo nell’elaborare argomenti di stampo civile e Fabrizio Saccomanno, che si occupa della regia. Lo spettacolo è ancora un work in progress, sento che può crescere molto e soprattutto vorrei restituire al pubblico il motivo profondo che mi lega a questo lavoro.
Il pensiero di Dolci ha influenzato il tuo modo di considerare il teatro ragazzi?
Indubbiamente lo ha arricchito, Dolci ad esempio è stato portavoce del metodo maieutico, alludendo a una particolare predisposizione a diventare levatrici, a tirare fuori ciò che l’altro ha dentro, insegnamento fondamentale per chi sceglie come interlocutore l’adolescente. Devo ammettere che ho compreso pienamente l’importanza dell’incontro con la figura di Dolci facendo delle matinée per alcuni studenti delle scuole superiori, l’attenzione e la curiosità dimostrate dai ragazzi verso lo spettacolo sono state disarmanti, da qui la necessità di continuare ad approfondire il pensiero-azione dell’intellettuale.