MATTEO BRIGHENTI | Vite di scarto sul binario morto del futuro. Hanno preso il treno i pendolari dell’accidia immortalati dagli Omini, hanno trovato lavoro gli operai della malinconia ritratti dal Collettivo Controcanto, eppure sono fermi, bloccati. Il controllore e Sempre domenica riaffermano che i poveri cristi osservano, sognano, invidiano “le magnifiche sorti e progressive” persi in mezzo al niente. Gli uni legati a racconti sgangherati, gli altri a rapporti malandati. Tutti occhi negli occhi a fare a chi ride o piange per primo.
“La rabbia c’è chi la digerisce e chi la sputa: qui la sputano tutti” riflette lo stralunato controllore di Luca Zacchini. Un “sacchetto azzurro pieno” ritrovato sui binari impedisce al suo convoglio di proseguire oltre e lui è a fargli la guardia insieme alla collega stranita impersonata da Francesca Sarteanesi. Non si può dire esattamente cos’è, non si può esaminarne il contenuto, è l’ordine perentorio del Caporale di Francesco Rotelli, l’implacabile capotreno. Ai passeggeri basti sapere che è un ingombro: una scusa come per il disagio.
Il linguaggio, ormai, è svuotato al pari delle persone a cui è rivolto. Gli Omini ci sguazzano dentro, perché sono muniti del giubbotto di salvataggio del nonsenso.
Dopo Ci scusiamo per il disagio e La corsa speciale, Il controllore è il terzo capitolo del Progetto T dedicato alla Ferrovia Transappenninica Porrettana, recensito da Elena Scolari per PAC al debutto a VIE Festival.
Abbandonata l’idea iniziale del vagone-teatro, vero e proprio “carro di Tespi” su rotaia, a quanto pare irrealizzabile, lo spettacolo nasce, a differenza degli altri, appositamente per il palcoscenico. La scenografia è uno scompartimento “a scomparsa”, una sorta di “calendario dell’avvento” in cui si aprono tre porte, due strapuntini, un finestrino e un apparecchio telefonico collegato a una fila di altoparlanti in cima a questa struttura mobile azionata, non vista, da Giulia Zacchini, anche dramaturg.
Il treno staziona sulle assi del Teatro Magnolfi di Prato, ma, nella consueta struttura a quadri/incontri, è continua la girandola di passeggeri a cui Gli Omini danno tic e ricordi. Salgono e non scendono, perché, in realtà, non vanno da nessuna parte di preciso: sono partiti e basta, né più né meno delle loro esistenze.
Il controllore, nell’esercizio delle sue funzioni, è un pubblico ufficiale, comunque a disposizione dei passeggeri per qualsiasi necessità. Allora, chi come questi poveri diavoli non ha nessuno con cui parlare, eccetto i propri fantasmi, si rivolge al tutore dell’ordine ferroviario quasi fosse un prete, un parrucchiere o un tassista: si confida e confessa fatti personali, pensieri, opere e omissioni, che viaggiano insieme a lui, pur non essendo fisicamente qui.
È una “guerriglia quotidiana”, così la definisce il Caporale, di caratteri contro la disperazione e lo schifo del viaggio chiamato vita. Dicono e si dicono cose tremende, sempre però con leggerezza al limite del candore. Rappresenta un distacco socratico verso la materia prima testuale, cioè le interviste sul campo stavolta della tratta Porretta Terme/Bologna: una critica ironica, stringente e sottile, condotta con dialettica accesa ed estrema autenticità.
Si ride, certo, ma mai come con Il controllore si coglie la profonda disperazione di tutti gli “umiliati e offesi” agli angoli della quotidianità (pure in tema di gender, tanto caro, ad esempio, a Liv Ferracchiati).
Chiedere il biglietto sul treno equivale a domandare “che lavoro fai?” nella vita di ogni giorno. Il fattorino, la cassiera, il dottorando, il meccanico, l’avvocato, la segretaria e le altre voci romanesche del Collettivo Controcanto un posto fisso ce l’hanno, ma quel “titolo di viaggio” non rispecchia affatto chi sono, né tantomeno chi vogliono diventare. L’audacia di Sempre domenica, in tempo di crisi come il nostro, è mostrare come il lavoro non aiuti a mettere a fuoco i desideri, se pur di averne uno bisogna rinunciare alla propria personalità, individualità e perfino umanità.
