ANDY VIOLET | Secondo la potente rappresentazione iconografica di Stanley Kubric in “2001: Odissea nello spazio”, la prima arma mai brandita fu un bianco osso animale, utilizzato da un ominide per porre termine alla vita di un suo simile. Fu quell’atto a privare l’uomo dell’Eden spirituale dell’incoscienza, ponendolo di fronte alla consapevolezza della morte, al sentimento del tempo, ma anche al desiderio di potere, che sin dal suo esordio si lega indissolubilmente alla capacità offensiva, all’asservimento per mezzo della minaccia del nulla. Sebbene secoli di filosofia del diritto abbiano tentato, col gioco divaricante dell’astrazione, di allentarne l’intreccio, il tentativo era destinato a fallire come quando si voglia separare le due facce di una moneta.
Il suggello di questo patto genetico sta nell’arma: ogni epoca, anche in virtù della propria storia materiale, ha avuto predilezione per l’una o l’altra forma di offesa dell’integrità fisica, talora collegate a categorie etiche ben precise. In epoca greca arcaica, per esempio, l’arma da lancio, in primo luogo l’arco, era considerata vile, non degna di un eroe, perché in grado di colpire da lontano, a tradimento: non a caso, è l’arma di Paride, il traditore omerico per eccellenza, o l’arma delle donne, come le amazzoni. In particolare, a tale tipo di armi si rimproverava di non essere specchio fedele della reale forza del combattente, tanto da poter essere usata, per l’appunto, da una donna allo scopo di sopraffare un uomo.
Tuttavia, l’arma muliebre per eccellenza era il veleno: da Medea fattucchiera ad Agrippina avvelenatrice dell’imperatore Claudio, su per i secoli fino al mito di Lucrezia Borgia, le sostanze venefiche furono dominio della malvagità femminile, legata al sovrannaturale e al maleficio di intrugli stregoneschi, suggerendo ai giallisti un po’ demodé il comodo escamotage dell’anello imbottito di cianuro da svuotare, all’occorrenza, in un brindisi fatale.
Dalla Roma antica fino ai primordi dell’800 è però il pugnale a farla da padrone: personificazione stessa della più alta forma di tradimento nell’omicidio di Giulio Cesare, esso ritorna pressantemente nell’immaginario epico della violenza politica, fino a comparire nelle mani della filomonarchica Carlotta Corday nell’uccisione del rivoluzionario Marat. Sarà solo il 900 a segnare il definitivo abbandono dell’arma bianca, quando Gravilo Princip spara con una semplice pistola all’arciduca Francesco Ferdinando, dando il via al primo conflitto mondiale. Di lì in poi, Kennedy, Malcom X, Togliatti, ma anche Lennon e Warhol saranno vittime di una morte tascabile misurata in millimetri.
E per il nuovo millennio? Non sembra ancora ben delineata la moda balistica degli anni 2000, ma sulle passerelle milanesi si sperimenta la forza distruttice del souvenir.