BRUNA MONACO | Eccoci arrivati al decennale di Equilibrio Festival della nuova danza. Sidi Larbi Cherkaoui, direttore artistico ormai da cinque anni, propone per quest’anno un’edizione più composita, forse meno brillante del solito, ma sicuramente gli spettacoli interessanti non mancano. C’è Asobi, per esempio, di Kaori Ito, oggi danzatrice della compagnia belga Ballet C de la B diretta da Alain Platel. L’avevamo già vista in scena proprio nell’eccellente e sconcertante Out of context di Platel, nel corso del FestiVAl di Villa Adriana del 2011 (che fu purtroppo l’ultima edizione). Oggi a Equilibrio la trentacinquenne giapponese porta invece uno spettacolo di cui, oltre che danzatrice, è regista e coreografa.
In un’ampia parete di plastica posta in mezzo alla scena si specchia il pubblico in sala. Una quarta parete che riflette anziché separare e pone lo spettatore nella situazione che vive quotidianamente il performer: sotto osservazione, messo a nudo dagli sguardi. Kaori Ito, Csaba Varga, Jann Gallois e Péter Juhász sfilano davanti allo specchio, vestiti di tutto punto. Ma a ogni passaggio perdono un pezzo d’abito fino a lasciare nudo un lato del corpo, e ancora coperta l’altra metà. Nel contempo nudi e vestiti, i danzatori vogliono farsi simbolo di una condizione, quella che viviamo nella società dell’immagine: sempre attenti a rimandare agli altri l’immagine di noi che preferiamo, o che crediamo preferibile, sempre più artificiale e distante dell’autentico “noi”. Il tema dello sguardo dell’altro e della percezione di sé è al centro dello spettacolo: gli interpreti si esibiscono in pose standard, da foto d’adolescenti su facebook, da selfie. Pose esasperate fino ad essere irriconoscibili, ripetute e distorte a un ritmo incalzante, come fossero/fossimo automi, specializzati nella riproduzione in serie di false raffigurazioni di noi stessi.
Ma Asobi è anche altro. In giapponese il termine Asobi indica i giochi erotici degli adulti, degli uomini soprattutto. Kaori Ito li vuole mostrare e ribaltare: sono le due donne in scena a dirigere i giochi a essere determinanti nella scelta dell’immagine che di sé daranno i due uomini. Ma il rovesciamento dei ruoli sarà continuo, in un incessante susseguirsi di figure di danza da kamasutra, di atti sessuali che scivolano dallo stupro all’atto d’amore.
Tanti i temi abbordati e i riferimenti. Probabilmente troppi e troppo articolati per uno spettacolo di danza in cui tutto è affidato al gesto e all’espressività degli interpreti e della coreografia. Kaori Ito non contamina la sua danza, la voce “drammaturgia” non figura fra i crediti dello spettacolo, diversamente da ciò che accade, invece, in spettacoli complessi, più riusciti e semanticamente stratificati come per esempio l’Out of context di Platel.
Ciò che trionfa nello spettacolo, ciò che lo spettatore si porterà a casa e conserverà nella memoria, sono soprattutto le coreografie ritmate e incalzanti, simmetriche ma scomposte. I movimenti inquieti e inquietanti, vibranti, dei corpi dei danzatori. E un’ironia agghiacciante, straziante quasi. Una comicità nervosa che ricorda un certo cinema muto con i suoi bruschi ed efficaci passaggi dal pianto al riso, dal buffo al tragico.
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