Lavorare per vivere, questa è la tesi dello spettacolo Premio In-Box 2017, e non vivere per lavorare, perché ci sono “la famiglia, il mutuo, la casa, non si può stare dietro ai sogni”.
Il posto sul palco del Teatro Cantiere Florida di Firenze di Federico Cianciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella (Emanuele Pilonero era assente per un grave lutto familiare), sono cinque sedie spaiate. Entrano uno per uno al buio e vanno dritti a sedersi: la luce fissa li troverà in quella stessa posizione dall’inizio alla fine. Sono uno, centomila personaggi e non sono nessuno, chi parla cambia solamente il suo modo di stare a sedere, mentre gli altri stanno a testa in giù e a mani giunte tra le gambe. Un teatro di piccoli dettagli per vite piccole, glacialmente esplosivo.
Non è realistico, è fortemente evocativo, tanto la fisicità degli attori quanto la specificità delle situazioni vengono restituite dallo scambio delle battute. Sempre domenica si concentra sui dialoghi, il resto è come cancellato, annullato, non c’è. Una modalità narrativa economicamente sostenibile e replicabile ovunque, ma anche fortemente simbolica di quanto sia per noi totalizzante la questione lavoro, tanto da non esistere altro all’infuori delle parole per descriverla, affrontarla e soprattutto subirla. Per questo l’azione è spostata dove di solito non c’è, sulle sedie, perché la loro è una condizione di immobilità che da argomentativa diventa decisionale e addirittura esistenziale.
È un “gioco a incastro”, che la regia di Clara Sancricca (sua anche l’ideazione) fa correre veloce, grazie a un ensemble che ha grande controllo di tempi, pause e raccordi. Uno spettacolo di tanti spettacoli quante sono le scene che lo compongono, veri e propri mondi a sé stanti, fatti e finiti, che ricominciano ogni volta daccapo, al pari dei giorni della settimana. Agli spettatori il compito di seguire i vari fili del discorso per giungere al capo conclusivo: il lavoro che toglie interesse negli altri e che non diverte, ovvero non ci realizza con semplicità, è un furto delle nostre energie migliori. Soddisfa soltanto bisogni di cui, per la verità, non abbiamo bisogno affatto.
“T’immagini se fosse sempre domenica”. I ragazzi cantano in coro T’immagini di Vasco Rossi, mentre l’unica ragazza rimane spenta tra di loro. Il cameratismo maschile è la sola domenica che si riesce a realizzare su queste sedie e con questi mezzi, la sola opportunità di vivere non pensando ai lunedì che non ci appartengono. Sempre domenica non fa la “rivoluzione”, neppure la incita quando potrebbe, tipo al colloquio di lavoro o alla firma del contratto capestro. L’impianto scenico e drammaturgico resta invariato e così anche (la presa di) posizione dello spettacolo.
Sul momento ci è sembrato un limite, un inciampo all’ultimo passo appena prima del traguardo. Invece, a pensarci bene, la fotografia dell’oggi del Collettivo Controcanto è esatta e implacabile: siamo seduti, inermi, di fronte a qualunque sopruso. Non siamo vittime, siamo corresponsabili di questo Stato di cose. Per paura di perdere quel poco di posto che abbiamo: il meno peggio meglio che niente.
Il controllore
Progetto T – Anno 3 Porretta Terme/Bologna
ideazione Gli Omini
con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini
dramaturg Giulia Zacchini
luci Alessandro Ricci
realizzazione scena Associazione Teatrale Pistoiese – Centro di Produzione Teatrale
arrangiamenti ed esecuzione di Silvana Davide Arnetoli, Patrizio Gioffredi e Danilo Scuccimarra
produzione ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, Associazione Teatrale Pistoiese – Centro di Produzione Teatrale
Teatro Magnolfi
Prato
Sabato 24 marzo 2018
Sempre domenica
Vincitore Premio In-Box 2017
drammaturgia Collettivo Controcanto
ideazione e regia Clara Sancricca
con Federico Cianciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero
organizzazione Gianni Parrella | E45
Teatro Cantiere Florida
Firenze
Giovedì 22 marzo 2108
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.