MATTEO BRIGHENTI | Il personaggio è il doppio dell’attore: afferma una verità mascherata da finzione. L’attore, a sua volta, è il doppio del regista: afferma una finzione mascherata da verità. Qualità, parti, sensi opposti e complementari di un medesimo palcoscenico che PierGiuseppe Di Tanno incarna allo specchio di Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?, scritto e diretto da Roberto Latini.
La somiglianza tra i due è indubbia, per aspetto e fisicità, ma anche riguardo all’articolazione e coloritura vocale e, più in generale, al ricorso di uno stare carnalmente dentro le parole. Qui «creazione e occasione di riscrittura» dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, come ha affermato su Pac Renzo Francabandera in occasione del debutto, l’anno scorso, al festival Primavera dei Teatri. Una de-costruzione misurata sulla sensibilità di un solo attore in scena e che è valsa a Di Tanno il Premio Ubu 2018 come miglior attore/performer under 35.
È la conferma di un talento forgiato e scoperto dallo stesso Latini. Lo scelse per primo, insieme ad altri sette giovani interpreti, su 500 candidati a un laboratorio/produzione per OrizzontiFestival 2017 di Chiusi. Il progetto fu in seguito cancellato – afferma nelle note di regia – «per l’ottimismo pericoloso del direttore artistico», cioè Andrea Cigni, e «per l’incoscienza desolante degli amministratori locali», ovvero soprattutto il sindaco Pd Juri Bettollini. A quei sette «idealmente vorrei dedicare tutta la fase del lavoro – continua – per quanto mancato, per quanto sospeso, per quanto violentemente interrotto. Sono molto felice, artisticamente e quindi politicamente, di questa occasione, che non potrà certamente supplire all’altro futuro mancato, ma sono certo possa riammetterci al presente sospeso».
Sospeso PierGiuseppe Di Tanno lo è concretamente sulla scena di Sei…, al Teatro Cantiere Florida di Firenze per il secondo appuntamento della rassegna Materia Prima promossa da Murmuris. Sta su un piedistallo a quasi due metri d’altezza, monumento vivente al teatro, ritaglio sopraelevato di palco a isolare quell’unica mattonella da cui non ci possiamo muovere: la commedia della vita. E della morte. L’attore, infatti, ha sul volto una maschera che riproduce un teschio.
Pirandello, a partire dal testo del 1925, annota nelle didascalie del suo dramma che le maschere aiuteranno i sei personaggi «a dare l’impressione della figura costruita per arte e fissata ciascuna immutabilmente nell’espressione del proprio sentimento fondamentale». Quel sentimento, nella rilettura latiniana, si direbbe essere proprio l’aspirazione alla morte e al morire.
Per potersi dire vivi, davvero, essi hanno la necessità di acquistare una forma compiuta, ossia di entrare nel tempo finito, determinato, che gli attori hanno impresso sulla fronte, fin dalla nascita. Il sembiante dell’incontro è Di Tanno, che partecipa degli uni e degli altri, recitando tutti i ruoli, come già Roberto Latini nel suo assolo per il copione pirandelliano speculare ai Sei personaggi, vale a dire I giganti della montagna. È un tutt’uno con le battute e finanche con le didascalie, tanto da evocare e richiamare a sé perfino la parte dell’autore.
Ha una presenza d’ombra, contro un telo bianco, contro-sipario che veste lo spazio come la canottiera il suo petto. Tale è il raccomandato «palcoscenico com’è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto». Le unghie di mani e piedi laccate, gli attillati pantaloni neri plastificati, la gorgiera viola, il codino blu e la bocca aperta in un sorriso che è ghigno e morso insieme: pare uno spirito dark e drag, Gollum di una sorta di Giorni Felici di Samuel Beckett in cui il cumulo di sabbia è la “catena” della rappresentazione. Ogni tanto a interromperlo gli arrivano alle spalle un faro (luci e direzione tecnica di Max Mugnai), che lo muta in una sagoma buia, e un ventilatore, che solleva appena il drappo.
