MARIO DI CALO |. Nella bella rassegna “Trend/Nuove Frontiere Della Scena Britannica”, arrivata alla dodicesima edizione, a cura di Rodolfo Di Gianmarco presso la storica sala romana Teatro Belli, sono stati portati in scena due ‘pezzi’ del professore, attore ed autore Tim Crouch: Banquo e Peaseblossom, tratti dal ciclo dei monologhi “I, Shakespeare”, tradotti per la scena da Pieraldo Girotto e con la appassionata ed intensa regia di Fabrizio Arcuri.
A sipario aperto con tre neon bianchi sospesi nell’aria, che poi saranno quasi esclusivamente la fonte di illuminazione della serata, su un fondale di stelle filanti argentate si rifrangono le luci mentre due banconi bianchi di diversa grandezza servono rispettivamente come banco regia e l’altro, di volta in volta, come letto, bara, trono, podio per il protagonista.
Mentre il pubblico ancora si accomoda in sala, entra Enrico Campanati/Banquo – di bianco vestito e con un bicchiere di whisky in mano – che con una specie di gramelot cerca le parole giuste per poter riferire la sua versione dei fatti, ma lui è morto e gli spettatori sono vivi, a lui è capitato di morire, non a loro, e infatti incita e invita il pubblico con un: “Prova ad immaginare…”. Prova a tirare tutti dentro la sua vicenda, ed ogni spettatore diventa, di volta in volta, il conte di Glamis, Duncan, Macduff, insomma tutti i personaggi, inclusi i servi, della straordinaria storia che racconta.
Fleance suo figlio è impersonato da Matteo Selis, che armato di chitarra elettrica, interferisce con appropriate incursioni musicali nel monologo paterno, ma è all’occorrenza anche datore luci e/o commentatore dell’azione.
La storia che racconta Banquo è quella di Macbeth, giustamente proposta da un osservatore che non è più osservatore poiché spettro. Comunque siano andate le cose può solo raccontarle: la storia non si modifica, la si racconta e basta, con quanta più obiettività è possibile, ed è quanto fa Tim Crouch.
L’immaginazione serve solo a far comprendere meglio i fatti ma non modifica la realtà.
Enrico Campanati, con toni quasi cabarettistici, narra con afflato e giusto risentimento quanto accaduto. Pur usando a profusione sangue coagulato che attinge da varie botole situate ad arte sulla scena non risulta mai tragico, al contrario, come se il suo stato di ombra/spettro gli permettesse il giusto distacco dalle cose.
Sullo stesso impianto di rilettura del classico del Bardo è anche Peaseblossom, commissionato a Tim Crouch nel 2004 per il festival di Brighton: racconta dei fatti accaduti durante una famosa notte di mezza estate in una Atene immaginifica ed immaginaria, riportati stavolta diligentemente dal candore di un folletto dal nome di Fiordipisello, interpretato qui dal comunicativo Matteo Angius.
Una proiezione sul fondo del palcoscenico nudo avverte, all’inizio, che si tratta un primo studio/lettura ma appare a tutti gli effetti – e lo è – uno spettacolo compiuto ed anche ben riuscito, suddiviso in sei sogni: Il calabrone, Nudo, La Recita, Il Fiore, Pruriginoso Pruriginoso e La Morte.
In un contesto da
post-festino, un naturalissimo Matteo Angius, con leggerezza ed autenticità, inforcando occhiali e qualche volta con il copione in mano, coinvolge il pubblico nello stesso gioco dell’altro spettacolo.
Lo spettatore, con l’uso di una maschera sopra-titolata, diventa ogni volta un personaggio diverso della storia, che il buon Fiordipisello con dovizia di particolari fa rivivere durante tutto lo spazio della notte, prima che sopraggiunga l’alba e non possa più sognare.
Con lui in scena stavolta c’è il regista Fabrizio Arcuri, che al banco di regia, accarezza con il suo sguardo sornione il suo attore, approntando spesso la scena con trovate illuminanti, come il carillon con i personaggi sospesi ad una cordicella, che diventano la commedia che inscenano gli artigiani ateniesi o quando, durante il matrimonio dei giovani sposi, accompagnati dalla celeberrima musica di Felix Mendelssohn, lancia riso a profusione.
Fabrizio Arcuri ‘scrive’ la sua regia in perfetto accordo con l’autore e racconta dei fatti accaduti assecondando e imprimendo leggerezza alle due famose storie Shakespeariane: scrive come se si trattasse di vere e proprie pagine, e se si tratta di Banquo del Macbeth utilizza il bianco dove il rosso sangue degli eccidi meglio risalti e meglio possa essere un monito per le generazioni future a non ripetere gli stessi errori; se invece si tratta di Fiordipisello del Sogno di una notte di mezza estate, aiuta e sostiene lo svolgersi della vicenda con proiezioni che conducono per mano durante tutta la durata della notte.
Sembra vivere uno stato di grazia nella duplice semplicità e freschezza di queste due nitide serate di apprezzabile teatro.
Qui un video di Maria Elena Buslacchi con un’intervista ad Arcuri. Provate a immaginare…
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