VINCENZO SARDELLI | Occhi fissati sul pubblico, cristallizzati in un sorriso sornione. Sguardi dietro occhiali dalla montatura rossa, filtro, rimando ai mondi artificiali del web. Così Enoch Marrella di Interazione scenica accoglie il pubblico di Zona K a Milano, in occasione di Play With Food, La scena del cibo, teatro + perfomance + arti visive, selezione dal Festival Play With Food 2014 di Torino. Nel terzo week-end di maggio, Zona K ospita tre giorni di performance, installazioni, teatro, opere video e opere d’arte sui temi dell’imminente Expo 2015. Nel monologo Thanksgivingday-Episodio 1, drammaturgia e regia di Andrea Ciommiento, Marrella è Fausto, un diciassettenne che, nell’ambito di un programma di scambio culturale, lascia l’Italia per trascorrere un anno in America. Fausto contempla questo mondo nel Giorno del Ringraziamento, con curiosità e quel minimo di criterio. Lo percorre con gli occhi aperti in un ghigno di fascinazione. Fausto interagisce con i vizi e gli eccessi che abitano gli USA: college party, strampalati motori di ricerca, armi a portata di mano, culto dello sport. Soprattutto, eccessi alimentari: patatine e palle di pollo, pepsi e aragoste, salsicce e pomodori verdi fritti, banane e burritos: e pensare che il background erano fettuccine e scaloppine, trangugiate a ritmo di tarantella. L’incontinenza alimentare è viatico ai richiami dell’eros. Entrambe sono metafore delle seduzioni e delle fantasie di un intero continente. Il che ricorda i temi dominanti in Angelo della Gravità di Massimo Sgorbani. Solo che in Sgorbani il cibo, compensazione di tormenti esistenziali, degenera in obesità, incoscienza, follia e colpa. Qui prevale uno sguardo sorridente e leggero di fondo, aperto sulle contraddizioni, ma anche conquistato dal dinamismo del mondo americano. Fausto attraversa il labirinto e ne esce vivo. Non si perde. Non si snatura. Fa affidamento su quei valori della cultura italiana che vanno dalla pasta al pomodoro cucinata a regola d’arte (non quel pastrocchio colloso condito con ketchup degli USA) a un Dante versione Bignami fai-da-te, passando per Ramazzotti, Jovanotti e Battiato. Le bizzarre esplosioni emotive non compromettono l’equilibrio delle relazioni di Fausto, neppure il suo autocontrollo. La regia di Andrea Ciommiento segue il percorso di Fausto con una supervisione lieve ma non evanescente, intrigante e discreta. La scena è vuota, le luci ferme, in qualche modo surreali. Gli oggetti scenici sono inesistenti, salvo che non si consideri la virtuale palla fantasma che il protagonista continua a lanciare agli spettatori: un esercizio basilare di training teatrale, che provoca un brio collettivo. Che non è risata, piuttosto ironia dilatata. Di questa bislacca storia che è l’America, portiamo a casa l’ottimismo del Yes we can, la curiosità del why not.
Un registro drammaturgico un po’ monocorde, una regia spoglia, secondo la formula dello stand-up drama anglosassone. Ma ci può stare. Anche per la durata minimalista dello spettacolo, che non supera i tre quarti d’ora.