È lui solo con tutti i suoi «diavoli in testa», come li chiama la Figliastra. Nel dire c’è appunto il fare, il fare è dire in scena. Non esiste altro passo oltre, fuori dalle nostre rispettive sponde di palcoscenico. Il vero e il falso pari sono, quanto ciò che è o non è successo.
Quando PierGiuseppe Di Tanno solleva la maschera, per la prima volta, scopre occhi quasi vuoti, ciechi, che sembrano non aver visto niente, eccetto che fantasmi. Perché l’orizzonte è lo spettacolo, quindi la tela. La usa anche per asciugarsi dal sudore il viso, i piedi. Ecco, una possibile via di fuga sarebbe sottrarsi a quel sudore, negarsi al pubblico. Si volta, certo, si gira dall’altra parte. Ci prova. Ma non dura che lo spazio di un attimo. La catena riprende a tirare. Sempre e comunque.
La commedia da fare, come recita il sottotitolo dei Sei personaggi in cerca d’autore, una volta fatta, però, provoca la rottura del dispositivo. La (non) morte della Bambina e del Giovinetto destituisce Sei… dal piedistallo e, di conseguenza, dal senso di una radiosa e crudele meraviglia. Dopo la proiezione di alcune delle parole più enigmatiche di Pirandello, Di Tanno ricompare in scena smascherato, con una giacca bianca e la maglietta adesso nera.
Parla in un microfono calato dall’alto, dove prima c’era la costruzione che teneva sollevato lui, non solo la sua voce. Il riverbero, l’eco delle frasi amplificate (musica e suono di Gianluca Misiti), segue il rincorrersi dello stupore, dello sgomento, della paura degli attori della compagnia per quel duplice (non) suicidio.
La recita dell’ultima didascalia, illuminata da un taglio rosso sangue e contro un velatino-sudario nero, non è tuttavia la fine in levare, oscura, dello spettacolo, conseguente al raggelante inizio. Roberto Latini ha aggiunto e mantenuto un «inserto spurio shakespeariano», per dirla ancora con Francabandera.
Appoggiato a terra su un fianco, il supporto della vertigine interpretativa del Premio Ubu under 35 simboleggia ora la vasca in cui è annegata la Bambina, una bara d’acqua trasfigurata in quella di Ofelia. Un guanto per mano, il giovane interprete dà così vita in inglese, poi in italiano, ai due becchini del V atto di Amleto alle prese con il cadavere della figlia di Polonio.
L’interpolazione va nella direzione di sottolineare che «la propria vita non accorcia chi della propria morte non ha colpa». Un di più di spiegazione che ha effetto di voler riconoscere quasi maggior forza e densità di esposizione a Shakespeare che a Pirandello. E seppellire, a colpi di lazzi e clownerie, l’oscuro gorgo familiare (e autobiografico), la materia torbida e dolente dell’originale.
Il buio conclusivo alla «stridula risata» della Figliastra e alle “forme trasognate” del Figlio, della Madre e del Padre, finisce quindi a bagno nella schiuma insieme a PierGiuseppe Di Tanno. Una sterzata glam decisiva. Invece che con immagini d’inferno incombenti e irrisolte, quando sei in una bolla di sapone temi come l’abbandono, l’incesto, il rimorso, la punizione, volano via leggeri e rotondi.
SEI. E DUNQUE, PERCHÉ SI FA MERAVIGLIA DI NOI?
da Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello
drammaturgia e regia Roberto Latini
musica e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
assistente alla regia Alessandro Porcu
consulenza tecnica Luca Baldini
collaborazione tecnica Daria Grispino
con PierGiuseppe Di Tanno
produzione Fortebraccio Teatro
con il sostegno di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il contributo di MiBAC, Regione Emilia-Romagna
Teatro Cantiere Florida, Firenze
14 marzo 2019