ANDY VIOLET | Tra Hegel e Schopenhauer non correva buon sangue. Se uno dei motivi di tanta acrimonia va certamente rintracciato nelle vicende biografiche dei due pensatori, l’uno destinato a diventare filosofo-vate dello Stato Prussiano, l’altro costretto a vivere nell’ombra del successo del suo odiato collega, le più vere e profonde ragioni di tale antipatia vanno sicuramente ascritte alla radicale opposizione dei loro sistemi di pensiero. Al panlogismo di Hegel, riassumibile nell’arcinoto aforisma secondo cui “tutto ciò che è reale è razionale”, e viceversa, votato ad un cieco ed strumentale ottimismo che coinvolgeva anche la parola, sicuro mezzo di disvelamento della verità, Schopenhauer, com’è noto, opponeva l’irrazionalismo biologico e spirituale della Volontà, e l’amara constatazione dell’uso mistificatorio delle parole.
Contro quello che ai suoi occhi appariva come un bieco proposito di far passare la raffinata tecnica oratoria di Hegel come l’ultimo risultato possibile del lungo cammino del pensiero umano, il filosofo di Danzica scrisse un agile e irritante libretto intitolato L’arte di avere ragione. Parliamo di un vero e proprio trattatello di eristica, ovvero l’arte del duello verbale canonizzata per la prima volta dalla scuola Sofistica, caratterizzata dal completo disinteresse per il reale valore di verità delle questioni cui si applica, e dall’insegnare le tecniche più adatte per vincere ogni controversia basandosi solo sulla verosimiglianza logica del ragionamento e giocando intelligentemente con le aporie del linguaggio.
Tra i metodi segnalati da Schopernhauer, tutti catalogati con meticolosa precisione, vi è quello di ricorrere, se messi alle strette, ad una generica accusa che colleghi quanto detto dal nostro ipotetico avversario ad una ideologia invisa al pubblico che assiste al diverbio: bisogna, scendendo nel particolare, esclamare con disgusto: “Ma questo è Spinozismo!” oppure “Questo non è altro che Aristotelismo!”, facendo sì che un ragionamento, per quanto giusto e puntuale, si colori di una sgradita parzialità ideologica.
Se Schopenhauer si limitava, nella descrizione di tale metodo, ad utilizzare correnti di pensiero realmente esistenti, l’evoluzione odierna ed attualissima di questo stratagemma si avvale più semplicemente dell’odio connaturato verso il suffisso -ismo, che negli ultimi decenni sembra aver assunto di per sé la connotazione negativa di una chiusura o di una degenerazione ideologica prevaricante. E’ per tale motivo che oggi alla laicità, principio cardine della nostra Costituzione, si cerca di sostituire il più odioso concetto di laicismo, col quale spesso e volentieri sono marchiati coloro che, nell’intento di evitare degenerazioni confessionali della Cosa Pubblica, vengono tacciati di voler attentare alla vita e ai valori fondamentali dell’essere umano. Se per caso siete tra questi, e siete stanchi di vedere i vostri sforzi logici infrangersi contro la sicura paratia di chi sta dalla parte del suffisso giusto, non arrendetevi: mettetevi ad esclamare con disgusto: “Ma questo è Cattolicismo!”.